sabato 7 luglio 2012

In terza classe rincorrendo Bonaventura
L'impresa del frate filologo Fedele da Fanna, che per nove anni ha percorso l'Europa alla ricerca di manoscritti
di Barbara Faes
Consiglio Nazionale delle Ricerche
In una sua corrispondenza da Madrid nel 1877, il francescano Fedele da Fanna (1838-1881) ricordava di aver “percorso quasi tutta l'Europa, rovistato quasi tutte le biblioteche, esaminato un'ingente quantità di codici manoscritti, e di altri documenti d'ogni specie e d'ogni tempo, sempre con l'intento o di scoprire l'occulto o di riformare giudizi erronei, o di chiarire cose dubbie e di pubblicare cose utili alla religione, alla scienza ed alla società”.
    Le parole illustrano efficacemente il senso del lavoro itinerante che impegnò in condizioni durissime questo Francescano per ben 9 anni e mezzo della sua breve ma intensa vita (dal 1871 al 1880) alla scopo di preparare l’edizione critica delle opere di S. Bonaventura, che costituiscono il grande contributo scientifico che egli ci ha lasciato. Nel 1877 Fedele ha ormai maturato pienamente la consapevolezza che la sua impresa, per la quale sta peregrinando per le biblioteche di tutta Europa, comporta non solo una promozione edificatoria dell’Ordine di cui fa parte, da raggiungere attraverso la conoscenza e divulgazione del pensiero di uno dei maggiori Francescani del passato, appunto Bonaventura, ma ha un respiro più vasto, universale, che travalica il progetto iniziale voluto da Bernardino da Portogruaro, suo superiore, consigliere e paterno amico per tutta la vita. Il lavoro di Fedele riveste infatti una triplice finalità: religiosa, dunque più ampia di quella di un recinto francescano di appartenenza, quasi a dire che Bonaventura non è solo dei Francescani, ma patrimonio di tutta la cattolicità-romana, quella cattolicità che fino ad allora in piena neoscolastica si riconosceva soprattutto in Tommaso d’Aquino; scientifica, mentre il progetto iniziale di edizione delle opere di Bonaventura, come si vedrà, non rivestiva questo carattere; culturale, perché un’edizione critica, se condotta con i crismi della scientificità, è oggetto di interesse ed attenzione per tutto il mondo dei dotti, religiosi e laici.
     Ma come era arrivato Fedele a queste considerazioni? L’accidentata storia della sua impresa scientifica, patrocinata da Bernardino da Portogruaro, a quei tempi Generale dell’Ordine, è al riguardo particolarmente illuminante. Essa si svolge nella seconda metà dell’800, periodo travagliato della storia dell’Ordine, che al pari degli altri soffre delle radicali decimazioni economiche e psicologiche causate dalle soppressioni religiose, da uno forte decremento numerico e abbassamento culturale della formazione dei frati, da irrigidimenti da parte papale e da parte del nuovo stato italiano. Due figure diverse per età, formazione, censo e soprattutto per temperamento, ma complementari e accompagnate da un stesso ideale, si incontrano: Bernardino e appunto Fedele.
     Il primo è il più anziano, proveniente da famiglia benestante, con alle spalle una buona formazione culturale, in contatto con N. Tommaseo e i notabili di Venezia, uomo delle istituzioni - prima infatti è provinciale dell’Ordine poi a lungo generale - fine mediatore e perspicace nell’individuare nell’ignoranza dei frati del tempo una delle cause della decadenza dell’Ordine e dunque nel cercare e trovare come correttivo adeguato un piano di studi più serio e formativo per la loro educazione spirituale ed intellettuale, basato tra l’altro su una lettura più diretta di testi filosofici e teologici medievali, ossia sostanzialmente su Tommaso e - questa è la novità maggiore - su Bonaventura.
