lunedì 13 agosto 2012


CON LO SGUARDO FISSO SUGLI INIZI
Attualità del carisma francescano-clariano
a 800 anni dalla Fondazione dell’OSC

del Ministro general OFM

A tutte le Sorelle Povere di santa Chiara,
a tutti i Frati Minori:
salute e pace santa nel Signore (2Lcus 1; cf. LErm 1).

Felicitazioni!

1. Stiamo per concludere l'VIII Centenario della conversione/consacrazione di Sorella Chiara nella Porziuncola (1211-12) e l'VIII Centenario della Fondazione dell'Ordine delle Sorelle Povere. In questa circostanza del tutto particolare per tutta la Famiglia Francescana sento la necessità di farvi giungere, carissime Sorelle, le mie personali felicitazioni e quelle di tutti i Frati Minori.
Con questa lettera voglio assicuravi che sempre, ma in particolare durante questo Giubileo francescano-clariano, ci uniamo a voi per ringraziare il Signore che continua nell'oggi a custodire il carisma che fu dato a Francesco e Chiara 800 anni fa. Nello stesso tempo desidero esprimervi la mia gratitudine e quella dei Farti Minori per la vostra presenza silenziosa, orante e di profondo affetto nella nostra vita e in quella della Chiesa e del mondo. Siete un vero tesoro per tutti noi, perché, dalla vostra vita nascosta in Cristo (cf. Col 3,3), ci evangelizzate, ricordandoci che siamo del Signore e per il Signore, e che solo così possiamo essere per gli altri[1]. Grazie Sorelle! Auguri!

I. Per iniziare

2. Durante questo periodo, da più parti, non da ultimo dalla Chiesa stessa[2], abbiamo ricevuto ripetuti inviti a prendere sul serio l'esortazione di Chiara: «conosci la tua vocazione» (TestsC 4) e a non dimenticare il punto di partenza, cioè le nostre origini (cf. 2LAg 11). Tali inviti tendono ad un obiettivo prioritario: utilizzare questo tempo di grazia, questo kairós, per approfondire la Forma di Vita francescano-clariana, rivisitando gli elementi essenziali di questo carisma, che a distanza di 800 anni è ancora profondamente attuale, come giustamente scriveva Benedetto XVI , «il tempo che ci separa dalla vicenda di questi due Santi [Francesco e Chiara] non ha sminuito il loro fascino. Al contrario...» (DoF p. 17).
Francesco e Chiara, figli del loro tempo, parlano la lingua dei loro contemporanei, pensano secondo le loro categorie, hanno la loro sensibilità e tuttavia sono profondamente attuali. Francesco e Chiara sono in sintonia con il loro tempo perché ne hanno saputo scoprire le necessità più profonde, le hanno interpretate come segni dei tempi, come chiamate dello Spirito, ed hanno proposto un’incarnazione del Vangelo che rispondeva perfettamente a queste istanze. Ma Francesco e Chiara, senza essere estranei al loro tempo, sono anche contemporanei ed attuali. Il segreto di tale attualità è ovvio: «Francesco e Chiara sono risaliti fino alla fonte dell’acqua viva»[3]. Abituali ascoltatori del Vangelo, lo hanno custodito nel loro cuore (cf. Lc 2,51), e prontamente hanno obbedito alla Parola (cf. 1Cel 22), diventando così, interiormente ed esteriormente, icone viventi del Figlio, Parola eterna del Padre (cf. 3LAg 13), un’«esegesi vivente» del Vangelo (cf. DV 83). Avendo trovato la Fonte di acqua viva (cf. Gv 4,10ss), a distanza di otto secoli, da loro continuano a sgorgare torrenti di acqua viva che appaga la sete di tanti nostri contemporanei e che fornisce risposte a molte delle loro domande.

3. La storia interpella, anche con la sua indifferenza, tutti i consacrati a rendere ragione della propria scelta vocazionale, in modo particolare interroga le contemplative, e, nel contesto di questo centenario, in un modo speciale le Sorelle Povere. Da qui l’urgenza di rivisitare con passione i valori che costituiscono l’essenza del carisma francescano-clariano, non solo per guardare con gratitudine il passato in cui lo Spirito, con la generosa collaborazione di tante Sorelle Povere e di tanti Frati Minori, ha scritto una grande storia, che noi abbiamo la responsabilità di trasmettere e raccontare, ma, soprattutto, per vivere il presente con passione, abbracciare il futuro con speranza e, così, continuare a costruire una grande storia nel futuro (cf. VC 110; NMI 1).
Celebrare un Giubileo, come gli 800 anni della conversione/consacrazione di Chiara e della fondazione dell’Ordine delle Sorelle Povere, è un’occasione per ringraziare il Padre delle misericordie del dono di Chiara e delle Sorelle Povere, ma è, anzitutto, un tempo propizio per gustare la grazia delle origini, per godere di un evento che, pur essendo iniziato otto secoli fa, continua ad essere fondamento e principio da cui sgorgano storia e futuro.
Solo con questo atteggiamento potremo portare a compimento con impegno l’opera che abbiamo iniziato bene (cf. LErm 14; LOrd 10), mantenere la fedeltà alle esigenze della Forma di Vita francescano-clariana (cf. BensC 15) ed individuare cammini da percorrere oggi, in modo che possiamo essere fedeli a Cristo, alla Chiesa e all’uomo (cf. VC 110). Voi, care Sorelle Povere, formando «massa scelta di pietre vive» (2Cel 204) e aperte alle sorprese di Dio, siete un grido di novità per il nostro tempo, «esempio e specchio» le une per le altre e per tutti (cf. TestsC 19).
Nel contesto in cui viviamo, tutti richiedono disponibilità e docilità, sempre nuova e creativa, all’azione dello Spirito. Solo Lui può mantenere stabilmente la freschezza e l’autenticità degli inizi e, allo stesso tempo, infondere l’inventiva e la creatività per meglio rispondere ai segni dei tempi.

4. Con questa lettera alle Sorelle Povere – in forza della responsabilità che mi proviene da Francesco stesso (cf. RsC 6,3-4) – ed anche ai Frati Minori, desidero tornare sui fondamenti della nostra comune forma di vita[4], con un particolare riferimento a Chiara e alle sue Sorelle, con la volontà non solo di custodire la Forma di Vira professata, ma anche per sviluppare ed approfondire tali fondamenti (cf. RdC 20), consapevoli che in essi incontreremo il significato del nostro essere nella Chiesa per il mondo.
Dal momento che la Forma di Vita delle Sorelle Povere e dei Frati Minori è la stessa[5], e che lo Spesso Spirito ha fatto uscire dal mondo i Frati e le Sorelle (cf. 2Cel 204), con questa Lettera invito tutti a porsi in ascolto di Chiara, fedele interprete, nella vita e negli Scritti, della Forma di Vita rivelata dall’Altissimo a Francesco (cf. Test 14). Mentre chiedo alle Sorelle di bere dall’acqua chiara della spiritualità clariana, chiedo ai Frati Minori di conoscere meglio Chiara, per amarla sempre più. Questo aiuterà tutti noi a vivere meglio la Forma di Vita che tutti abbiamo professato. Frati e Sorelle siamo le due facce della stessa medaglia. Pertanto, entrambi abbiamo la responsabilità di fa sì che questa ispirazione, vivere secondo la forma del santo Vangelo, affidata dallo Spirito a Francesco e Chiara, possa continuare a prendere forma nel nostro tempo.

II. Nella storia degli uomini e delle donne di oggi

5. Sono consapevole che stiamo attraversando un periodo delicato e faticoso (VC 13). Davanti a me, come sicuramente davanti a voi, sta, in primo luogo l’invito di Chiara a seguire Cristo «con corsa veloce, passo leggero, senza inciampi ai piedi», così che, sicuri, gioiosi ed alacri, avanziamo «sul sentiero della beatitudine» (2LAg 12-13; un invito a far memoria del nostro proposito, sempre guardando al principio (cf. 2LAg 11). Siamo anche consapevoli delle ripetute esortazioni di Francesco a seguire le orme di Gesù Cristo (cf. LOrd 51), a perseverare nella disciplina e nella santa obbedienza e ad adempiere «con proposito buono e fermo quelle cose» che abbiamo promesso al Figlio di Dio (cf. LOrd 10). C’è, poi, l’insidia della mediocrità, della routine, del disfattismo che ci minaccia e che, in molte occasioni, ci mette inciampi ai piedi (cf. 2LAg 13), impedendoci di «percorrere la via dei comandamenti del Signore» e della perfezione che abbiamo abbracciato (cf. 2LAg 15.17).
Alle difficoltà che ciascuno sperimenta nella sequela di Cristo se ne aggiungono altre che provengono dall’ambiente che ci circonda. Così, mentre il mondo ci chiede conto della qualità evangelica della nostra vita, sembra di vivere come se Dio non esistesse. E uno sguardo alla mentalità di molti uomini e donne del nostro tempo ci rende consapevoli che molti sembrano rifiutare punti significativi di riferimento e, spesso, sembrano solo preoccuparsi di soddisfare i propri bisogni. Secondo questa logica, ciò che è valido agli occhi di Dio non sempre lo è secondo il pensiero degli uomini. Di ciò già era cosciente lo stesso Poverello quando, in una delle sue lettere, scriveva: «sappiate che al cospetto di Dio ci sono alcune realtà altissime e sublimi, che a volte tra gli uomini sono reputate vili e spregevoli, mentre altre sono preziose e ammirate tra gli uomini, ma davanti a Dio sono ritenute vilissime e spregevoli» (2Lcus 2).
Secondo questa ottica mondana sembra che il Vangelo sia uno dei punti dai quali oggi bisogna prendere le distanze se uno non vuole complicarsi la vita. Soprattutto perché spesso il Vangelo viene considerato e presentato come un insieme di norme da osservare e, pertanto, cerca di soffocare la libertà individuale e l’autorealizzazione. Come conseguenza crescono quelli che pensano che ciascuno sia norma a se stesso. Il rifiuto di questi punti di riferimento favorisce nell’individuo l’esperienza del campo aperto, dove uno non incontra alcun limite, né tantomeno i principi fondamentali.
Nella nostra società non raramente la proposta evangelica viene considerata superata, perché non rientra nei parametri del consumo e del continuo cambiamento imposti dalla nostra società; e la sfera della spiritualità, area nella quale la persona trova il senso della sua esistenza, è ridotta ad una dimensione puramente individuale.

6. È in questo contesto che ci è dato vivere la vocazione di Sorelle Povere e di Frati Minori, in quanto consacrati. Per quello che vi riguarda, care Sorelle, anche se separate non potete sentirvi ai margini di ciò che vive e respira il mondo, perché nessuno – neppure voi che vivete in uno spazio vitale di clausura – può sentirsi immune da possibili influenze esterne, che non aiutano la custodia di quanto noi consacrati abbiamo professato, né si può escludere (l’esperienza quotidiana ce lo dice) che la mentalità del come se Dio non esistesse possa condizionare i nostri ambienti. Altrettanto si può dire di noi, Frati Minori.
Senza perdere di vista quello che abbiamo promesso, tenendo sempre davanti agli occhi il punto di partenza (cf. 2LAg 11) per vivere il presente come memoria delle origini e in tensione verso il futuro, siamo chiamati in questo momento a rivisitare le esigenze della sequela di Cristo secondo la Forma di Vita francescano-clariana. In questo contesto di rivisitazione della nostra identità, è necessario che tanto le Sorelle Povere come i Frati Minori si lasciano interrogare e si chiedono perché le Fraternità a volte vengono considerate punti di riferimento ed altre volte sono semplicemente sconosciute o ignorate, perché alcune hanno vocazioni ed altre attraversano un deserto vocazionale prolungato. È il tempo di fare un profondo discernimento per vedere ciò che va gelosamente custodito, quello cha va lasciato e quello che va rivisto e riconvertito, per evidenziare la bellezza della nostra Forma di Vita in Fraternità forgiate dal Vangelo.
Nessuno può negare che, se da una parte riceviamo molti consensi, dall’altra, tanto voi quanto noi, con grande difficoltà riusciamo a far comprendere le nostre scelte vocazionali. È urgente chiedersi: che cosa cerca chi si avvina a noi e quale senso ha la nostra vita nella Chiesa e nel mondo? Ed inoltre: quali segni di vita offriamo perché l’uomo e la donna di oggi si sentano aiutati ad entrare nel mistero del Padre rivelato in Gesù? Le nostre risposte, anche le vostre, devono essere nuove; non risposte imparate. Saranno tali nella misura in cui ciascuno, tanto personalmente quanto comunitariamente, si metterà in discussione, mentre cerca ardentemente il volto di Dio.

7. Senza rompere la nostra alleanza con un passato vivo, perché muoversi senza radici genera un cammino senza saggezza né orizzonte[6], tuttavia è necessario ed urgente fare una sosta nel cammino, dare spazio al silenzio, alla riflessione e al discernimento personale e comunitario per individuare la terra indurita del nostro cuore (cf. Rnb 22,10-26), anche nei monasteri: attivismo, individualismo, appropriazione, stabilità, nostalgia, agitazione, distrazione, ricerca di sicurezze...; e per valutare in modo adeguato i Frati/le Sorelle, compagni/e di cammino: la libertà evangelica, la gioia, il senso di appartenenza, l’apertura, il vivere sine proprio...
Durante le mie visite ai Monasteri OSC e alle Entità OFM, frequentemente mi hanno chiesto sui nuovi strumenti e metodi per rendere più attuale ed attraente la nostra vita. Mi chiedo e vi chiedo: è questione solo di metodi e di nuove strategie o è questione di una rivisitazione degli elementi essenziali della nostra vita e di fare scelte radicali?
Se oggi c’è una certa indifferenza verso la vita consacrata e verso la nostra vita francescano-clariana, forse è perché stiamo perdendo la capacità di essere segni profetici. L’anniversario della fondazione del vostro Ordine, come l’anniversario della fondazione del nostro Ordine che abbiamo celebrato tre anni fa, ci chiede di vivere oggi la nostra Forma di Vita e di rispondere oggi ai segni dei tempi, rimanendo fedeli a ciò che lo Spirito, attraverso Francesco e Chiara, ha donato ai Frati e alle Sorelle e, tramite essi, alla Chiesa e al mondo. Non si tratta di un adattamento concordato della nostra Forma di Vita a ciò che è di moda – sposare la moda vuol dire rimanere presto vedovo, dice un detto orientale –, ma di rispondere alle sfide che ci vengono dal mondo, incarnando il Vangelo, dal centro dell’esperienza di Dio, nella forma di espropriazione/libertà radicale – vivere sine proprio, come abbiamo professato – e nella fraternità universale.

