venerdì 7 settembre 2012


Maria e i vescovi di Roma
All’Antonianum il ventitreesimo congresso internazionale
di Salvatore Maria Perrella

Negli anni del pontificato di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e ora di Benedetto XVI, e in modo particolare sulla scorta della dottrina del capitolo VIII della Lumen gentium, la Chiesa con il suo magistero e la teologia ha rimotivato e rinnovato in modo convincente la mariologia, ripristinando e attualizzando una procedura consona all’odierna sete di gustare la bellezza e la verità del mistero cristico-trinitario al cui interno si scorge l’umile e splendida persona e icona della Mater Domini. Tale procedura, che ha di «antico» e di «nuovo», consente di cogliere la santa e umana icona della Madre di Gesù così come la divina rivelazione l’ha predestinata, attuata e mostrata nella narrazione della santa pagina. Facendo nostra un’asserzione del dogmatico evangelico Gérard Siegwalt nel suo recente articolo Vaticano II: tra cattolicesimo e cattolicità, possiamo ben dire che la «novità del Vaticano II è anche la sfida del Vaticano II, quella di riconciliare il cattolicesimo romano con la cattolicità, e la cattolicità con il cattolicesimo romano. Il Vaticano II, infatti, vuole essere un concilio non di scomunica, ma di unione, di comunione; in altre parole: non di delimitazione, ma di integrazione». 



Esemplare banco di prova di tale asserzione è secondo noi il capitolo VIII della Lumen gentium che ha sapientemente integrato Santa Maria di Nazaret nel mistero del Dio trinitario di Cristo a partire dalla Parola della fede (Romani, 10, 8), tenendo in debito conto della tradizione vivente della Chiesa, stando attenta a proporre una dottrina che non fa accrescere il dissenso, ma suscita il consenso e il fraterno dialogo, nella carità e nella verità, tra la Chiesa, le chiese e le confessioni cristiane (Lumen gentium, 54, 67). Impresa che continua, appassiona, avvince, nonostante le «oscillazioni» umorali del tempo e dell’uomo, e che sia Papa Montini, sia Papa Wojtyła sia Papa Ratzinger hanno, per quanto hanno potuto, calmierato e stabilizzato con la sua mariologia e marianità biblica, sapienziale ed ecclesiale, ritmata dal loro cristocentrismo trinitario-ecclesiale e dalla loro antropologia personalista e relazionale. Non va dimenticato, infatti, che Santa Maria è sin dagli inizi presente nel fatto cristiano; anzi, a motivo della sua persona, del suo ruolo e significato per la fede e per la vita di fede, è divenuta via via parte indelebile del fatto ecclesiale, come dimostra la bimillenaria storia del cristianesimo letta e interpretata sull’importante versante della cultura. Versante, asserisce Stefano De Fiores, che ci «conduce a scorgere la Madre di Gesù non solamente nel dogma e nel culto della Chiesa, in contesto chiaramente storico-salvifico e cristologico, ma più a monte nella dinamica culturale delle varie epoche come elemento significativo, anche se ancora poco studiato dagli storici. Anzi, Maria appare in ognuna di esse come una figura indispensabile che conquista progressivamente tempo, spazio, persone e istituzioni; e diviene, pur nelle variazioni proprie di ciascun universo simbolico, una persona rappresentativa, frammento e insieme sintesi in cui si rispecchia il tutto della fede, della Chiesa, della società, in una parola della singola cultura».
Scrittura, credo, magistero, liturgia, pietà popolare, teologia, prassi pastorale, ecumenismo, dialogo interreligioso, arte e cultura, sono i tòpoi, i luoghi, gli ambiti attraverso cui la Madre del Signore è entrata, non abusivamente, ma congruamente nella coscienza non solo ecclesiale di ieri e di oggi! Infatti, nel nostro tempo attuale la mariologia è sempre più intessuta di profondi legami con le altre branche del pensare e del proporre la fede nell’oggi della Chiesa e del mondo; ciò, non dobbiamo dimenticarlo, grazie al concilio Vaticano II, al suo insegnamento, ai suoi orientamenti e alle sue prospettive. Oggi, la riflessione mariologica è sempre più intessuta di profondi legami con le altre branche del pensare e del proporre la fede nell’oggi della Chiesa, del mondo e dell’uomo/donna in continua trasformazione.



La mariologia postconciliare possiede, infatti, delle caratteristiche e delle note specifiche che il magistero cattolico ha non solo proposto (si pensi, ad esempio, alle indicazioni metodologico-prospettiche del capitolo mariano della Lumen gentium, del Vaticano II, a quelle liturgiche e antropologiche della Marialis cultus, di Paolo VI, a quelle biblico-teologiche, teologali ed ecumeniche presenti nella Redemptoris mater, di Giovanni Paolo II; agli imput di Benedetto XVI in ordine a una mariologia biblico-sapienziale), ma anche messe in pratica e sviluppate (grazie al contributo di una teologia sempre più correlata, plurale e interdisciplinare), che semplicemente elenchiamo: cristocentrismo trinitario e dimensione pneumatologica; visione ecclesiologica ed ecclesiotipica; riscoperta e valorizzazione della via della bellezza e della via del simbolo; conoscenza e valorizzazione delle altre tradizioni cristiane; impegno al dialogo ecumenico e interreligioso; istanza prassica e liberatrice con impatto nel sociale; esigenza dell’inculturazione; creatività nella fedeltà alla riforma liturgica e rivalutazione e valorizzazione ecclesiale della pietà popolare; attenzione agli input venienti dalle scienze umane; sensibilità verso la dimensione pastorale e catechetica; studio e approfondimento della spiritualità mariana; relazione tra pietà mariana e vita consacrata. Legata ormai a un rodato statuto storico-salvifico ed ermeneutico, la mariologia sarà dinamicamente e creativamente fedele sia all’intramontabile primato e valore assiologico dell’evento parola/Cristo, sia al variegato e talvolta ondivago umore della cultura umana in cui è inserita per portarvi positivi influssi. Una mariologia il cui distintivo carattere non è la sequela di mode passeggere ma piuttosto il porsi in cammino e al servizio della credibilità della fede cristiana — come in più occasioni esorta Benedetto XVI — dell’unità dei discepoli di Cristo e dell’uomo e della donna del difficile nostro tempo postmetafisico, postmoderno, postcristiano, postsecolare, spesso gravato da abissali carenze esistenziali, valoriali e religiose, ma bisognoso e desideroso di colmarle senza più arrischiarsi a «sperare nel tragico», affinché ritrovi il gusto di accogliere pascalianamente la perenne sfida della fede. In questo plurimo servizio teologale, teologico, ecclesiale, pastorale, sociale, etico, simbolico, antropologico ed escatologico, la Madre del Signore e la stessa mariologia trovano il loro spazio naturale di pensiero, di provocazione e di azione pro multis.
Per concludere, possiamo ben dire che i tre Papi nel loro magistero mariano, diretto e indiretto, si sono attenuti con scrupolo responsabile a quanto avevano paventato nel loro impegno programmatico di vescovi di Roma: a livello mariano sono stati dei veri protagonisti nell’illustrazione e nella diffusione della dottrina conciliare, avendo un’eco significativa anche al di fuori della stessa mariologia. Infatti, come giustamente osserva il cardinale Angelo Amato, sono state «considerate un prezioso contributo all’epistemologia teologica in generale, dal momento che ne hanno specificato e ulteriormente ampliato il metodo teologico proposto dal decreto sulla formazione sacerdotale (Optatam totius, 16) del Vaticano II».

Nessun commento:

Posta un commento