giovedì 24 gennaio 2013



Il Concilio Vaticano II cinquanta anni dopo: 
le riflessioni di un laico
del prof. André Vauchez

Prof. André Vauchez, Membre de l’Académie des inscriptions et belles-lettres di Parigi e Professore invitato alla Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia università Antonianum in Roma.
Articolo è appena apparso nella rivista Forma sororum. Lo sguardo di Chiara d’Assisi oggi, 49 (2012), p. 286-291.


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 Il Concilio Vaticano II cinquanta anni dopo : le riflessioni di un laico




Ho avuto la fortuna, pur essendo allora un giovane studioso sconosciuto, di potere assistere, grazie a un  vescovo che conoscevo di persona,  a una delle ultime sessioni del concilio Vaticano II, nell’ottobre 1965 e ne ho conservato un vivissimo ricordo. La riunione di queste migliaia di vescovi cattolici venuti a Roma da tutto il mondo era già in se un fatto impressionante e l’importanza dell’avvenimento non poteva sfuggire all’osservatore, visto la posta in gioco nel dibattito e le speranze che esso aveva sollevato nella Chiesa e anche al difuori degli ambienti cattolici.

Fui subito colpito dal fatto che il latino – la lingua nella quale si dovevano fare gli interventi – non era più un idioma comune: la pronuncia e l’accento dei vescovi che presentavano dei rapporti o  partecipavano alle discussioni erano cosi differenti, a seconda della loro provenienza geografica, che, se non ci fosse stata una traduzione simultanea, i padri conciliari non si sarebbero capiti tra di loro…
Convocato dal papa Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, il Concilio, dopo quattro sessioni che si svolsero tra il 1962 e il 1965, fu concluso dal suo successore Paolo VI alla fine di quest’ultimo anno. Si trattò di un concilio pastorale, che non pronunciò condanne e non anatemizzò nessuno, ma che proprio per questa ragione ha segnato un’importante svolta nella storia della Chiesa e non ha ancora esaurito il suo potenziale. Il Concilio Vaticano produsse delle costituzioni molto rilevanti come la Lumen gentium o la Gaudium et spes, nonché alcuni importanti decreti relativi all’ecumenismo e alla liturgia, per attenerci ai più famosi. Ma non intendo qua soffermarmi su di loro, nella misura in cui sono bene conosciuti; mi mancherebbero comunque lo spazio e la competenza per commentarli accuratamente. Mi accontenterò dunque di esprimere un giudizio personale, che propongo solo come  la  testimonianza di un laico cristiano che ha condiviso con molti altri le attese provocate dal Concilio, ma anche alcune delusioni che lo hanno seguito.
Per me, l’aspetto forse il più importante del Vaticano II è stato il riconoscimento da parte della Chiesa cattolica del fatto che tutti i battezzati sono ugualmente chiamati alla santità, il che portò a un nuovo modo di concepire i ministeri. Definendo la Chiesa anzitutto come il popolo di Dio in cammino verso la salvezza, il Concilio è riuscito per la prima volta nella storia a elaborare una teologia del laicato nella quale i fedeli non sarebbero solo degli oggetti del ministero pastorale del clero e i “sudditi” della gerarchia ecclesiastica, ma dei membri a pieno diritto della Chiesa e attori della sua realizzazione nel mondo. Questa affermazione non minimizza pertanto l’importanza del sacerdozio, ne quella degli ordini religiosi, che furono invitati a tornare alle loro fonti spirituali più autentiche.
Il Vaticano II è stato in effetti un concilio riformatore; ma bisogna intenderci sul contenuto di questo concetto che è stato talvolta frainteso: contrariamente a quanto gli è stato rimproverato da alcuni  ambienti “tradizionalisti”, non si trattò allora di fare un’altra Chiesa, ma di riportare la Chiesa ai principi fondamentali della tradizione cristiana. La Chiesa non si confonde con le usanze sviluppatesi attraverso i secoli  in funzione  di un contesto sociale o  culturale ben preciso, oggi scomparso. Non si tratta di adattarla ad alcune mode odierne; solo una fedeltà maggiore allo Spirito può rendere i cristiani capaci di affrontare il presente  e l’avvenire.