III. Prendersi cura delle radici

8. Ci sono molti che sostengono che la vita religiosa ed anche quella francescano-clariana stanno vivendo la stagione invernale. L’inverno, a prima vista, è un periodo di morte: sparisce il verde della vegetazione, cadono le foglie, non ci sono fiori e la stagione dei frutti è passata. L’inverno mette alla prova la speranza, che si nutre di paziente attesa fino al ritorno della primavera e i campi si rivestono di fiori che cederanno il passo ai frutti. Anche nella la vita religiosa e nella vita francescano-clariana l’inverno si caratterizza, tra gli altri sintomi, per la mancanza di vocazioni, con tutto ciò che comporta: inversione della piramide dell’età, con molti anziani e pochi giovani, chiusure di opere e di presenze, ridotta rilevanza sociale che molte volte abbiamo avuto, aumento dello scoraggiamento, routine...
In inverno la tentazione potrebbe essere quella di tagliare gli alberi e le piante. Tanto non si vede che il tronco! Ma la morte che sembra caratterizzare l’inverno non è tale. Sotto l’apparente sterilità si sviluppa un processo di rivitalizzazione. È la stagione in cui lavorano assiduamente le radici, conservando tutta la linfa necessaria per trasmettere nuova vita in primavera, in modo che in estate si possano raccogliere i frutti. Con il loro lavoro silenzioso e nascosto le radici fanno sì che la vita rinasca, perché «se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). L’inverno è il tempo della radicalità nascosta, della crescita in profondità, che, anche se lunga e dolorosa, porta ad una nuova vita.
L’esperienza dell’inverno è quella che mi porta a chiedervi, care Sorelle e cari Fratelli, di coltivare le radici. Forse ci sarebbe piaciuto vivere nella stagione dei fiori e dei frutti in abbondanza, ma viviamo la stagione profondamente feconda dell’inverno. Accogliamola come tale, con sano realismo, ma anche con speranza certa (cf. PCr 2). La tentazione di gettare la spugna, di non coltivare la vita di fede, di non sperare, di rinunciare alla lotta, di cadere nella mediocrità o, forse anche, di lasciare, può darsi che non sia estranea ad alcuni di noi. Ma cedere a tutto questo sarebbe solo rinunciare a trasmettere la vita, vivere egoisticamente il presente, che poco o nulla avrebbe a che fare con ciò che abbiamo promesso il giorno della professione. Quando ci mancano tante sicurezze, che abbiamo accarezzato e coltivato amorosamente, è il momento di tornare all’essenziale, di vivere la spiritualità dell’esodo, di rinnovare la nostra ferma volontà di vivere senza nulla di proprio.
Ma oltre le apparenze, l’inverno è chiamata ad essere un kairós, una grande opportunità per crescere in profondità, per purificarci e per tornare a ciò che conta davvero. Attraverso l’inverno che stiamo vivendo, sono convinto che il Signore ci chiami, voi e noi, alla radicalità. Una radicalità che non consiste in gesti spettacolari, ma in una cura paziente e nascosta delle radici che, dopo tutto, si riduce ad una fede radicale in Colui per il quale nulla è impossibile (cf. Lc 1,37).
Ormai non è lotta solo per la sussistenza o la sopravvivenza. Si tratta di esercitarci in una fede radicale, fede retta (cf. PCr 2), e in una speranza contro ogni speranza. In primo luogo, la fede radicale, ci porterà a vivere in Dio e a vivere di Dio. Ciò richiede di ripartire da Cristo e ritornare al Vangelo, in quanto Forma di Vita, ruolo che gli compete nella nostra esistenza in quanto regola e vita. In secondo luogo, la speranza è ciò che dà significato profondo alla vita. Oggi questa speranza corre il rischio di diluirsi nella gestione di una semplice e, in molti casi, angusta quotidianità. Senza cadere in un ingenuo ottimismo, non possiamo rinunciare alla speranza che si fonda e si sostiene in una promessa: «io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20). La fede radicale e la speranza sono le fonti da cui attingiamo acqua fresca e abbondante per irrorare le radici e rivitalizzare la nostra vita, apparentemente arida, così che l’inverno sia fecondo, come il grano interrato nel solco.
Ma al tempo stesso l’immagine dell’inverno me ne riporta alla mente un’altra: la ricerca nella notte. Ed ecco la figura guida di Nicodemo, prototipo del vero «ricercatore nella notte». È il tempo di porsi in atteggiamento di ricerca, sotto la guida dello Spirito Santo. In questo contesto è bene ricordare che siamo mendicanti di senso e che l'itineranza, in quanto sinonimo di ricerca costante di ciò che è gradito al Signore, fa parte della nostra identità di Frati Minori e di Sorelle Povere.       

9. La Chiesa ci invita «a riproporre con coraggio l'intraprendenza, l'inventiva e la santità» di coloro che hanno ricevuto la Forma di Vita che oggi professiamo e, così, dare una «risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi» (VC 37). A noi viene chiesto di interrogare Francesco e Chiara per meglio comprendere come hanno cercato e testimoniato il Signore nel loro tempo. La fedeltà ai Fondatori passa attraverso lo sforzo per capire dentro quali parametri si sono mossi, quali alternative hanno trovato nel loro tempo per essere fedeli a Cristo e alla sua Parola, quali aree hanno scelto per testimoniare il Vangelo, quali sono stati i punti nodali sui quali hanno fondato la sequela, come hanno custodito la passione per il Regno, nonostante le difficoltà incontrate.
Non si mantiene vivo il nostro carisma semplicemente riproducendo il passato, ma cercando nelle radici le ragioni che hanno permesso a Francesco e a Chiara di vivere una Forma di Vita che ancora continua ad essere un segno leggibile per gli uomini e le donne del nostro tempo, grazie all’esperienza di coloro che continuano a dire di sì, con la loro vita, alle esigenze dello Spirito, e guardare al futuro, nel quale lo Spirito li proietta per fare con loro ancora cose grandi (cf. VC 110). D’altra parte, non si può dimenticare che questo sguardo alle nostre origini e verso il futuro deve andare di pari passo con un confronto tra la nostra vita e la cultura attuale. Senza questo confronto si corre il rischio di cadere nella tentazione di fare archeologia o, semplicemente, di fuggire in avanti.

10. Una volta individuati gli elementi essenziali della Forma di Vita francescano-clariana, bisognerà riflettere con lucidità, coraggio ed audacia, sulle strutture che contengono tali elementi. Questo non vuol dire eliminare le strutture, ma vedere quali devono rimanere, quali dovranno avere un nuovo significato, quali dovranno essere eliminate e quali dovranno essere inventate, così che siano effettivamente in grado di mantenere il vino del carisma (cf. Mc 2,22; Lc 5,38). Certo, le strutture più radicali che non rovinano il vino vecchio della nostra Forma di Vita, ma che per l’essenzialità, la sobrietà e la povertà, indicano l’assoluto di Dio e attraverso la vita fraterna, luogo teologico, liturgico (particolarmente nel caso delle Sorelle), profondamente umano ed evangelico insieme.
Care Sorelle e cari Fratelli, siate lucidi nel vostro discernimento, audaci nelle vostre decisioni, volate alto, senza compromessi con quello che il mondo oggi vi offre! Abbiate consapevolezza dell’amore di Dio che ci ha chiamato a seguire questa Forma di Vita. Solo tale consapevolezza ci condurrà a vivere sine proprio, ad essere evangelicamente liberi, creativi e fedeli (cf. RdC 22). Liberiamoci da tutto ciò che oscura la nostra Forma di Vita, per vivere in ogni momento il Vangelo che abbiamo promesso! Orientiamo la nostra energia nella ricerca costante del Signore e della sua volontà (cf. PCr). Soprattutto voi, care Sorelle, curate con particolare sollecitudine la vita spirituale, impegnatevi a testimoniare che è possibile vivere sempre alla presenza del Signore e, così, servire l’umanità.

IV. Elementi essenziali della nostra Forma di Vita

11. L’abbiamo già detto, nei momenti di crisi o d’inverno ci è data l’occasione per riflettere, per situarci e per tornare all’essenziale. Ciò richiede l’ontoterapia: il trattamento dell’essere, il trattamento della nostra identità. In tali momenti dobbiamo imitare l’amministratore saggio: sederci, analizzare il problema e prendere una rapida soluzione (cf. Lc 16,1ss). Il tempo a nostra disposizione non è molto.
Negli ultimi anni tanto le Sorelle quanto i Frati hanno dedicato molto tempo a riflettere sulle esigenze di base della nostra Forma di Vita. Il risultato di questo è che gli elementi essenziali sembrano abbastanza chiari. Quello che segue ci aiuti a ricordarceli e a ricordare l’urgenza di decisioni coerenti. È il momento di passare dall'ortodossia all'ortoprassi, da un'identità dottrinalmente chiara ad un'identità vissuta e, in quanto tale, significativa per i nostri contemporanei.

Vivere il Vangelo

12. Francesco e Chiara hanno avuto come punto di riferimento esistenziale il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. Le loro scelte di vita, così come la Forma di Vita che è iniziata con Francesco ed è continuata con Chiara, consistono semplicemente nell’«osservare il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo» (RsC 1,2; Rb 1,1).
Tutta l’avventura francescana ha origine nella rivelazione fatta dall’Altissimo a Francesco (cf. Test 14). Uno dei momenti centrali di tale rivelazione che giunge a Francesco attraverso Gesù Cristo, Parola incarnata, è l’ascolto dei testi nei quali Gesù traccia la regola di condotta per i suoi discepoli (cf. Lc 10,8-9; Mt 10,7-13). Di fronte a questa rivelazione Francesco esultò di gioia ed esclamò entusiasta: «questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore» (1Cel 22; cf. Test 25; LegM 3,1). Giorno memorabile quello in cui Francesco scoprì il Vangelo! Sarà il Vangelo a cambiare il cuore e la vita del Poverello. In seguito, il Vangelo costituirà la sua unica sapienza: infatti, non verrà guidato da altra scienza se non quella del Vangelo. All’origine della vocazione di Chiara sta quella stessa rivelazione fatta al beatissimo padre Francesco, «vero amante ed imitatore» di Cristo (cf. TestsC 5). A questo proposito è importante quanto Chiara dice nel suo Testamento: «il Figlio di Dio si è fatto via, e questa ci mostrò e insegnò con la parola e l’esempio il beatissimo padre nostro Francesco» (TestsC 5). A ragione chiamerà Francesco «nostra colonna, e nostra unica consolazione e sostegno dopo Dio» (TestsC 38), «fondatore, piantatore e cooperatore nostro» (TestsC 48). Questa stessa rivelazione l’abbiamo fatta nostra con la professione. Le Sorelle Povere e i Frati Minori hanno professato di vivere il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo (cf. RsC 1,2; Rb 1,1). È forse questo l’elemento più caratteristico della nostra comune Forma di Vita.

13. A questo punto penso che sia bene ricordare che il Vangelo, tanto per Chiara quanto per Francesco, non è semplicemente un libro, ma una persona, la persona di Gesù Cristo. In questo senso l’esperienza di Francesco e di Chiara è in perfetta sintonia con quanto affermerà, secoli più tardi, il Concilio Vaticano II: Gesù Cristo, la Parola fatta carne, «è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione» (DV 2). Dio ha parlato «in molte e vari modi», nella creazione, con i profeti e i sapienti, attraverso le Sacre Scritture, ma ha parlato in modo definitivo per mezzo di Gesù Cristo (cf. Eb 1.1ss). Sia per Francesco che per Chiara il Vangelo rinvia direttamente a Cristo, quindi, per aver assunto il Vangelo come regola e vita saranno condotti ad un’adesione personale al Signore e ad una somiglianza totale con Lui. Del Poverello si è detto che «dopo Gesù Cristo è stato l’unico cristiano» (Renán), «la copia e l’immagine più perfetta che mai si sono avute di Gesù Cristo» (Benedetto XV), «un nuovo esemplare di Gesù Cristo» (Pio XII), «in tutti gli atti della vita sua fu conforma a Cristo benedetto» (Fior 1), è stato colui che «portava Gesù sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra» (1Cel 115). Altrettanto si potrebbe dire di Chiara: donna cristiana, interamente dedicata allo Sposo (cf. 1LAg 7), che desiderava ardentemente di seguire il Crocifisso (cf. 1LAg 13) e di trasformarsi totalmente in Lui (cf. 3LAg 13). Tanto era la seduzione sperimentata dell’amore del Signore Gesù (cf. 1LAg 9)! L’ascolto sine glossa del vangelo, la conformità e la sequela delle orme di Gesù Cristo è quello che permetterà a Francesco e a Chiara di accedere completamente nel mistero di Dio.
Nella Regola non bollata e nella Regola bollata la Forma di Vita che Francesco presenta all’approvazione della Chiesa è il Vangelo (cf. Rnb 1,1; Rb 1,1). Questo, a sua volta, porta ad una configurazione totale con Cristo: obbediente, povero e casto. Lo stesso nel caso di Chiara (cf. RsC 1,1-2), che nel Testamento afferma: «per noi il Figlio di Dio si è fatto via...» (TestsC 5). Professare, «osservare il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo» è anche per le Sorelle Povere e i Frati Minori molto di più che ottemperare a ciò che chiedono alcuni testi del Vangelo. Professare il Vangelo è semplicemente essere «esegesi viventi della Parola di Dio» (VD 83), riprodurre in noi la vita di Gesù (cf. Fil 2,5), conformarsi totalmente a Cristo. Questo è stato l’obiettivo ultimo della vita di Chiara e di Francesco. Questo deve essere, care Sorelle e cari Fratelli, l’obiettivo primo ed ultimo della nostra sequela di Cristo[7].

14. Qualsiasi tipo di rinnovamento profondo comporta necessariamente il ritorno al Vangelo come regola e vita, per ascoltarlo e prestargli «l’obbedienza della fede» (Rm 1,5). La vita religiosa ed anche la vita francescano-clariana hanno bisogno di un presente ricco di passione per Cristo e per l’umanità. E questo richiederà di accendere un nuovo fuoco e iniettare nuova linfa nell’albero secolare del nostro carisma. Questo nuovo fuoco e questa nuova linfa potranno solo venire, care Sorelle e cari Fratelli, da un ritorno al Vangelo, nucleo fondante e fondamentale del carisma di Francesco e di Chiara.
Contemplando questi due innamorati di Cristo, Francesco e Chiara, quello che oggi è più urgente porre in ogni momento e in ogni circostanza il Vangelo, nelle sue esigenze più radicali, come fondamento della vita quotidiana, criterio primo ed ultimo del proprio agire o, che poi è lo stesso, collocare Cristo al centro della propria vita e missione (cf. Fil 3,8ss).
La grande sfida per voi, amate dal Signore, la stessa per noi, cari Fratelli, è ripartire dal Vangelo e lascarsi abitare da esso, se vogliamo fare di questo tempo un vero kairós e mantenere significativa la nostra Forma di Vita per gli uomini e le donne di oggi, perché solo allora potremo garantire il futuro verso il quale ci spinge lo Spirito per continuare a fare con noi grandi cose (cf. VC 110)
•        Che cosa è per me il Vangelo: un’idea/ideologia o una persona/forma di vita?
•        Quale posto occupa il Vangelo nella nostra vita quotidiana?
•        È realmente la nostra regola e vita?
•        Su che cosa si basano i nostri criteri di discernimento nella vita personale e nella vita comunitaria?
•        Al mio ascolto della Parola segue l’obbedienza di fede?

