venerdì 4 maggio 2012

Dalla spiritualità di comunione una testimonianza credibile
Il cardinale João Braz de Aviz su vita consacrata e nuova evangelizzazione

l cardinale João Braz de Aviz

Oggi non bastano più un codice morale, l’eredità spirituale ricevuta o un’ideologia per rendere possibile l’annuncio di Cristo. È necessaria la testimonianza comunitaria della spiritualità di comunione che Giovanni Paolo II ha indicato come la forza della Chiesa nel nuovo millennio. Lo ha detto il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, durante l’incontro con i religiosi e le religiose di Malta, Gozo e Comino — promosso in collaborazione con il nunzio apostolico, l’arcivescovo Tommaso Caputo — in occasione del ventesimo anniversario della Conferenza dei superiori e delle superiore maggiori locali. Affermazioni di scottante attualità alla vigilia della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che si celebra domenica 29 aprile, e che vede impegnati in prima fila tante congregazioni e istituti.
«La vita consacrata — ha detto il porporato — ha oggi una strada possibile da percorrere per mostrare e donare al mondo il suo significato più profondo: costruire tra i suoi membri, tra gli istituti, gli uni con gli altri, con le altre realtà della Chiesa, con ogni uomo o donna nei vari campi della vita umana, questi rapporti che hanno il dna del nostro Dio-Amore».
Nella tre giorni maltese, accompagnato da padre Donato Cauzzo, durante la quale il porporato ha incontrato le varie realtà della vita religiosa rappresentata da trentatré congregazioni sia maschili, sia femminili, ha parlato, tra l’altro, del rapporto tra consacrati e nuova evangelizzazione. Lo ha fatto partendo dalla preghiera di Paolo VI formulata all’apertura del Sinodo dei vescovi su «Evangelizzazione nel mondo contemporaneo» del 1974: «O Signore, noi dovremo risalire fino al mistero della Santissima Trinità per rintracciare l’origine prima del mandato che urge sopra di noi, e per scoprire, nelle investigabili profondità della vita divina, il disegno di amore, che investe, qualifica e sorregge la nostra missione apostolica». Sottolineando l’attualità di questa preghiera, il cardinale ha invitato a riflettere sulla situazione della vita consacrata nel nostro particolare momento storico. «La cultura globalizzata in atto — ha detto — tende a eliminare o a respingere i valori universali che, lungo la storia umana, sono stati sempre più riconosciuti da tutti, in modo speciale il rapporto con Dio, per affermare l’individualismo, il relativismo e il secolarismo. Così, senza Dio, ognuno diventa la regola di sé stesso e del bene, e riconosce come valore soltanto quello che dà piacere, che procura felicità, anche se in modo effimero, vissuto per un momento. Sempre di più quello che per la religione è valore, per l’uomo e per la donna della globalizzazione “mercantilista” non lo è».
Si produce così la contraddizione attuale. «Nel momento storico in cui la tecnica ha fornito le maggiori possibilità di rapporti — ha detto — l’eliminazione dei valori, per affermare l’individuo assoluto, mette in crisi la capacità umana di rapporti in tutte le direzioni». Infatti, «Sotto l’influenza di questa mentalità individualista e relativista — ha proseguito — che sopprime la vita di comunione, tipica del Vangelo, non si capisce più nel mondo ecclesiale dei consacrati a che serve l’obbedienza e come esercitare l’autorità e, tante volte, non si capisce più neanche il valore della vita in fraternità». Da qui, l’interpretazione in modo negativo del detto tradizionale del gesuita san Giovanni Berchmans riguardo alla vita comune: mea maxima pænitentia vita communis. Esso, ha fatto notare il cardinale, «diventa ancora più gravoso, al punto che molti consacrati abbandonano la vita comune per esperimentare un poco di libertà». Certamente, anche i religiosi risentono dei «riflessi di questa realtà del tempo presente nella nostra vocazione. Come tutti, sentiamo anche noi la crisi generalizzata nel costruire i rapporti umani. Li sentiamo decisivi, ma frequentemente ci sentiamo incapaci di costruirli in modo soddisfacente». Ecco perché è necessario «“risalire fino al mistero trinitario”, come ha indicato Paolo VI e come è stato ripreso nell’Esortazione apostolica Vita consecrata del 1996, che al capitolo primo parla della Confessio Trinitatis, invitando a tornare alle sorgenti cristologico-trinitarie della vita consacrata». Di questa realtà, ha aggiunto il prefetto, ha parlato in modo incisivo anche Giovanni Paolo II, quando ha proposto alla Chiesa di «promuovere la spiritualità di comunione come principio educativo in tutti i posti dove si plasma l’uomo e la donna e il cristiano in questo nuovo millennio che stiamo appena iniziando. Questa spiritualità di comunione è proposta adesso da Benedetto XVI per tutti i popoli».
Quale cammino intraprendere perché la vita consacrata ritrovi la sua fecondità e la sua felicità nella nuova evangelizzazione? Il cardinale ha indicato che occorre ripartire da Cristo per fare già da questa terra l’esperienza trinitaria, approfondendo sempre più la vita cristiana come rapporto personale con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Occorre anche una «riscoperta gioiosa di Dio-Amore, cioè di un rapporto con l’Amore, che è Dio e che realizza la diversità nell’unità. Abbiamo bisogno di lasciarci illuminare da questa relazione che passa tra le tre Divine Persone, che costituisce l’identità propria di Dio, e applicare questa realtà all’uomo e alla donna, creati ad immagine e somiglianza di Dio».
Il cardinale ha poi invitato a ripartire dal mistero dell’Incarnazione e dal mistero pasquale per essere testimoni di Dio-Amore nei rapporti umani ed ecclesiali. «Perché i rapporti umani brillino d’amore — ha detto — è necessario riprendere tra noi il sentimento e gli atteggiamenti di uguaglianza: uguale dignità, tutti unicamente figli di Dio-Amore. Tutto il di più: ministeri, servizi, carismi, doni, beni, cioè, le nostre giuste diversità, servono unicamente alla bellezza e forza di questa fraternità nella Chiesa. Le ideologie, anche nel nostro tempo, non sono state capaci di realizzare i grandi valori umani della libertà, della uguaglianza e della fraternità. Questi, però, sono i valori centrali dell’antropologia cristiana. Se ritorniamo oggi, con semplicità e decisione, all’esperienza della nostra identità trinitaria, la Chiesa, con tutte le sue realtà costruite durante questi venti secoli, potrà crescere nell’offrire speranza vera all’umanità». Concludendo, il porporato ha sottolineato come «l’amore che va e che viene nel rapporto umano genera la presenza di Gesù vivo e risorto nella comunità». Questa presenza di Cristo «tra discepoli che vivono l’amore reciproco, dà ai rapporti umani la dimensione più perfetta. Più questa esperienza si allarga, più la Chiesa, con tutta la sua bellezza umana, risplende di divino».


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