Col Vaticano II, la Chiesa ha preso  atto del fatto che il mondo era cambiato e doveva essere evangelizzato in un altro modo. Per farlo bisognava che essa si rinnovi davvero, tenendo conto dei mutamenti sociali e culturali in corso, come l’affermazione del soggetto e dei diritti delle persone, che portava a una concezione diversa dell’autorità ormai intesa come servizio e promovendo un esercizio collegiale delle responsabilità all’interno della Chiesa. Non si trattava dunque di idealizzare il mondo né di inginocchiarsi davanti alle novità, ma di ritrovare gli elementi fondamentali e specifici del Cristianesimo, per rispondere ai bisogni dell’uomo moderno e riconfigurarlo a Cristo.
Negli ultimi anni, si sono verificati alcuni contrasti all’interno della Chiesa cattolica attorno al Vaticano II e alla sua recezione. Per alcuni, il Concilio avrebbe oltrepassato certi limiti e fatto troppe concessioni a questo mondo. Per altri invece, non si sarebbe  mostrato abbastanza audace e il suo insegnamento sarebbe già in gran parte superato.
Di fronte a queste critiche, bisogna sottolineare che alcuni insegnamenti del Concilio sono tuttora rilevanti e, a quanto mi pare, irreversibili , come l’accento posto sulla libertà religiosa, i nuovi rapporti con gli Ebrei e la tradizione biblica, le relazioni, ormai indispensabili e non più opzionali, con le altre confessioni cristiane nel quadro dell’ecumenismo, la liturgia comunitaria in lingua volgare, ecc. In tutti questi campi, le decisioni del Concilio sono state non solo accettate ma rapidamente recepite dalla stragrande maggioranza dei fedeli, come cose ovvie e scontate.
Infatti, a mio parere il Concilio Vaticano II è stato sfortunato in quanto è avvenuto troppo tardi. Dopo una lunga diffidenza nei suoi confronti, la Chiesa cattolica ha cercato un terreno d’intensa con la società moderna e democratica proprio al momento in cui tale società veniva contestata dall’interno e stava per entrare in crisi, come lo dimostrarono gli avvenimenti degli anni ’68 e seguenti, e neanche il crollo del comunismo è riuscito a controbilanciare questo  mutamento. A partire dagli anni 1970/’80 in effetti, l’avvenimento della “post-modernità” ha chiamato in causa gli equilibri fondamentali delle società occidentali, cioè le loro basi etiche e giuridiche. Esse non erano estranee ai valori cristiani, almeno per quanto riguarda la famiglia, la morale economica, l’impegno civico e la solidarietà  sociale, che erano condivise da molti ambienti estranei alla Chiesa.
Ma con la fine del secolo scorso e l’inizio dell’attuale, un nuovo mondo si è fatto avanti, basato su un individualismo assoluto, il rifiuto di ogni regola nel campo della vita sessuale, la prevalenza del populismo in politica, il liberalismo sfrenato nel campo  della vita economica e finanziaria, il consumismo, ecc.  Tale  “cultura”, che vediamo svilupparsi con un po’ di sgomento sotto i nostri occhi, guarda solo al presente e rigetta le sue radici, particolarmente quelle cristiane ritenute un’eredità sorpassata di cui ci si può solo vergognare . Ai  giovani di oggi, il messaggio del Vaticano II dice poco e la vita religiosa è ormai considerata da molti, almeno in Europa, come una scelta puramente privata, senza riflessi sociali.
Questa evoluzione rapidissima delle mentalità spiega in gran parte le difficoltà attuali, che non sono certo dovute al Concilio, anche se l’hanno seguito quasi immediatamente dal punto di vista cronologico: crollo della pratica religiosa, abbandono del sacerdozio da parte di parecchi preti, crisi delle vocazioni sacerdotali e religiose, nonché dei movimenti d’Azione cattolica, ecc.
Ormai siamo arrivati a un punto, dove bisogna che la Chiesa si rimetta ancora più profondamente in causa, basandosi sullo “zoccolo” delle riforme promosse dal Concilio, ma riconsiderando tutte le modalità della sua presenza nel mondo e il senso della sua missione. Non saprei dire se per questo ci vorrà un nuovo Concilio, né se questo dovrebbe riunirsi subito o solo fra un po’ di  anni. Ma comunque non si potrà fare a meno di un riflessione approfondita sul significato e le forme della vita cristiana in un mondo che, nel giro di alcuni decenni  ne è diventato cosi lontano.

Prof. André VAUCHEZ
Membre de l’Académie des inscriptions et belles-lettres (Parigi)

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