Iddio mio, Iddio mio[8]

Francesco e Chiara, due persone centrate nel Signore

15. Per Francesco il Signore era tutto (cf. LodAl). Il Poverello continua a chiedere di donarci totalmente a Colui che interamente si donò a noi (cf. LOrd 29). C’è un testo che merita di essere ricordato. Nella Regola non bollata Francesco scrive: «Tutti amiamo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze, con tutto lo slancio, tutto l’affetto, tutti i sentimenti più profondi, tutti i desideri e le volontà il Signore Iddio, il quale a tutti noi ha dato e dà tutto il corpo, tutta l’anima e tutta la vita [...]». E continua: «nient’altro dunque dobbiamo desiderare, nient’altro volere, nient’altro ci piaccia e diletti, se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero Dio, il quale è il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene [...]. Niente dunque ci ostacoli, niente ci separi, niente si interponga a che noi tutti, in ogni luogo, in ogni ora e in ogni tempo, ogni giorno e ininterrottamente crediamo veracemente e umilmente e teniamo nel cuore e amiamo, onoriamo, adoriamo, serviamo, lodiamo e benediciamo, glorifichiamo ed esaltiamo, magnifichiamo e rendiamo grazie all’altissimo e sommo eterno Dio [...]» (Rnb 23,8ss). Niente e nessuna cosa è a Lui paragonabile. Francesco è il «vero amante ed imitatore» di Cristo (cf. TestsC 5), «tutto trasformato in preghiera vivente» (2Cel 95), l’amante che si identifica con l’Amato (cf. LegM 13,5). A ragione si è detto che «per Francesco Dio ha un nome: Amore»[9].
Lo stesso dicasi di Chiara. Questa donna – di mente, anima e cuore contemplativi – esorta a consegnarsi, senza riserva alcuna, all’amore eterno (cf. LErm 3-4; 1LAg 5), al «più bello tra i figli degli uomini» (2LAg 20), evitando di lasciarsi avvolgere dalle tenebre della mediocrità o dall’amarezza o tristezza che produce «il fango del mondo» (LErm 2).
 Seguendo anche in questo il beatissimo padre Francesco, come ama chiamarlo, Chiara è una donna totalmente centrata in Gesù Cristo, una sposa profondamente innamorata dello Sposo, un’anima autenticamente contemplativa. «Quei grandi occhi di Cristo [il Crocifisso di San Damiano] – scrive Benedetto XVI – che avevano affascinato Francesco, diventarono lo “specchio” di Chiara» (DoF p. 16). Chiara apprese alla scuola di Francesco che Dio è la vera bellezza (cf. 4LAg 10; LodAl 4). Il suo cuore, quindi, si lasciò illuminare da questo splendore (cf. DoF p. 16), che non estinguerà mai «lo spirito della santa orazione e devozione» (RsC 7,2) e la trasformerà, tutta, per la contemplazione (cf. 3LAg 13), vivendo in un continuo stato di conversione, alla ricerca costante di Dio, in stabile atteggiamento di obbedienza nella fede. Nell’ascolto di Dio viene plasmata dalla Parola che la interpella.
Francesco e Chiara, due cuori profondamente innamorati del Signore che si incontrano e si riconoscono come anime gemelle nell’Amato. La loro vita è amore in risposta all’Amore (cf. LegM IX,1).

16. La contemplazione di Francesco e Chiara inizia con uno sguardo, colmo di stupore, al mistero dell’incarnazione, passione e morte del Signore. Sappiamo tutti che Francesco amava celebrare il Natale più di qualsiasi altra festa (cf. 2Cel 199); ciò che maggiormente lo stupiva – e qui c’è un grande parallelismo con Chiara – era l’umiltà di Dio fatto uomo (cf. 1Cel 84). A Natale nasce «lo stesso vero Dio e vero uomo dalla gloriosa e sempre vergine santa Maria» (Rnb 23,3) e il «Verbo del Padre [...] ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità» (2Lf 4). La contemplazione di questo mistero dell’amore e dell’umiltà porta Francesco a diventare «bambino con il Bambino» (2Cel 35). Per Francesco il mistero dell’incarnazione si prolunga costantemente nell’Eucaristia, nella quale «ogni giorno egli [il Figlio di Dio] si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene in apparenza umile» (Am 1,16-17). Per il Poverello, la contemplazione della nascita va sempre unita alla contemplazione della passione di Gesù, che volle rappresentare nella sua morte (cf. 1Cel 109ss). La nascita e la passione del Signore occupavano stabilente la mente di Francesco, come scrive il suo Biografo: «l’umiltà dell’incarnazione e la carità della passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente voleva pensare ad altro» (1Cel 84).
Nelle lettere ad Agnese la Pianticella di Francesco, da parte sua, ci mostra come la contemplazione parte sempre dallo sguardo, anche nel suo caso, attento, pieno di stupore e di gratitudine al mistero dell’incarnazione. Colui «che i cieli non potevano contenere», si è abbassato fino a mettere la sua dimora «nel piccolo chiostro» del «sacro seno» della fanciulla di Nazaret (cf. 3LAg 18-19). Il «Signore dei signori» (2LAg 1), «un così grande e tale Signore, quando venne nel grembo verginale, volle apparire nel mondo disprezzato, bisognoso e povero» (1LAg 19) e «Lui, che era ricco sopra ogni altra cosa, «volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà» (2Lf 5).
Piena di stupore davanti a tale abbassamento del Figlio di Dio, Chiara non può non esclamare: «O mirabile umiltà, o povertà che dà stupore! Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra è reclinato in una mangiatoia» (4LAg 20-21).
Lo sguardo di Chiara al mistero dell’incarnazione è quello della sposa allo Sposo, è lo sguardo di un cuore puro, di un cuore profondamente innamorato che contempla l’incarnazione del Verbo alla luce dell’amore senza limiti di Dio per l’umanità. È lo sguardo attento e permanente – quotidianamente, continuamente (4LAg 15) – che la porta a scoprire la bellezza di Gesù Cristo, lo «sposo di stirpe più nobile» (1LAg 7), con l’«aspetto più bello» (1LAg 9), «la cui bellezza ammirano incessantemente tutte le beate schiere dei cieli» e «la cui visione gloriosa renderà beati tutti i cittadini della Gerusalemme celeste» (4LAg 10.13).
Ma se la povertà e l’umiltà di Betlemme accendono lo stupore e la meraviglia interiore di Chiara e conquistano il suo cuore per Dio, sarà il calvario il luogo privilegiato dell’amore sponsale della vergine Chiara. È nella passione e morte dove si manifesta l’amore di Dio per l’umanità fino alle ultime conseguenze, la sua «ineffabile carità» (4LAg 23). Per cui, davanti allo scandalo della croce, lo sguardo di Chiara si fa penetrante, appassionato e pieno di compassione: «abbraccia, vergine povera, Cristo povero. Vedi che egli per te si è fatto oggetto di disprezzo e seguilo, fatta per lui spregevole in questo mondo. Guarda il tuo sposo... divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso e in tutto il corpo più volte flagellato, perfino morente tra le angosce della croce: guardalo, considerarlo, contemplalo, desiderando di imitarlo» (2LAg 18.20).
L’incarnazione, la passione e la morte di Gesù sono i pilastri della contemplazione di Francesco e di Chiara: «povero fu posto nella mangiatoia, povero visse nel mondo e nudo rimase sul patibolo» (TestsC 45). Una contemplazione che in Francesco e Chiara riveste i seguenti aspetti: è amorosa – scienza ed arte di amare, così la definirà Francisco de Osuma –; è strettamente unita alla povertà o, meglio ancora, al vivere sine proprio e, come tale, comporta di non porre se stessi al centro, ma di abbandonare lo spirito di possesso e di dominio e adottare un atteggiamento di distacco, così che trasparisca la pienezza di Dio (cf. LOrd 29); inseparabile dallo stupore e dalla lode, che dicono dell’«eccesso» di amore da cui si è visto inondato il contemplativo (cf. LodAl 3-4). La contemplazione, infine, deriva dalla fraternità, che, a sua volta, trova in essa il mezzo più adeguato per essere promossa. Al riguardo basta ricordare che in nessuna parte splende così chiaramente la presenza di Dio come nel volto del fratello/sorella e che l'amore fraterno è l'espressione e il criterio per eccellenza dell'amore di Dio di cui vive la contemplazione. Probabilmente questo aspetto fa sì che la contemplazione francescana si distingua da altre forme di contemplazione: l’aver sottolineato fraternità contemplative, anziché contemplativi isolati.

17. Avvolti nel silenzio ed immersi nella solitudine abitata dallo Spirito, Francesco e Chiara assumono lo sguardo contemplativo della storia e della realtà, uno sguardo sacramentale, che li porta a passare da un vedere secondo la carne a un vedere e credere (cf. Am 1,19-21), e in questo modo ad accogliere nella storia e nella realtà il mistero di Dio presente ed operante. D’altra parte, coniugando la solitudine con la comunione, Francesco e Chiara apprendono da Dio a vivere con libertà: tutto nella loro vita è ordinato a custodire le relazioni. Uomo e donna di profonda interiorità, le loro radici erano ben salde nell’amore di Gesù Cristo.
La contemplazione di Francesco e Chiara, così intesa, è essenzialmente vita di unione con Dio fino alla trasformazione totale in icona della sua divinità (cf. 3LAg 13); è conoscenza di Cristo, dedizione totale a Lui e decisa volontà a seguirLo in ogni momento; è apertura al mistero di Dio che ci circonda per lasciarci possedere da Lui. In questo senso la contemplazione è un svuotarsi totalmente di tutto il superfluo, perché Colui che è il Tutto riempia il cuore fino a traboccare.

I Frati e le Sorelle, uomini e donne innamorati di Cristo

18. Per un Frate Minore e per una Sorella Povera il Dio rivelatosi in Gesù deve occupare il centro di tutta l’esistenza. Dio e la sua ricerca saranno il loro distintivo, la loro missione e il motore della loro vita. L’obiettivo della loro vita, come quello della vita di ciascun contemplativo, è il «quaerere Deum, il cercare Dio»[10]. I Frati e le Sorelle sono chiamati ad essere monotropi, persone che tendono verso una sola cosa: Dio. I contemplativi sono persone la cui conoscenza di Dio impregna tutta la loro vita. La consapevolezza della presenza di Dio li magnetizza e li orienta al di là di qualsiasi altra cosa. I contemplativi sono coscienti che Dio li crea, li sostiene, li interpella; vivono immersi in Dio. Questa consapevolezza è il filtro attraverso il quale pensano, agiscono, pregano. I contemplativi sanno, perché lo sperimentano ogni momento, che cosa significa vivere nel seno di Dio.
Entrare in questa consapevolezza della presenza di Dio, essere contemplativi, esige disciplina, organizzare la propria vita in modo tale che quotidianamente, costantemente venga fornita un’alimentazione adeguata alla dimensione contemplativa. Uno degli elementi indispensabili è la lettura orante della Parola, «elemento fondamentale della vita spirituale», che, più ancora che lo studio, richiede «l’intimità con Cristo e la preghiera» (VD 86).
La nostra vocazione più radicale è quella di gustare «la dolcezza nascosta che Dio stesso fin dall’inizio ha riservato a coloro che lo amano» (3LAg 14). Per questo Francesco insiste che nulla si può anteporre nella nostra vita al Signore: tutto nella vita dei Frati e delle Sorelle deve servire allo spirito di orazione e devozione (cf. LAnt 2; Rnb 5,2; RsC 7,2). Chiamati a tenere la mente, l’anima e il cuore rivolti al Signore (cf Rnb 22, 19ss; 3LAg 12-13), i Frati e le Sorelle dovrebbero trovare nella contemplazione, in quanto unione con Dio e scelta radicale per Gesù Cristo, la propria ragione ultima di esistere e la loro vera missione.
In questo modo resta fuori dalla vita del Frate e della Sorella, che si considerano veramente contemplativi, ogni attivismo che spegne lo spirito di orazione e devozione, così come resta fuori ogni mediocrità, routine o stanchezza. Essere contemplativi è prendere il Vangelo con le sue esigenze più radicali, senza sconti e senza giustificare adattamenti ad un comodo stile di vita. La contemplazione per i seguaci di Francesco e Chiara è scegliere in maniera esclusiva per il Signore, consegnargli la vita così da poter dire come san Paolo: «non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). La contemplazione è per un Frate Minore e per una Sorella Povera poter affermare con Francesco: «Dio mio e ogni mio bene» e con Chiara: mi basta lo Sposo, perché «la sua potenza è più forte, la sua nobiltà più elevata, il suo aspetto più bello, il suo amore più soave e ogni favore più fine» (1LAg 9). La contemplazione francescano-clariana deve essere sempre vista nell’orizzonte della sequela di Cristo. La sequela di un Frate Minore o di una Sorella Povera è contemplativa e, per questo, non si può mai separare la contemplazione dalla qualità evangelica della vita, secondo il proposito di vita che abbiamo abbracciato con la professione (cf. 2LAg 11), o dalla ferma volontà di crescere «di bene in meglio, di virtù in virtù» (1LAg 32), percorrendo senza inciampi la strada della beatitudine (cf. 2LAg 12-13). Inoltre, la contemplazione francescano-clariana non è mai una contemplazione astratta, oggi tanto in voga a motivo delle filosofie orientali, né è una contemplazione che annienta l’io, ma una contemplazione del Tu che si presenta come la pienezza dell’io, nell’incontro cordiale dell’io con il Tu o, per usare un’espressione di Chiara, una contemplazione che è un abbraccio dalla grande tenerezza (cf. 4LAg 32).
Tutto ciò è impossibile senza una profonda esperienza di fede che plasmi tutta l’esistenza umana: «i pensieri e gli affetti, la mentalità e il comportamento» (Pf 6). La fede è la porta, la meta e il fondamento della vita contemplativa. La fede va oltre l’ortodossia, la devozione religiosa o la pietà. La fede è abbandono nelle mani di Dio, fiducia nell’Oscurità che è Luce. Il credente confida nell’oggi ed accetta il domani, perche sa che, comunque sia, Dio è in esso. La fede vive nel mistero che è Dio e cresce nella vita. Una vita contemplativa non è possibile senza un incontro personale con la persona di Gesù. Solo a partire dalla fede, che sgorga e si sostiene nell’incontro personale con Gesù, uno può accogliere in ciò che accade quello che non accade, nel frammento l’unità, nel momentaneo l’eterno, nell’umano il divino. Solo la fede dà la possibilità di passare dal vedere nella carne al vedere credente e con gli occhi di Dio. Invitandoci ad altrepassare la porta della fede (cf. At 14,27), Benedetto XVI afferma: «Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta» (Pf 3). L’anno della fede indetto da Benedetto XVI potrebbe essere una buona occasione «per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede» (Pf 7).
In questo cammino, però, né i Frati né le Sorelle possono mai dimenticare che la passione per Cristo è passione per l’umanità. Per questo la loro contemplazione non può essere estranea alla vita dell’uomo e dei popoli e a ciò che a loro accade. Questa realtà deve essere presente in ogni istante della vita e della preghiera dei contemplativi. Lo ricordava già Chiara alle Sorelle di San Damiano: «Carissime figlie, da questa città ogni giorno riceviamo molti beni; sarebbe grande empietà se al momento della necessità non le venissimo in soccorso come possiamo» (LegsC 15). Un Frate Minore e una Sorella Povera devono sentirsi in comunione con tutti, presentare tutti al Signore con le loro gioie e i dolori, con le loro speranze e frustrazioni. Porteranno tutti nel loro cuore che resta fisso nello Specchio, accoglieranno tutti nella loro anima contemplativa.
Questo sarà possibile se i Frati e le Sorelle coltiveranno una spiritualità dinamica, che ci fa insieme figli del cielo e figli della terra; una spiritualità integrale, che ci porta a vivere in pienezza nell’amore per Dio e per il prossimo; una spiritualità in tensione, che ci dia la possibilità di essere insieme mistici e profeti. La nostra Forma di Vita ci chiede questo, questo si aspettano da noi i nostri contemporanei.

Metodo clariano di contemplazione

19. Ma che passi bisogna fare per raggiungere una vera contemplazione? Concentriamoci su Chiara. La donna nuova non è solo un’anima contemplativa, ma è anche maestra di contemplazione e, in quanto tale, ci offre un metodo da seguire, che può essere sintetizzato con tre verbi presenti nella seconda lettera di Chiara ad Agnese: guardare (osservare), considerare e contemplare.
•        Guardare, osservare attentamente: «Guarda ogni giorno questo specchio ... guarda con attenzione – ti dico – il principio di questo specchio, la povertà di colui che è posto in una mangiatoia e avvolto in pannicelli» (4LAg 15.19) Il guardare implica il mettere in gioco tutti i sentimenti per rivestirsi di Cristo (cf Gal 3, 27; Ef 4,24), per avere i suoi stessi sentimenti (cf Fil 2,5). Non si tratta di un’esperienza romantica davanti al presepio, ma di un’esperienza di vera povertà. Il guardare contemplativo a cui Chiara invita comporta una scelta decisa per la povertà, seguendo in questo il cammino scelto dal Figlio di Dio (cf TestsC 5). Lontani da un guardarsi addosso, si tratta di uscire da se stessi e contemplare la povertà di Colui che «si è fatto per te spregevole». Per Chiara non c’è altro modo di guardare alla povertà di Cristo che facendosi povera: «Seguilo, fatta per lui spregevole in questo mondo» (2LAg 19).
•        Considerare. Per Chiara il considerare abbraccia la mente e porta a percepire l’umiltà come un contrasto che scandalizza e affascina: il Re degli angeli avvolto in pannicelli e posto in una mangiatoia (cf 4LAg 19s). Per Chiara, come per Francesco povertà e umiltà sono strettamente unite (cf Salvir 2). La povertà rende manifesta la condizione dei poveri di beni materiali, l’umiltà esprime ciò che di più profondo ha la povertà: l’abbassamento, l’umiliazione, il disprezzo. Se la povertà è la negazione della ricchezza, l’umiltà è la negazione del potere. L’umiltà è la condizione kenotica della sequela. Per Chiara “considerare” vuole dire seguire Cristo nella sua umiltà e nel suo abbassamento.
•        Contemplare. Contemplare implica principalmente il cuore che per Chiara è il luogo dell’allenaza con lo Sposo. In questo senso la contemplazione esprime la consegna totale e radicale, la comunione che permette di gustare Dio. Per questo è necessario tenere il cuore completamente rivolto al Signore. In questo modo sarà possibile avere un cuore puro (cf. RegsC 10,10), vedere con gli occhi di Dio. Contemplare, come si è detto, è semplicemente seguire Cristo con la radicalità prosposta dal Vangelo.
“Vedere”, “considerare” e “contemplare”, più che di gradi, sono momenti di uno stesso processo che va ben al di là di una mera considerazione intellettuale e conduce ad un’esperienza che coinvolge la persona in ogni sua dimensione: spirituale, intellettuale, affettiva e sensibile, sfociando in una scelta di vita conforme al contemplato. Così la contemplazione clariana è come l’amore autentico: avvolgente (cf 3LAg 12s; 4LAg 15), che porta alla sequela e all’identificazione piena con la persona amata, che porta alla trasformazione dell’amante nell’Amato.

20. Per arrivare ad una simile identificazione o ad un tale grado di contemplazione è necessario il silenzio. Questo è ciò che pensa Chiara nella sua Regola (cf RsC 5) e così pensano la Chiesa e le stesse Costituzioni delle Sorelle Povere: «la ricerca dell’intimità con Dio comporta il bisogno, veramente vitale, di un silenzio di tutto l’essere» (ET 46; cf. CCGG OSC 81). La Sorella Povera che desidera rimanere nell’intimità con lo Sposo e trasformarsi in lui, deve evitare alla sua anima «ogni strepito» (LegsC 36). Ma il silenzio è necessario solo per le Sorelle? Non credo. Il silenzio, dal momento che precede la Parola di Dio e la Parola su Dio è necessario anche per i Frati (cf. Rer 3). Francesco con il suo amore per i luoghi ritirati ci insegna il valore del silenzio. Dobbiamo confessare che il silenzio ci fa paura perché è il vuoto nel quale si incontra l’io con Dio, e, allo stesso tempo, ci mostra quello che ancora ci manca per essere ciò che dobbiamo essere.
Una cosa però è stare zitti, un’altra, ben diversa, è il silenzio abitato. Questo non è mutismo, è piuttosto un rimanere con una presenza vivificata e creativa. Il silenzio di cui stiamo parlando è la presenza dell’io nel tu, un attento e intimo divenire del Signore nella propria vita. Se lo stare zitti ha un carattere ascetico, il silenzio va compreso in prospettiva mistica: stare con Dio, con se stessi e con gli altri. Allora nascerà il silenzio nella parola, nel lavoro, nell’incontro, mentre la forma del parlare saranno la discretio (cf. RsC 5,8) e la devotio (cf. RsC 7,2) e tuttto rimanderà all’amore reciproco e alla pace interiore ed esteriore (cf. RsC 4,22). Il silenzio di cui ci parlano Francesco e Chiara è fatto di solitudine e di ascolto, di relazione armoniosa tra silenzio e parola.
Per una vita veramente contemplativa sono necessarie: l’orazione mentale e fraterna (cf. RsC 3), l’ascolto orante della Parola e una vita liturgica intensa. Solo così il contemplativo scoprirà chi è veramente. La preghiera è la chiave che apre al Silenzio, al Tutto.

La clausura al servizio della contemplazione

21. Desidero ora soffermarmi sul tema della clausura delle Sorelle, elemento che definisce lo specifico della vita clariana all’interno del carisma francescano. I Frati Minori e le Sorelle Povere condividono tutta la ricchezza del carisma: povertà, fraternità, cattolicità, missionarietà... Tuttavia, alla Sorelle Povere probabilmente viene richiesto un di più attraverso la clausura: uno stare fedele e costante alle sorgenti del mistero, con una vita orientata esclusivamente alla contemplazione. È vero, sia i Frati Minori che le Sorelle Povere sono chiamati ad avere un’unione forte e indissolubile con le radici della vita consacrata che è Gesù, contemplato nel mistero di amore e di dolore, ma, se questa è la meta comune che deve orientare la nostra vita, diversi sono i mezzi per raggiungerla. Mentre voi siete chiamate a mantenere prevalentemente fisso lo sguardo direttamente nello Specchio, noi siamo chiamati anche a testimoniare e ad annunciare al mondo Colui che è riflesso. Ho evidenziato il prevalentemente, poiché sarebbe un’infedeltà da parte vostra se perdeste di vista l’umanità per la quale state dando la vita nel chiostro; come sarebbe infedeltà da parte nostra se perdessimo di vista Gesù, a cui ci siamo legati con la professione e che è Colui che sostiene il nostro lavoro apostolico. Credo che in questo possiamo molto aiutarci reciprocamente: voi, ricordandoci che c’è un tempo da perdere unicamente per Lui, perché c’è bisogno che Lui stia con noi e noi con Lui; noi, a tirarvi fuori da un quietismo che vi potrebbe portare a chiudervi nei vostri ritmi quotidiani, nei vostri problemi interni. Noi possiamo e dobbiamo darvi la nostra esperienza di Dio, ricca dell’incontro con la povertà dell’uomo, voi dovete darci il volto di Gesù nel cui mistero vivete immerse quotidianamente, senza distrazioni, grazie ad una vita profondamente contemplativa. Così voi ci aiuterete a rendere più “divino” il nostro lavoro; mentre noi vi aiuteremo a rendere più concreta ed umana la vostra contemplazione.
Tenendo presente quanto detto, la clausura è un elemento importante della forma di vita delle Sorelle Povere, che hanno scelto una vita interamente contemplativa. Una contemplazione come quella di cui abbiamo parlato può essere vissuta solo in uno spazio vitale di clausura. L’io si può consegnare all’Altro solo se esiste un’armonia interiore riconciliata.
La clausura per le Sorelle Povere non è un fine in se stesso, ma uno strumento per custodire la vita in Dio. Contemplazione e clausura sono strettamente unite. In questo senso la clausura trova il suo significato più pieno quando è vissuta come spazio di relazione. La clausura dovrà aiutare la persona, tutta intera – mente, cuore e corpo –, a custodire una relazione privilegiata, intensa, con la persona del Signore Gesù. Attraverso la clausura la Sorella Povera rende visibile una nuova modalità di relazione appresa alla scuola della Trinità.
In quanto alla clausura della mente la vedo molto vicina alla santa semplicità, tanto amata da Francesco, che è la purezza dello sguardo che va oltre qualsiasi ambiguità o debolezza. Questa clausura della mente ha molto a che vedere con la formazione. In questo senso una Sorella Povera deve essere formata a saper leggere gli avvenimenti della vita con quello sguardo profetico che va al di là del dato reale, per riconoscere in essi l’opera di Dio. La clausura del cuore deve aiutare la Sorella ad allargare gli spazi del cuore, per amare con cuore libero; libero, perché è unita strettamente a Gesù e in Lui con tutti i fratelli per i quali Gesù ha dato la vita. La clausura del cuore deve prestare grande attenzione alla qualità delle relazioni. Una Sorella Povera appartiene, totalmente, a Lui e in Lui alla Chiesa, soprattutto alla prima Chiesa che è la comunità. Questo deve trasparire in tutte le relazioni di una Sorella Povera. La clausura del corpo fa riferimento al fatto fisico della clausura, al vostro vivere “separate”. Questa clausura comporta rinuncia, ma questa sarà facilmente superabile se la vostra separazione è abitata da Lui e, in Lui, anche dagli altri. Anche questa clausura, però, deve portarvi ad allargare la prospettiva della vita, offrendo un’alternativa al modo normale delle persone di relazionarsi.
In questo modo la clausura non è tanto una separazione, ma un nuovo tipo di relazione: con Dio e, di conseguenza, con gli altri. Valutando la vostra clausura come una forma radicale di vivere sine proprio e come un “qualcosa di unico” all’interno del carisma francescano-clariano, penso che le Sorelle Povere siano chiamate a fare una sosta nel loro cammino e a domandarsi se la stabilità, che certamente è una caratteristica della vita contemplativa, non si sia trasformata in immobilità e se non si possa continuare a parlare di stabilità anche assumendo la teologia della tenda, così che la stabilità e la clausura possano continuare ad essere segno vivente di speranza tra quanti vivono in modo distratto e come se Dio non esistesse.
Chiamata a spendere la propria vita vivendo solo per Dio, è necessario che la Sorella Povera riqualifichi e dia un senso nuovo alle coordinate del suo vivere la stabilità e la clausura. Solo così sarà un segno per il mondo di oggi diviso e frammentato. Per questo è necessario anche che i Monasteri si trasformino in luoghi di silenzio abitato, di ascolto, di accoglienza per quanti si sentono persi, hanno bisogno di amicizia, cercano e desiderano di incontrare il Signore e, così, dare un nuovo senso alla propria vita.
•        Chi è Gesù per me?
•        Quale posto occupa nella mia vita e in quella della mia Fraternità?
•        Come vivo la dimensione contemplativa nella vita concreta di ogni giorno?
•        Esiste nella mia vita e in quella della mia Fraternità un “progetto ecologico di vita”, nel quale siano assicurati i tempi per se stessi, per Dio, per i Fratelli/le Sorelle e per la missione?
•        Nel caso delle Sorelle: come vivo la clausura? Come una forma alternativa di rapporto o come un’assenza e una semplice separazione?

La vita fraterna in comunità o in santa unità

22. Francesco e Chiara vivono la sequela di Cristo povero nella comunione della vita fraterna o in santa unità. Dal momento in cui il Signore diede dei Fratelli a Francesco ed illuminò il cuore e donò delle Sorelle a Chiara (cf. TestsC 24-25), il Poverello e la sua Pianticella compresero se stessi solo a partire dalla relazione con i Fratelli e le Sorelle. La Forma di vita che entrambi ci hanno trasmesso è pensata per essere vissuta in fraternità. Questo è dimostrato dalla quantità e varietà dei termini e delle espressioni che incontriamo nella Forma di Vita di Francesco e di Chiara per indicare la relazione fraterna dei Fratelli e delle Sorelle[11].
Tenendo presente questo semplice dato, non c’è dubbio alcuno che la fraternità o la santa unità è una delle note più caratteristiche e peculiari della Forma di Vita delle Sorelle Povere e dei Frati Minori, un elemento irrinunciabile nel progetto della vita francescano-clariano. Per Chiara, come per Francesco, la Fraternità è il luogo in cui il Vangelo è vissuto nella quotidianità, l’ambito privilegiato dove si dà testimonianza di un Dio che è comunione nella diversità e diversità nella comunione, l’humus in cui fiorisce la comune lode, la gioia contemplativa e la pace, frutti dello Spirito e tratti caratteristici delle prime fraternità francescano-clariane.
Tanto per Francesco quanto per Chiara, fraternità dice uguaglianza. Se tutti/tutte sono Fratelli/Sorelle, tutti/tutte sono uguali (cf. VC c. II). La fraternità vuol dire reciprocità. Se un Fratello solo o una Sorella sola non è fratello o sorella, tutti devono prestare attenzione «gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb 10,24). Fraternità dice, infine, familiarità. Se tutti/tutte sono Fratelli/Sorelle, tutti devono comportarsi familiarmente tra loro, perché tutti formano la stessa famiglia.

La vita fraterna dei Frati Minori e delle Sorelle Povere

23. Chiamati a seguire il Vangelo e le orme di Gesù Cristo, i Frati Minori e le Sorelle Povere sono costituiti in fraternità e come fraternità. Se ogni vita consacrata è chiamata ad essere signum fraternitatis (cf. VC c. II), la vita fraterna è per i Frati Minori e le Sorelle Povere il volto più attraente, la loro vocazione e missione, il loro modo di vivere il Vangelo e di testimoniare Cristo (cf. Gv 13,35). Peraltro, per noi la vita fraterna è essenziale nella crescita umana e spirituale; anche per voi, care Sorelle, che avete scelto una vita completamente contemplativa. Il vero contemplativo ascolta la voce di Dio negli altri, vede il volto di Dio nel volto degli altri, conosce la volontà di Dio nella persona dell’altro, serve il cuore di Dio curando le ferite e rispondendo agli inviti dell’altro. La fraternità mette alla prova lo spessore umano e spirituale delle persone.
In un mondo segnato dall’individualismo, dalla frammentarietà, dalla violenza e dalla divisione; in un mondo in cui si sono indeboliti i gruppi primari come la famiglia e la stessa amicizia, la Fraternità è una denuncia profetica contro tutto questo ed un annuncio, anch’esso profetico, che un modo diverso, basato sul rispetto e l’ascolto, è possibile. In questo senso allora si capisce il perché la vita fraterna è evangelizzatrice per se stessa.

Il fondamento della vita fraterna in comunità

24. Anche se la Fraternità è stata uno degli aspetti su cui si è maggiormente lavorato in questi ultimi decenni, tuttavia dobbiamo riconoscere che la vita fraterna in comunità continua ad essere una sfida ed uno degli elementi della nostra Forma di Vita più difficile, ed anche più fragile, quando si tratta di viverla in profondità. È che la Fraternità indica una realtà che trascende i vincoli del sangue, così come quelli che provengono da una cultura condivisa, della stessa amicizia e del lavoro condiviso. Parlare di Fraternità è parlare di una realtà che affonda le sue radici più profonde in Dio stesso: «il Signore mi dette dei fratelli» (Test 14), il Signore mi ha donato delle Sorelle (cf. TestsC 25). La vita fraterna in comunità ha molto a che vedere con la fede in un Dio che si è fatto dono nei fratelli e nelle sorelle.
Solo quando uno/una ha chiara consapevolezza che il fratello/la sorella è un dono di Dio, allora impallidiscono le possibili differenze e, lungi dall’essere viste come minacce alla propria individualità, vengono accolte come manifestazioni di un Dio che fa nuove tutte le cose e mai si ripete. Solo quando confesso con il cuore grato che il Signore mi dette dei fratelli e delle sorelle gli altri cesseranno di essere estranei per me e potranno essere considerati un alter ego. Posso, quindi, prestare attenzione all’altro (cf. Eb 10,24); rendermi conto delle sue necessità e venire incontro ad esse con sollecitudine; sentirmi “custode” dei miei/mie fratelli/sorelle (cf. Gen 4,9); instaurare relazioni reciproche, caratterizzate da una particolare attenzione al bene dell’altro «sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale» (Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2012, 1)!

La correzione fraterna

25. Così, sarà anche possibile la correzione fraterna, esigenza di amore verso il/la fratello/sorella che pecca (cf. Mt 18,15); correzione fatta non con spirito di condanna o di recriminazione, ma «con spirito di dolcezza» (Gal 6,1), umanità e amore (cf. Rnb 5,5) e mossi sempre dalla carità che si deve avere verso chi pecca (cf. Lmin 9). E lungi dall’adirarci e turbarci per il peccato dell’altro (cf. Rnb 5,7-8; Lmin 15; RsC 9,5), preghiamo per lui «affinché il Signore illumini il suo cuore a penitenza» (RsC 9,4). La correzione fraterna, evangelica e francescana, scaturisce sempre dall’amore e dalla misericordia, da una vera sollecitudine per il bene del fatello/sorella. Come scriveva Benedetto XVI, «nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità [...] per migliorare la propria vita e camminare più rettamente nella via del Signore» (Messaggio per la Quaresima..., 1). Facciamo attenzione, cari Sorelle e Fratelli, a non cadere vittime dell’«anestesia spirituale» che ci porta a disinteressarci degli altri. Questo non accada in una fraternità di Frati e di Sorelle! Ascoltiamo l’Apostolo Paolo che ci invita a cercare quello che «porta alla pace e all’edificazione vicendevole» (Rm 14,19) e, dato che siamo uno stesso corpo ed apparteniamo gli uni agli altri, «le varie membra abbiano cura le une delle altre» (1Cor 12,25).
La comunione di vita nella fraternità francescano-clariana, basata sulla scuola del Vangelo che è vita, incontra nell’«unità dell’amore vicendevole» la sua prima e più eloquente espressione (RsC 10,7). Questa unità, vissuta nell’accettazione e valorizzazione della diversità dell’altro, pone i Fratelli e le Sorelle dentro un processo dinamico di conversione, in uno stato di formazione permanente, nel quale sono sempre chiamati a stabilire relazioni autentiche con se sessi, con i Fratelli e le Sorelle, con Dio, con gli altri e con la creazione. Così, «la persona consacrata si libera progressivamente dal bisogno di mettersi al centro di tutto e di possedere l'altro, e dalla paura di donarsi ai fratelli; impara piuttosto ad amare come Cristo l'ha amata, con quell'amore che ora è effuso nel suo cuore e la rende capace di dimenticarsi e di donarsi come ha fatto il suo Signore» (VFC 22).

26. Esperti nel vivere la restituzione dell’amore che Dio ha effuso nei nostri cuori (cf. Rm 5,5) attraverso le parole, i sentimenti, i comportamenti e le scelte di ogni giorno, il Frate Minore e la Sorella Povera non trovano nella Fraternità un comodo rifugio, ma un luogo in cui impegnarsi per costruire la comunione, sentendosi responsabili della fedeltà degli/delle altri/altre, e della fedeltà alle scelte della stessa Fraternità, favorendo un clima sereno, di comprensione e di aiuto reciproco (cf. VFC 57). La vita fraterna in comunità è, quindi, dono e compito. Come dono si è grati al Signore, da cui proviene ogni dono; come compito la Fraternità si costruisce sulla base di un costante auto-svuotamento – vivere sine proprio –, secondo la logica del dono senza riserve.
Guardandosi «da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di questo mondo, dalla detrazione e mormorazione, dalla discordia e divisione» (RsC 10,6), il Fratello e la Sorella si consegnano ogni giorno di più alla Fraternità e, nello stesso tempo, la sosterranno contemplandola nel mistero di Dio. In tale contemplazione esprimono, poi, la loro gratitudine per tutto quello che dalla Fraternità ricevono continuamente. Effettivamente, il Frate Minore e la Sorella Povera sono consapevoli che una vera Fraternità si forma nella contemplazione dell’amore trinitario, nel quale si impara a scoprire la bellezza e la positività degli altri e di se stessi; ad orientare le proprie necessità, tenendo conto di quelle degli altri; a mantenersi sempre aperti alla relazione, come Dio fa con noi, anche quando siamo infedeli (cf. 2Tm 2,13).
Solo quando è sostenuta da questo amore, la vita fraterna in comunità o santa unità potrà superare gli inevitabili conflitti e rimarrà integra oltre questi: «sempre è possibile migliorare e camminare assieme verso la comunità che sa vivere il perdono e l'amore. Le comunità, infatti, non possono evitare tutti i conflitti. L'unità che devono costruire è un'unità che si stabilisce al prezzo della riconciliazione» (VFC 26). Quando una Fraternità di Frati Minori o di Sorelle Povere intraprende questo cammino diventa una vera scuola di comunione (cf. NMI 43).

Costruire fraternità

27. Dato che la fraternità è una relazione di amore reciproco (cf. RsC 4,22;10,7), amore di andata e ritorno, per raggiungerla è importante formare e formarsi nelle relazioni orizzontali all’interno della Fraternità, nel rispetto naturale dei servizi. In particolare, colei che è chiamata ad esercitare il ministero dell’autorità deve vivere una specifica “obbedienza” alla sequela di Cristo, che è venuto per servire e non per essere servito (cf. Mt 20,28; Am 4).
Per Chiara, come per Francesco, questo modo di esercitare l’autorità si esprime nell’essere artefici di comunione (cf. RsC 4,11-12; Lmin 9ss), nell’ammonizione e nella correzione delle/dei Sorelle/Fratelli (cf. RsC 10,1; 9,1; Rnb 5,1ss), nella custodia del carisma (cf. RsC 6,11), nell’accompagnamento delle Sorelle/Fratelli (cf. RsC 4,9; Rnb 4,6), nella promozione della corresponsabilità e collaborazione (cf. RsC 2,1-2; 4,15.10.22-24).
Chiamati a servire i Fratelli e le Sorelle, «coloro che sono costituiti sopra gli altri (Am 4,2) saranno i primi a coltivare la vita nello Spirito per esercitare l’inevitabile discernimento sui Fratelli e le Sorelle e sulla Fraternità (cf. Rnb 16,5), lasciandosi guidare in tutto da ciò che a loro «sembrerà essere più conveniente secondo Dio» (Rnb 5,6); saranno diligenti e promuoveranno i doni che ogni Fratello o Sorella ha ricevuto dal Signore, infonderanno coraggio e speranza a quanti/quante attraversano momenti difficili; saranno attenti a mantenere vivo il carisma e il senso ecclesiale della Fraternità; e, consapevoli che dalla formazione permanente dipende la fedeltà creativa alla vocazione e missione, accompagneranno il cammino di formazione permanente dei Fratelli e delle Sorelle (cf. Il servizio dell’autorità e l’obbedienza [= SAO], 13).
Per costruire la fraternità, i Ministri e le Abbadesse, ma anche i/le Fratelli/Sorelle, devono aver particolare cura delle seguenti mediazioni: la comunicazione e le relazioni interpersonali.
Comunicare è rendere partecipi gli altri non solo di quello che faccio, ma anche di quello che penso e che sento. Condurre una vita fraterna in comunità vuol dire, condividere la propria storia, quella che stiamo vivendo e quella che ci viene donata. La nostra storia, con le sue vicissitudini quotidiane, con le sue gioie e le sue ombre; e quella che ha per protagonista occulto Dio stesso, dove il suo amore, nello stesso tempo, si mostra e si nasconde. In un mondo interconnesso costantemente attraverso i mezzi tecnici, si corre il rischio di una comunicazione superficiale anche nelle nostre Fraternità. Non credo di esagerare nel dire che abbiamo bisogno di crescere molto nella comunicazione, soprattutto nella comunicazione della storia nascosta dell’amore di Dio. Per noi che abbiamo dedicato la vita al Signore e l’abbiamo fatto con tutto il cuore nella Fraternità, comunicare quello che Dio opera in noi deve essere la linea maestra della nostra vita. Abbiamo bisogno di crescere molto nella comunicazione spirituale, sapendo che essa richiede un clima di rispetto, di accoglienza, di accettazione, di libertà e di amicizia spirituale.
A sua volta, le relazioni interpersonali devono essere caratterizzate dalla familiarità. Attenzione alle relazioni puramente virtuali! Noi, Fratelli e Sorelle, siamo chiamati ad essere maestri di relazione. Per questo, oltre a promuovere tra di noi una relazione calda ed autentica, dobbiamo affrontare i conflitti con un atteggiamento adulto. Inoltre, non possiamo dimenticare che la comunicazione e la relazione sono fatte di parole, di segni e di silenzi. Ci sono parole, segni e silenzi che impediscono la comunicazione e le relazioni interpersonali, così come ci sono parole, segni e silenzi che le promuovono.
Ma al di là della responsabilità del Ministro o dell’Abbadessa nella costruzione della fraternità, la Fraternità e la santa unità saranno custodite da ogni Fratello/Sorella nella misura in cui questi/questa lascia la propria volontà per compiere il progetto di Dio su di esso/essa e sulla Fraternità, in obbedienza alla volontà del Padre, secondo l’esempio di Cristo (cf. 2Lf 11), che «imparò l'obbedienza da ciò che patì». E tutto questo anche in situazioni particolarmente difficili (cf. SAO 10).
In questo compito di costruire la fraternità non possiamo rinunciare a promuovere, in ogni momento, la trama comune della mutua appartenenza: uni agli altri e tutti del Signore. Tale idea della mutua appartenenza aumenterà il senso di complementarietà: ne abbiamo bisogno molto di più di quanto pensiamo. Nessuno è di più nella trama comune, perché essendo differenti, formiamo un solo corpo. Comunicazione e relazioni interpersonali hanno molto a che fare con questo senso di appartenenza reciproca, secondo la quale si tratta di includere una vita nell’altra, condividendo quello che ciascuno è, data la comune appartenenza al Signore.
Nella Fraternità si entra ringraziando, perché tutto in essa è, in primo luogo, un dono che ci è stato fatto. Se c’è qualcosa che distrugge le nostre Fraternità è la pretesa di essere sopra gli altri, di trasformarci in giudici dei/delle nostri/nostre Fratelli/Sorelle. Questo avviene perché proiettiamo su di loro i nostri sogni ed esigiamo da Dio, dagli altri che li realizzino. Amando il nostro sogno di Fraternità piuttosto che la Fraternità reale, ci trasformiamo in distruttori della Fraternità. Si inizia con l’accusare i nostri fratelli, poi si accusa Dio ed, infine, diventiamo accusatori disperati di noi stessi. Dobbiamo ricordare che non esiste la Fraternità ideale che possa accogliere i nostri sogni di orgoglio pretenzioso e che la Fraternità si costruisce sul perdono e sulla riconciliazione, poiché ha molto a che fare con la propria limitazione e con quella degli altri.
La Fraternità e la santa unità, di cui stiamo parlando, comporta anche aprirsi a delle relazioni che vanno al di là della propria Fraternità. In questo senso credo che i tempi siano maturi per una revisione dell’autonomia delle Province e dei Monasteri, in modo che si ponga maggiormente in evidenza il senso di appartenenza ad una Fraternità che vada oltre i confini del proprio Monastero o della propria Entità. Ciò richiede la rinuncia all’autosufficienza, qualunque siano i mezzi che una comunità possa disporre, e l’apertura alla collaborazione e all’interdipendenza fraterne. La comunione che apre le porte è il migliore antidoto alla stanchezza e alla mancanza di speranza che a volte sono presenti anche tra le Sorelle.
Infine, la Fraternità o la santa unità è ben lungi dall’essere uniformità. Tanto le Sorelle quanto i Fratelli sono chiamati ad assumere la diversità come una ricchezza. Questo sarà possibile solamente con una visione di fede che porterà a vederla come un dono e regalo del Signore. La comunione fraterna crea la santa unità nella diversità. Allora è unità libera, protetta e sorretta.
•        Quale sarebbe la diagnosi della vita fraterna in comunità?
•        Quali sintomi, positivi e negativi, avverti nella vita fraterna della tua Fraternità?
•        Con quali strumenti partecipi alla costruzione/distruzione della Fraternità a cui appartieni?
•        Che cosa dici della correzione fraterna nella tua Fraternità?
•        Esiste un progetto di vita fraterna elaborato dalla Fraternità? Se non esiste, quali passi intraprendere per la sua elaborazione?

Senza nulla di proprio

28. Un elemento importante della Forma di Vita di Francesco e Chiara è vivere senza nulla di proprio (cf. Rb 1,1; RsC 1,2). La sua collocazione tra l’obbedienza e la castità ci fa pensare che il senza nulla di proprio è la chiave per vivere l’una e l’altra, ma anche per vivere molti altri aspetti del carisma francescano-clariano. In questo senso credo che parlare del senza nulla di proprio è parlare di una delle linee essenziali della spiritualità francescana, centrata sulla sequela di Cristo povero, comprensibile solo alla luce che tutto abbraccia.

Francesco e Chiara liberi da tutto per amare Colui che è il Tutto

29. Per Francesco e Chiara la povertà ha un volto ed un nome, quelli di Gesù Cristo, povero e crocifisso (cf. 2LAg 18-19) e trova la sua massima espressione nel vivere senza nulla di proprio (RsC 1,2). Seguire l’insegnamento e le orme del Signore nostro Gesù Cristo, è anzitutto abbracciare la sua povertà: seguire le sue orme e la sua povertà (cf. Rnb 1,1; Rb 6; LfL 3). Vendere tutto, dare il ricavato ai poveri, vivere senza nulla di proprio, fanno parte dell’esperienza fondante di Francesco e Chiara, diventano la nota dominante e distintiva del fare penitenza (cf. RsC 6,1), del convertirsi a Gesù Cristo[12].
Chiara, come Francesco, riferendosi a chi desidera abbracciare la sua forma di vita, chiede che le vanga detta la parola del Vangelo: «vada e venda tutte le sue cose e procuri di distribuirle ai poveri» (RsC 2,8; cf. Rb 2,5). Questa parola del Vangelo è alla base di ciò che, questi due innamorati di Cristo povero e crocifisso, considerano la parola carismatica per eccellenza, il segno referenziale della loro esperienza evangelica, la scelta di fondo che ispira la decisione di vivere secondo «la perfezione del santo Vangelo» (Fvit 1; cf. RsC 6,3), la parola che orienta ed illumina i passi successivi.
Sia il Poverello che la sua Pianticella, scegliendo di vivere senza nulla di proprio, si ispirano all’amore di Cristo, il povero per eccellenza (cf. 2Lf 4-5; 2Cel 16.55.73-74: TestsC 45). Da Lui appresero l’espropriazione, l’abbassamento più radicale ed assoluto (cf. 2Cel 83-85). Custodire una profonda relazione con Gesù Cristo, per loro significa vivere senza nulla di proprio. Inoltre, per entrambi il senso primo ed ultimo della povertà, del vivere senza nulla di proprio, è testimoniare che Dio è la vera ricchezza del cuore umano (cf. LoAl 4; TestsC 43-44.47; VC 90).
Se Francesco è rimasto fedele a quanto significava il gesto di spogliarsi davanti al padre Bernardone (cf. 1Cel 15), Chiara fu fedele, fino alla fine, all’Ultima volontà di Francesco: «Io, frate Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore Gesù Cristo e della sua santissima Madre e perseverare in essa sino alla fine. E prego voi, mie signore, e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima vita e povertà. E guardate con grande cura di non allontanarvi mai da essa, in perpetuo e in nessuna maniera, per insegnamento o consiglio di alcuno» (Uvol). Ella stessa lo ribadisce nella Regola quando scrive: «E come io, insieme con le mie sorelle, sono stata sempre sollecita nel custodire la santa povertà che abbiamo promesso al Signore Dio e al beato Francesco» (RsC 6,10). Anche Giacomo da Vitry lo testimonia, quando, in contrasto con quanto ha trovato nella Curia, parla dei Frati Minori e delle Sorelle Minori come di quelli che si spogliano di ogni proprietà per Cristo (cf. 1Vitry 7-8).

30. In questo contesto di fedeltà a detta volontà deve collocarsi la richiesta del Privilegio di povertà presentata a Gregorio IX e che Chiara ottiene dal Papa il 17 settembre 1228. L’originale di questo Privilegio si conserva nel Promonastero di Assisi, come testimonianza della fedeltà a quanto Chiara promise al Signore e a Francesco. Anche se non conosciamo come è stata presentata la richiesta al Papa, tuttavia è significativa la motivazione che giustifica il Privilegio: «come è manifesto, desiderando dedicarvi al solo Signore, avete respinto la brama delle cose temporali. Perciò, venduto tutto e distribuitolo ai poveri, vi proponete di non avere assolutamente alcuna possessione, aderendo in tutto alle orme di colui che per noi si è fatto povero, e via e verità e vita» (Priv 2-3). È Cristo e la sua sequela il motivo primo ed ultimo della povertà di Chiara. A ragione il beato Giovanni Paolo II la definisce come «l’amante appassionata del Crocifisso povero, con cui vuole assolutamente identificarsi»[13]. Chiara, donna cristiana, non volle possedere nulla, come Francesco, piuttosto ha scelto di vivere senza nulla di proprio, per possedere Colui che è il Tutto. La povertà di Chiara è, soprattutto, una questione di relazione.
Era questo il suo desiderio sin dai primi anni della sua vita. Pertanto, quando riuscì a passare dalla classe nobile dei cavalieri alla classe sociale dei “vilis” e servi, volle permanere in verginità e vivere in povertà (Proc 19,2). La privazione dei beni in obbedienza al Vangelo e a Francesco «è la chiave per entrare nel cammino evangelico francescano. Fanno parte del processo di illuminazione e dei primi passi della conversione» di Chiara. È qualcosa come «gesto fondante per tutti i chiamati, come il sacramento francescano»[14].
In Francesco, e sicuramente anche in Chiara, il vivere senza nulla di proprio è chiaramente in relazione ai beni spirituali e materiali. Francesco, illuminato dalla fede, scopre Dio come il «bene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene» (Rnb 23,9). Poiché tutti i beni procedono dal Signore, a Lui devono essere restituiti: «e restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamo grazie a lui, dal quale procede ogni bene» (Rnb 17,17). Per quanto riguarda i beni materiali, Dio è, per Francesco, l’unico proprietario, l’uomo, semplice feudatario di Dio, deve rimettere nelle mani del suo Signore tutto ciò che ha (cf. Am 19; LegM 7,7). Mentre il peccato è appropriazione, la restituzione è causa di beatitudine (cf. Am 18).
Non si può capire la vita di Francesco e di Chiara senza questa scelta radicale di vivere senza nulla di proprio, né si può capire, tenendo presente l’esperienza del Poverello e della sua Pianticella, la contemplazione del mistero dell’incarnazione senza una scelta radicale a favore del distacco totale. Per Francesco e Chiara senza nulla di proprio non era una semplice formula di rinuncia ai beni materiali, ma espressione di un’espropriazione totale, radicale.

I Frati Minori e le Sorelle Povere chiamate a vivere senza nulla di proprio

31. Come Francesco e Chiara anche i Frati Minori e le Sorelle Povere sono chiamati oggi a vivere senza nulla di proprio. Questo deve essere un punto fermo dei Fratelli e delle Sorelle, particolarmente in questi tempi dominati dal consumismo. La fedeltà alla Regola e alla Forma di Vita professate dai Fratelli e dalle Sorelle passa attraverso la fedeltà alla povertà, al vivere senza nulla di proprio. È significativo che Chiara definisca la Forma di Vita come «la forma della nostra povertà» (RsC 4,5). È tale la preoccupazione di Francesco e Chiara per la povertà da insistere costantemente di non separarsi da essa (cf. Uvol; TestsC 35.44-45.47), perché sarebbe come separarsi da Cristo povero e crocifisso.
Fratelli e Sorelle, che cosa significa tutto ciò? Quali questioni concrete ci pone di fronte questa scelta radicale di Francesco e di Chiara, vivere senza nulla di proprio? Come vivere e rendere leggibile la nostra scelta del senza nulla di proprio? Come custodire questo tesoro che ci hanno lasciato in eredità Francesco e Chiara?
Una cosa è evidente: è vivendo senza nulla di proprio che ci apriamo, ascoltiamo ed accogliamo l’Altro e gli altri, senza tentativi voluti o velati di manipolazione; possiamo vivere l’obbedienza, specialmente l’obbedienza caritativa, e la castità, in quanto ci permette di amare gratuitamente, senza cercare nessuna ricompensa; possiamo veramente vivere il Vangelo ed avere gli stessi sentimenti di Cristo, che da ricco si è spogliato di tutto ed assunse l’umiltà della nostra condizione.
Il voto di vivere senza nulla di proprio, avendoci fatto incontrare Colui che è «ricchezza nostra a sufficienza» (LodAl 5), ci permette di essere persone libere: libere dall’avidità di accumulare, liberi dalla sete insaziabile di avere quanto più possibile, e, quindi, ci permette di distinguere l’utile, il necessario e il superfluo. Il voto di vivere senza nulla di proprio ci rende itineranti, senza appropriarci della casa, del lavoro, dei risultati; ci fa scoprire, con tutte le conseguenze, la gratuità del nostro lavoro, vivere secondo la logica del dono e del servizio, come profezia in atto contro la logica del consumo, del prezzo, del guadagno, del potere. Il voto di vivere senza nulla di proprio ci aiuta a creare relazioni nuove ed alternative nella società in cui viviamo e ci fa diventare voce profetica in questo mondo dominato dal consumismo (cf. RdC 22).
Inoltre, la povertà produce i suoi frutti quando diventa solidarietà, perché solo allora è la povertà di Gesù, che si fece povero per arricchirci con la sua povertà (cf. 2Cor 8,9). Gesù non condivise con noi, suoi fratelli, il superficiale e l’inutile: condivise la sua stessa vita. Così le Sorelle Povere devono condividere non solo il superficiale, ma anche l’indispensabile. In questo contesto è bene ricordare ciò che scrive Chiara, «grande davvero e lodevole è questo scambio: lasciare i beni temporali per quelli eterni, meritare i celesti al posto dei terreni, ricevere il cento per uno e possedere la vita beata senza fine» (1LAg 30).

32. Cari Fratelli e care Sorelle, oggi più che mai siamo chiamati ad essere segni di speranza, precisamente in questo momento in cui l’umanità sta vivendo una profonda crisi che investe ogni aspetto della vita. In questo contesto è urgente affidarci, come fecero Francesco e Chiara, ad uno stile di vita sobrio, essenziale, alla «radicalità della povertà associata alla fiducia totale nella Provvidenza divina» (Benedetto XVI, Discorso all’Udienza generale, 15.9.2010).
I poveri ci chiedono segni esteriori di una vita coerentemente semplice ed una chiara scelta per la povertà radicale: vissuta in modo evangelico, manifestata con spirito profetico, per far loro sentire la prossimità di Dio. I Fratelli e le Sorelle sono chiamati a collocarsi in una situazione costante di precarietà, a liberarsi da tutto ciò che non custodisce la relazione con se stessi, con gli altri, con Dio, con le cose e con la creazione. Secondo la logica della restituzione, i Fratelli e le Sorelle sono invitati a rendere credibile la scelta dell’essenzialità.

33. Infine, anche il senso di giustizia ci interpella. Il grido dei poveri non può lasciare indifferenti i Frati Minori e le Sorelle Povere. Nelle Costituzioni OSC, in riferimento alla testimonianza di una vita povera, sta scritto: «in tutto il modo di vivere, tanto individuale che collettivamente, le Sorelle diano testimonianza di povertà, e in spirito di solidarietà si conformino al tenore di vita di tanta parte di umanità, che vive nel mondo in condizione disagiata» (CCGG OSC 153 §3). E nelle Costituzioni dei Frati Minori si dice: «per seguire più da vicino l’annientamento del Salvatore e per dimostrarlo più chiaramente, i frati abbraccino la vita e la condizione sociale dei piccoli, vivendo sempre tra loro come minori; in questa posizione sociale contribuiscano all’avvento del Regno di Dio» (CCGG 66 §1).
Il mondo ha bisogno di testimoni, che per grazia di Dio, si donino totalmente; ha bisogno di persone «capaci di accettare l’incognita della povertà, di essere attratti dalla semplicità e dall’umiltà, amanti della pace, immuni da compromessi, decisi all’abnegazione totale, liberi ed insieme obbedienti, spontanei e tenaci, dolci e forti nella certezza della fede» (ET 31). Il nostro mondo ha bisogno di Frati Minori e di Sorelle Povere così.
•        Come vivo e come vive la mia Fraternità il senza nulla di proprio?
•        Per quelli che ci stanno accanto, è comprensibile la nostra scelta di povertà o ha bisogno di molte spiegazioni?
•        Se il senza nulla di proprio è fonte di vera libertà evangelica, sono veramente libero? Che cosa mi manca e mi resta per esserlo?

La missione

Alcune osservazioni

34. Care Sorelle e cari Fratelli, un altro elemento essenziale della nostra Forma di Vita è la missione. Ma qui sono necessarie alcune osservazioni. La prima è la seguente: quando si parla di missione stiamo parlando di qualcosa al di là delle attività pastorali.
La missione va oltre le attività apostoliche concrete, perché organizza le varie dimensioni della nostra vita: tutto è destinato ad essere annuncio della novità del Regno di Dio. Possiamo dire, quindi, che la missione è nel cuore stesso della vita consacrata[15], ed anche della Forma di Vita francescano-clariana. Il nostro carisma, come ogni carisma, è un dono dello Spirito per il bene di tutta la Chiesa, in modo che possa crescere nel cammino di fede, si possa costruire una vera fraternità e sviluppare la missione di testimoniare ed annunciare il Regno.
Altra osservazione che mi sembra fondamentale: vocazione e missione vanno di pari passo. L’una non può essere separata dall’altra. Per questo motivo, come già detto, la missione è uno degli elementi irrinunciabili di ogni vita consacrata, anche della vita delle Sorelle Povere. La missione è la chiave per comprendere la Chiesa, così pure la vita consacrata, compresa quella contemplativa[16]. La vita consacrata, la vita francescno-clariana, non può ripiegarsi su se stessa, sui problemi interni ed esterni. La vita consacrata, la nostra vita, non può lasciarsi paralizzare da questi problemi. I nostro contemporanei chiedono di vedere Gesù (cf. Gv 12,21). Come Francescani e come Sorelle Povere non possiamo non ascoltare questa richiesta.
 La terza osservazione è che la missione della vita consacrata e della nostra vita francescano-clariana è la missione della Chiesa. Ciò significa che anche quando è nostra, supera i limiti dei nostri Ordini. Questa missione, tuttavia, è radicata nella Trinità, che nel suo disegno di amore ha voluto associarci alla sua stessa missione. La missione, così, nasce dall’esperienza di un Dio che è comunione e comunicazione, che è amore e che ci colma del suo amore, che si manifesta in noi e vuole comunicarsi. La missio Ecclesiæ è, pertanto, partecipazione alla missio Dei.

La nostra missione

35. A questo punto possiamo chiederci: qual è la nostra missione? Nella teologia attuale della vita consacrata una convinzione sembra chiara: la missione della vita religiosa e della vita consacrata è semplicemente la vita religiosa e la vita consacrata. Questa convinzione è sulla linea dell’Esortazione Vita consecrata, quando afferma: «la stessa vita consacrata, sotto l'azione dello Spirito Santo che è all'origine di ogni vocazione e di ogni carisma, diventa missione, come lo è stata tutta la vita di Gesù» (VC 72). Questa è la chiave per un’adeguata comprensione della missione non solo di quella delle Sorelle Povere, come contemplative nella Chiesa e nel mondo, ma anche dei Frati Minori. Nulla può essere anteposto alla testimonianza della vita. È questa la vera missione e senza di essa ci può essere indottrinamento o ammaestramento, ma non missione.
Come osservato in precedenza, non si può capire la missione solo in termini di fare. La vita consacrata in generale e la vita francescano-clariana in particolare, si caratterizzano principalmente per il suo essere, per la sua natura carismatica[17]. Il nostro primo contributo, così, alla missio Ecclesiæ, alla missio Dei, è di approfondire la dimensione teologale della nostra vita o, se si preferisce, di centrarci in Dio e nel suo progetto. Solo da lì si potrà ricreare la rilevanza delle stesse attività apostoliche.
Sarà l’esperienza di Dio ad avvicinarci al cuore stesso delle persone, ad imporci l’ascolto delle loro grida, particolarmente dei poveri, e a farci sentire solidali con le loro ricerche, valorizzando la ricchezza delle risposte che le persone troveranno nel loro cammino. Un’esperienza di Dio – anche l’esperienza di Dio nella vita contemplativa come la vostra, care Sorelle Povere –, che avviene sempre in un contesto concreto e che, proprio per questo, deve sentirsi pressata dalle domande e dalle questioni che sorgono da tale contesto. In questo senso questa esperienza di Dio ci fa solidarizzare con i dubbi e le domande degli altri e ci rende veri mendicanti di senso.
Questo ci porta ad affermare un altro nostro apporto importante alla missio Ecclesiæ, alla missio Dei, e che è la conseguenza di quanto appena detto: assumere il dialogo non solo come metodo per lo sviluppo della missione, ma anche come luogo proprio della missione. Questo significa, prima di tutto, fare nostre le preoccupazioni della gente, immergersi in pieno nelle domande che provengono dalla vita delle persone, cercando assieme le risposte che possono dare un senso a questo momento della storia. Noi Frati Minori lo facciamo portando nel cuore, nell’agire e nelle parole il messaggio di Gesù. Voi, care Sorelle Povere, lo fate, soprattutto, presentando al Signore queste preoccupazioni nella preghiera di intercessione e ascoltando la gente del nostro tempo.
Così, centrati nel Signore, concentrati nelle priorità della nostra vita francescno-clariana, ci de-centriamo da noi stessi/stesse per indirizzare la nostra attenzione alla vita e alla realtà del mondo, tornando, quindi, a centrarci maggiormente nelle «cose del Padre» (Lc 2,49), e promovendo una fedeltà creativa e un nuovo linguaggio che ci permette di trasmettere la ricchezza incommensurabile e permanente del messaggio evangelico.

Lo specifico della missione clariana

36. Considerando la Forma di Vita che avete abbracciato, care Sorelle Povere, la vostra missione consiste nel ricordare all’uomo di oggi che una sola cosa è necessaria: Dio; nell’essere indicatrici di trascendenza; nel vivere in modo adeguato gli elementi che configurano la vostra vocazione. Se la missione della vita consacrata consiste fondamentalmente nel «riproporre con coraggio l'intraprendenza, l'inventiva e la santità» dei nostri Fondatori, «come risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi» (VC 37), e nel restituire il dono del Vangelo ai nostri contemporanei[18], allora una vita evangelica come la vostra è missione in se stessa.
Questa vita sarà quella che permetterà ad una Sorella Povera di vivere, anche all’interno di un chiostro, in simpatia con il mondo, nel senso indicato dal termine; le renderà possibile entrare in dialogo con gli uomini e le donne di oggi per evangelizzarli, senza che ciò comporti un “accomodamento” con il mondo, né una sospensione del giudizio su di esso. La simpatia di cui stiamo parlando condurrà una figlia di santa Chiara ad avere uno sguardo positivo sul contesto e sulla cultura in cui è immersa, scoprendo nella realtà le opportunità inedite di grazia che il Signore le offre per la missione. In tal modo, la missione sarà un cammino di andata e ritorno che comporta dare, ma anche ricevere, in atteggiamento di dialogo fecondo e costruttivo.
Con questo non voglio dire che la missione di una Sorella Povera è disincarnata dalla realtà e non tiene presente la situazione della società. Chiara, pur rimanendo nella stabilità e in clausura, non è estranea ai problemi, alle ansie e preoccupazioni dei suoi contemporanei, della Chiesa e della Città di Assisi (cf. Proc 6). Chiara non è una semplice spettatrice della storia, ma vi partecipa attivamente con la preghiera e l’intercessione. Anche oggi le Sorelle Povere sono chiamate a porsi in atteggiamento di ascolto dei drammi del nostro tempo, accogliendo nel loro cuore le domande profonde degli uomini e delle donne di oggi per affidarle a Dio.

Missione condivisa: relazione OFM e OSC e viceversa

37. Oggi, quando si parla di missione, si parla sempre della necessità di una missione condivisa. È qui che dobbiamo approfondire, Sorelle e Fratelli, il tema delle relazioni tra i Frati Minori e le Sorelle OSC.
Pur non essendo l’oggetto specifico della mia conversazione con voi, voglio tuttavia porre alcune domande che ci pongano in atteggiamento di ricerca disinteressata e libera e che inducano alla riflessione. Lo faccio a partire dal testo di Benedetto XVI, già citato, per proseguire con altri testi. Dice il Papa: «Presso quella chiesetta, che Francesco restaurò dopo la sua conversione, Chiara e le prime compagne stabilirono la loro comunità, vivendo di preghiera e di piccoli lavori. Si chiamavano le “Sorelle Povere”, e la loro “forma di vita” era la stessa dei Frati Minori: “Osservare il santo Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo”, conservando l’unione della scambievole carità e osservando in particolare la povertà e l’umiltà vissute da Gesù e dalla sua santissima Madre» (Discorso all’Udienza generale, 10 agosto 2011). Nella vita concreta che cosa vogliono dire alle Sorelle Povere e ai Frati Minori queste parole del Santo Padre? Quali conseguenze derivano da quanto riportato dal Celano: «uno solo e medesimo Spirito ha fatto uscire i frati e quelle donne poverelle da questo mondo malvagio» (2Cel 204)? Che cosa vuol dire per le Sorelle Povere quello che scrive Chiara nella Regola: «procurino con sollecitudine di avere il ministro generale o provinciale dell’Ordine dei frati minori, che mediante la parola di Dio le disponga alla perfetta concordia e alla comune utilità nell’elezione da farsi [eleggere l’abbadessa]» (RsC 4,2-3)? Che cosa significa e come vivere oggi l’obbedienza che Chiara e le sue Sorelle, liberamente, promisero a Francesco e ai suoi successori (cf. RsC 4-5; TestsC 25)? Che cosa significa e come vivere concretamente oggi, tanto da parte delle Sorelle quanto dei Fratelli, quello che Chiara chiede nel suo Testamento (cf. TestsC 50-51)? Quali conseguenze pratiche hanno, per le relazioni tra l’OSC e l’OFM, le raccomandazioni di Chiara ad Agnese di anteporre il consiglio del Ministro generale a quello di tutti gli altri (cf. 2LAg 15ss)? E per i Frati Minori, come essere fedeli alla promessa fatta a Chiara da Francesco di aver una cura amorosa ed una speciale sollecitudine per le Sorelle Povere (cf. RsC 6,4)?

38. Lasciando queste ed altre domande aperte ad una risposta che sia frutto di attente riflessioni e, possibilmente anche concorde, sono convinto che questo sia un tema in cui, senza timori da parte vostra, care Sorelle Povere, e senza protagonismi fuori luogo da parte di noi Frati Minori, vada approfondito, distinguendo ciò che è l’elemento carismatico da ciò che è la dimensione giuridica, ma facendo passi concreti che manifestino la complementarietà e la reciprocità tra le Sorelle Povere e i Frati Minori e l’appartenenza alla stessa Farternità[19]; passi concreti che ci portino a vivere una maggiore comunione, nel rispetto delle giuste e sane differenze tra una vita interamente contemplativa ed una vita, che, senza cessare di essere contemplativa, è anche apostolica.

39. I testi di Chiara, non solo quelli citati ma anche molti altri, come quelli del Testamento nei quali Chiara parla del beatissimo padre Francesco (cf. TestsC 5.7-14.17-18.24-40.42.46-5157.75.77), ci permettono di affermare tranquillamente che il Poverello fu molto importante per la sua Pianticella e centrale nella sua esperienza spirituale. I testi di Francesco non sono così espliciti, ma non si può negare l’importanza che per lui ebbe la Fraternità di San Damiano, come dimostrano molti suoi Scritti: la Forma di Vita che scrisse per loro (cf. Fvit), le Norme sul digiuno delle Sorelle, l’Esortazione con melodia a Chiara e alle sue Sorelle (cf. Aud), e, soprattutto, la promessa che fece di aver cura delle Sorelle come dei Frati (cf. RsC 6,3-5). È importante un dettaglio: spesso Chiara unisce il nome di Dio a quello di Francesco, come per dirci che riconosce la presenza di Dio in tutto ciò che le mostra a poco a poco Francesco.
In ogni caso si tratta di una relazione allargata ai Fratelli e alle Sorelle che deve essere vista all’interno della dimensione fraterna che favorisce ed esprime la spiritualità di Francesco e di Chiara, e che può illuminare non solo la loro relazione, ma anche quella dei Fratelli e delle Sorelle, e viceversa. La relazione di Francesco e di Chiara, e per conseguenza dei Frati Minori e delle Sorelle Povere, è sempre una relazione a tre: lui/loro-lei/loro e, sempre il Signore. Chiara e Francesco accolgono nella relazione profondamente umana la singolare presenza di Dio. La loro relazione, piena di affetto fraterno, fa riferimento sempre a Dio, scoperto tra i due, anche se in modo diverso, nella relazione stessa[20]. Credo che si possa affermare senza timore che la relazione Francesco-Chiara, fraterna ed insieme amicale, è il luogo della relazione di entrambi con Dio.
Dalla relazione di Francesco e di Chiara è facile comprendere quando si afferma che la vita consacrata è una questione di sguardo. In Francesco e Chiara, infatti, abbiamo un chiaro esempio di un’esperienza autenticamente umana vissuta con uno sguardo di fede che fa sì che detta esperienza sia sorprendentemente feconda e faccia nascere, nella stessa relazione e sempre nella fede, la magnifica e bellissima percezione di una presenza più grande, quella del Signore, che conduce entrambi a seguire le orme del Figlio e che dirige qualsiasi sguardo al Padre delle misericordie. Quando due essere umani, in questo caso un uomo ed una donna, si sentono amati dal Signore e scoprono il loro amore in Lui, nulla può inquinare la loro relazione. Tutto rimanda e parla del Signore che li ha creati a sua immagine e somiglianza. E «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31)!
Per confermare quanto si sta dicendo, possiamo ricordare che Francesco legge la relazione con le Sorelle in chiave trinitaria: sono figlie del Padre, sorelle nel Figlio, spose nello Spirito. Così – e questo mi sembra semplicemente meraviglioso – la relazione Francesco e Chiara, Fratelli e Sorelle, sta nel cuore della rivelazione cristiana. Questo ci porta a sottolineare un’altra chiave di lettura delle relazioni tra Chiara e Francesco e le Sorelle con i Fratelli: la chiave mariana. Maria è per il cantore della Vergine fatta Chiesa, figlia del Padre, Madre del Figlio, sposa dello Spirito Santo (cf. UffPass, Antifona; SalV 1ss).

40. Sorelle e Fratelli, camminiamo mano nella mano, profondamente uniti nel Signore, perché solo così potremo restaurare la casa del Signore, la Chiesa: le Sorelle con una vita interamente contemplativa, i Fratelli come missionari nel chiostro del mondo con il cuore costantemente rivolto al Signore, ed entrambi vivendo in fraternità e minorità. Non è forse ciò che il mondo e la stessa Chiesa si aspetta da noi?
•        Come vivo la relazione vocazione-missione?
•        Che cosa intendete con missione?
•        In quale luogo ponete le attività apostoliche e dove collocate la testimonianza?
•        Come vivo la missione condivisa OFM-OSC?
•        Che cosa manca perché questa relazione sia signum faternitatis?

Conclusione

41. Care Sorelle e cari Fratelli, nel concludere questa conversazione fraterna con ciascuno/a di voi desidero leggere, assieme a voi, alcuni testi che possono aiutarci a vivere francescanamente il tempo in cui viviamo. Il primo testo è una "parabola mimata" del profeta Geremia: «questa parola fu rivolta dal Signore a Geremia: "Alzati e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola". Scesi nella bottega del vasaio, ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli riprovava di nuovo e ne faceva un altro, come ai suoi occhi pareva giusto. Allora mi fu rivolta la parola del Signore in questi termini: "Forse non potrei agire con voi, casa d'Israele, come questo vasaio? Oracolo del Signore. Ecco, come l'argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa d'Israele» (Ger 18,1-6).
Il testo del profeta descrive l'amorosa relazione tra Dio e il suo popolo, attraverso il paziente processo di creazione e ri-creazione del popolo eletto per mano del Vasaio divino. Il Vasaio, utilizzando la stessa materia, riesce a plasmare un vaso secondo i suoi disegni, senza scoraggiarsi per i possibili errori. Come il vaso, la vita consacrata, la nostra vita francescano-clariana, deve lascarsi ri-creare per rispondere meglio al progetto di Dio su di essa. In questo momento ciò che è urgente, e ci viene richiesto con insistenza, è lasciarsi fare e ri-fare costantemente, perché solo così potremo rispondere al progetto che Dio ha nei nostri confronti.

42. Il secondo testo è di Edoardo Galeano. A mio avviso esemplifica molto bene il processo di trasformazione che sta attraversando la vita religiosa e con essa la vita francescano-clariana. Il testo dice così: « un altro vasaio si ritira, sulle rive del mare, nei suoi ultimi anni. Ha gli occhi annebbiati, le mani tremanti, è giunto il momento dell'addio. Arriva, però, la cerimonia dell'iniziazione: il vecchio vasaio offre al giovane vasaio il suo pezzo migliore. E il vasaio giovane non guarda questo vaso perfetto per contemplarlo e ammirarlo, ma lo getta al suolo, riducendolo in mille pezzi; raccoglie i pezzi e li amalgama con la sua argilla»[21].
In questi momenti di profonda trasformazione e di ri-fondazione, non credo di esagerare nell'affermare che spesso questo vaso bello che abbiamo ereditato (i modi concreti del vivere il carisma francescano-clariano), deve essere rotto, non perché è venuto male, ma perché le circostanze sono cambiate così tanto che gli otri attuali non possono contenere il vino buono del nostro carisma. Solo allora potremo vivere una nuova tappa in questa meravigliosa avventura nella quale Dio ci vuole protagonisti. Questo atteggiamento non ha molto a che fare con l'itineranza francescana, valida anche per voi, care Sorelle Povere di santa Chiara? Non ha molto a che fare con il vivere senza nulla di proprio che abbiamo promesso nel giorno della professione?             
Siamo chiamati a vivere questo momento, che stiamo attraversando, come un momento meraviglioso e sorprendente, sebbene non necessariamente facile, nel quale dobbiamo aprirci allo Spirito che, come il vento, «soffia..., ma non sai da dove viene né dove va» (Gv 3,8). Non possiamo rifugiarci nel passato, per quanto bello sia il vaso. Né possiamo assumere acriticamente tutto ciò che proviene dalla cultura attuale, perché non tutto è compatibile con la nostra Forma di Vita. Si tratta di aprirci al futuro con speranza attraverso una ri-visitazione della nostra identità, così che, senza rinunciare a ciò che non è negoziabile, si possa rispondere con creatività alla realtà mutevole in cui viviamo.
Il non negoziabile sono i valori evangelici che hanno dato origine al carisma francescano-clariano e che costituiscono i fondamenti della nostra identità. La creatività richiestaci è anche evangelica, perché ci aiuterà a rispondere alla volontà salvifica del Dio di Gesù Cristo, che vuole che tutti «abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Ciò che ci viene chiesto in questo tempo, care Sorelle e cari Fratelli, è la continuità con i valori costitutivi della nostra Forma di Vita e la discontinuità, tenendo presente il contesto storico in cui viviamo. In questo modo eviteremo di cadere in un essenzialismo a-storico o in un esistenzialismo senza radici. Si tratta di vivere una identità in cammino.

43. Il terzo testo è del profeta Ezechiele, molto conosciuto tra noi. Dice così: «perciò profetizza e annuncia loro: "Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d'Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò". Oracolo del Signore Dio» (Ez 37,12-14).
Vivendo con lucidità la nostra fragilità, riposizionando il nostro progetto di vita dalle fondamenta di argilla e dalla povertà globale, partendo da una situazione iniziale di carenza, da una situazione segnata dal non-sapere e dal non-potere, dobbiamo lasciarci modellare dal Signore, che, con pazienza artigianale, ci va trasformando a sua immagine e somiglianza e ci infonderà il suo soffio di vita. Egli rinnoverà la nostre forze (cf. Is 40,30-31).

44. Il nostro Dio è il Dio della vita, della vita in pienezza, è Colui che trasforma la morte in vita e in vita abbondante. A questo Dio, nel quale crediamo, affido il nostro presente e il nostro futuro. Un presente ed un futuro che, perché siano significativi, devono promuovere una vita francescano-clariana:
•        disposta a nascere di nuovo (cf. Gv 3,3), in atteggiamento costante di conversione e a partire dalla logica dell’essenziale.
•        Frequentatrice e creatrice di oasi spirituali, di spazi sacri di infinito.
•        Capace di trasmettere la bellezza della sequela di Cristo secondo la Forma di Vita francescano-clariana, a partire dal senso di incondizionata appartenenza a Lui.
•        Significativa per la qualità evangelica di vita e di missione, memoria visibile del modo di essere e di agire di Gesù.
•        Che ha il Vangelo come vita e regola, e cerca in esso la sua freschezza e novità più profonda.
•        Creatrice di ponti di incontro con l’altro e con il diverso, partendo da una profonda spiritualità di comunione, cercando di essere, in ogni momento, artefice di dialogo da una scelta e da uno stile di vita.
•        Che si lascia sedurre dai chiostri disumani e si pone accanto alla fragilità e alla vulnerabilità come essenza della sua identità e conseguenza della sua fede nell’incarnazione del Verbo.
•        Fedele alla sua identità più profonda e alla sua ricca storia, aperta al futuro con speranza, lasciandosi sospingere dallo Spirito; rendendosi presente nel momento attuale, vivendolo con passione e in atteggiamento di adventus, sperimentando così la presenza e la chiamata del Signore.
•        Che si impegna per la trasparenza e la credibilità; e che per meglio comprendere le esigenze della sua vocazione e missione, rimane in costante ricerca di pozzi e di cammini; e in discernimento permanente, adotta atteggiamenti di sincera umiltà, ascolto, docilità, povertà ed urgenza di ravvivare il cuore e diffondere la carità di Cristo.
•        Che, in profonda comunione con il Signore e con gli uomini e le donne del nostro tempo, assuma come dovere della sua missione quello di lascarsi bruciare per diffondere la luce, la passione per la santità e per l’umanità.
•        Che sia più francescana e più clariana, più evangelica, più povera, più fraterna, più missionaria.
 Care Sorelle e cari Fratelli, mettiamoci all’opera! Questa è la vita francescno-clariana per la quale dobbiamo lavorare instancabilmente. Questo è il nostro compito nel momento storico in cui viviamo. «Al lavoro, perché io sono con voi... Non temete» (Ag 2,4.5).
Ci accompagni in questo bellissimo cammino la benedizione dei serafici Fondatori, Francesco e Chiara.
Buona festa di santa Chiara!

Il vostro Fratello, Ministro e Servo

Roma 15 luglio 2012
Festa di san Bonaventura
Dottore della Chiesa

Fr. José Rodríguez Carballo, ofm
Ministro generale

Prot. 103112

Abbreviazioni

Scritti di san Francesco

Am                         Ammonizioni.
Aud                        «Audite poverelle».
Cant                       Cantico di frate Sole.
2Lcus                     Seconda lettera ai Custodi.
LAnt                       Lettera a frate a Antonio.
1Lf                         Lettera ai fedeli (1ª redazione).
2Lf                         Lettera ai fedeli (2ª redazione).
LfL                         Lettera a frate Leone.
Lmin                       Lettera a un ministro.
LodAt                     Lodi di Dio Altissimo.
LOrd                      Lettera a tutto l'Ordine.
PCr                        Preghiera davanti al Crocifisso.
Rb                          Regola bollata.
Rnb                        Regola non bollata.
SalV                       Saluto alla beata Vergine Maria.
Test                        Testamento.
UffPass                  Ufficio della Passione del Signore.
Uvol                       Ultima volontà.


Scritti di santa Chiara

BensC                    Benedizione di santa Chiara.
2LAg                     Lettera seconda ad Agnese.
3LAg                      Lettera terza ad Agnese.
4LAg                      Lettera quarta ad Agnese.
LErm                      Lettera a Ermentrude.
LegsC                    Leggenda di santa Chiara.
Proc                       Processo di canonizzazione di santa Chiara.
RsC                              Regola di santa Chiara
TestsC                    Testamento di santa Chiara.


Altre abbreviazioni

CCGG                    Costituzioni generali dei Frati Minori, Roma, 2010.
CCGG OSC           Costituzioni generali dell'Ordine di santa Chiara, Roma,                                           1988.
1Cel                       Vita prima di Tommaso da Celano.
2Cel                       Vita seconda di Tommaso da Celano.
DV                         Costituzione Dogmatica del Concilio Vaticano II, Dei                                                Verbum (18 novembre 1965).
ET                          Esortazione Apostolica di Paolo VI, Evangelica                                                        Testitificatio (29 giugno 1971).
Fior                        I Fioretti di san Francesco.
LegM                     Leggenda Maggiore di Bonaventura.
Legper                   Leggenda perugina.
NMI                       Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II, Novo Millennio                                  Ineunte, (6 gennaio 2001).
Pf                           Lettera Apostolica, in forma di Motu proprio, di Benedetto                                      XVI, Porta Fidei (11 ottobre 2011).
RdC                       Istruzione della Congregazione per la VC, Ripartire da                                              Cristo (19 maggio 2002).
SAO                       Istruzione della Congregazione per la VC, Il servizio                                         dell'autorità e l'obbedienza (11 maggio 2008).
VC                         Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II, Vita                                                     consecrata (25 marzo 1996).
VFC                       Documento della Congregazione per la VC, Vita fraterna in                                      comunità (2 febbraio 1994).
VD                         Esortazione apostolica di Benedetto XVI, Verbum Domini,                              (30 settembre 2010).


[1] «quanto più si vive di Cristo, tanto meglio Lo si può servire negli altri, spingendosi fino agli avamposti della missione, e assumendo i più grandi rischi» (VC 76).
[2] Cf. Bendetto XVI, La donna che si specchiava negli occhi di Francesco [= DoF], Messaggio in occasione del centenario della conversione di santa Chiara, in AOFM 1 (2012) 15-17.
[3] M. Victoria Triviño, Francisco de Asís y Clara, PPC, Madrid 2009, 27.
[4] Sui fondamenti ho riflettuto in varie occasioni, particolarmente nelle Lettere scritte ogni anno alle Sorelle Povere, in occasione della festa di santa Chiara, cf. J. R. Carballo, Conosci la tua vocazione. In dialogo con le Sorelle Clarisse, Roma 2012.
[5] «Presso quella chiesetta [San Damiano], che Francesco restaurò dopo la sua conversione, Chiara e le prime compagne stabilirono la loro comunità, vivendo di preghiera e di piccoli lavori. Si chiamavano le “Sorelle Povere”, e la loro “forma di vita” era la stessa dei Frati Minori: “Osservare il santo Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo”, conservando l’unione della scambievole carità e osservando in particolare la povertà e l’umiltà vissute da Gesù e dalla sua santissima Madre», Benedetto XVI, Discorso all’Udienza generale, 10 agosto 2011.
[6] Cf. Pietro Giovannni Olivi, Principium I in Sacram Scripturam.
[7] A questo proposito voglio sottolineare ciò che ci ricorda Benedetto XVI: la «fede cristiana non è la religione del Libro», pur importante che sia per noi la Scrittura, «ma del Verbo incarnato e vivo» (VD 7).
[8] Fior 2: «Iddio mio, Iddio mio». Secondo il testo latino la preghiera del Santo sarebbe stata: «Deus meus et omnia = Iddio mio e mio tutto». Di questa fede strettamente monoteista di Francesco avremo un'eco in Teresa di Gesù con il suo: «solo Dio basta».
[9] B. Duclos, Francesco, immagine di Gesù Cristo, in Concilium, 169 (1981) 378.
[10] Benedetto XVI, Incontro con il mondo della cultura, Collége des Bernardins, París, 12 settembre  2008.
[11] Cf. G. Boccali, Concordantiae verbales opuculorum s. Francisci et s. Clarae Assisiensium, Ed. Porciuncula, Assisi 1995; Sebastian López, El vocabulario de la sororidad en la Forma de Vida de santa Clara de Asís, en Verdad y Vida 258 (2011) 45-76.
[12] Molte testimonianze al processo di canonizzazione sottolineano il fatto che Chiara ha dato tutto ai poveri: cf.  Proc 2,22; 3,31; 19,2.
[13] Giovanni Paolo II, Lettera alle Clarisse in occasione dell’VIII centenario della nascita della Fondatrice, 11 agosto 1993, 4, in Enchiridion dell’Ordine dei Frati Minori, II, 1389-1409.
[14] Maria Victoria Triviño, Clara de Asís ante el Espejo. Historia y Espirtualidad,  Ed. Pauline, Madrid 1991, 69.
[15] «La missione è il modo di essere della Chiesa e, in essa, della vita consacrata: fa parte della vostra identità», Benedetto XVI, Discorso all’Udienza ai Superiori Generali, 26 novembre 2010.
[16] In questo caso si può parlare di una missione di testimonianza nella preghiera, nel trasmettere la fede nell’Assoluto, nel mostrare l’apertura alla trascendenza, nel rendere visibile la vita evangelica, il silenzio contemplativo, la vita fraterna, la povertà... Con tutto ciò la vita contemplativa «rialza le membra cadenti del suo copro ineffabile», come direbbe santa Chiara (cf. 3LAg 8).
[17] Un grave errore della vita religiosa è stato confondere i carismi con le attività apostoliche. In questo senso, la vita religiosa deve abbandonare l’attivismo, il funzionalismo, i compromessi pastorali, la ragione istituzionale, per ricuperare il suo nocciolo carismatico. Deve tornare alla sua essenza, alle sue origini.
[18] Ciò di cui si tratta nella missione evangelizzatrice, è questo: restituire il dono che abbiamo ricevuto, il Vangelo, che nella sua essenza è un dono destinato ad essere condiviso. La missione scaturisce dalle viscere stesse del Vangelo. Una vita afferrata dal dinamismo del Vangelo diventa una passione traboccante per il Regno, anche dentro il chiostro. Un cuore trasformato dalla potenza del Vangelo, fa sì che uno si trasformi necessariamente in missionario, anche vivendo in clausura.
[19] Cf. Chiara Frugoni, Storia di Chiara e Francesco, Einaudi, Torino 2011, 86ss.
[20] Cesare Vaiani, Francesco e Chiara d’Assisi. Analisi del loro rapporto nelle fonti biografiche e negli scritti, Glossa, Milano 2004, 123.
[21] Il testo è citato da Alvaro Rodríguez Echeverría, Profecía de la existencia y presencia amorosa de Dios en la vida consagrada, Unione dei Superiori Generali, Maggio 2011, 79.


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