    
Fedele, al secolo Giorgio Maddalena, viene da una povera famiglia di paese, Fanna, oggi in provincia di Pordenone. Assolta l’istruzione elementare, va a studiare a Venezia non al glorioso ed esclusivo liceo S. Caterina frequentato dagli abbienti come appunto Bernardino, ma - sovvenzionato da benefattori – privatamente, dove impara, lui di madrelingua friulana, forse meglio l’italiano, benissimo il latino e poi probabilmente già il francese e il tedesco. Entrato come novizio tra i Francescani Riformati di S. Michele in Isola, assume il nome di Fedele e nel 1858 pronuncia i voti solenni. Terminati in convento brillantemente gli studi curricolari di teologia e precedentemente quelli di retorica, filosofia, belle lettere, è in grado di insegnare subito, in qualità di lettore ai suoi confratelli, cosa che farà per 7 anni commentando proprio il Breviloquio di Bonaventura. La sua sicura conoscenza delle opere di Bonaventura, le sue innegabili capacità logiche offriranno il destro ai suoi superiori e confratelli, per utilizzarle anche al di fuori della mura conventuali per motivi nobili e ufficiali, ma anche meno nobili e privati: così nel 1870 compone un opuscolo sul primato e l’infallibilità del Papa, estraendo a sostegno di questa tesi varie citazioni dagli scritti del Serafico per fornire una risposta alle forti riserve intorno a questo dogma in discussione durante il Concilio Vaticano I, riserve che tra l’altro sostenevano la mancanza in questo dogma di solide basi testuali perché non riscontrabili nelle opere di Tommaso e di Bonaventura. Nel ‘71 dà alla stampe un minaccioso opuscolo, condotto però a fil di logica e di sillogismi, dal titolo battagliero Urgente escursione contro una mano di ausiliari massonici rivolto contro un gruppo di cattolici liberali vicentini pensosi e rispettosi dei valori della religione, ma che esercitavano l’arma del dubbio e della riflessione su pronunciamenti dogmatici, appunto l’infallibilità pontificia, avvertiti come coercitivi ed espressione non di un potere spirituale, ma piuttosto politico del papato e che privatamente per lettera avevano manifestato il loro dissenso.
      L’impresa principale di Fedele da Fanna è comunque l’edizione dell’Opera omnia di Bonaventura. L’idea iniziale di essa è stata di Bernardino, l’attuazione pratica invece di Fedele, al quale si deve anche il mutamento in corso d’opera del progetto. Merito di Bernardino è l’aver individuato la persona giusta e averla sostenuta sino alla fine. Con notevole fiuto psicologico capisce subito le eccezionali doti di chiarezza intellettuale, impegno e dedizione nel lavoro, ma anche le difficoltà caratteriali di quel giovane scorbutico, a volte lamentoso, di malferma salute, incapace di mezze misure, orgoglioso, spesso sospettoso dei confratelli (Bernardino per dissapori dovrà trasferirlo da S. Michele in Isola al convento degli osservanti di S. Francesco della Vigna e anche lì Fedele non si troverà bene), ma anche improvvisamente remissivo, di una candida semplicità, ma nel contempo abile nel fare i conti, organizzare gli aspetti materiali dell’impresa, capace all’occorrenza di intrattenere relazioni con diplomatici di tutto il mondo, di scrivere con franchezza senza ombra di piaggeria all’imperatore Francesco Giuseppe per ottenere sovvenzioni e aiuti pecuniari. Bernardino è lungimirante, tollerante e protettivo verso questo figliolo ispido e testardo, ma di una lealtà e fedeltà assoluta a un ideale, che grazie a lui non resta velleitariamente sulla carta, ma pian piano a costo di difficoltà innumerevoli, prende corpo, si concretizza e cresce a dimisura fino a diventare una delle più grandi e ammirate imprese scientifiche di tutti i tempi, modello per quelle coeve e future.
     La storia di questa impresa nelle sue linee generali è abbastanza semplice. In un primo tempo, mosso dai suoi intenti pedagogico-formativi e poi in vista del VIo Centenario della morte di Bonaventura (1874) Bernardino commissiona al giovane friulano una ristampa degli scritti di Bonaventura con commenti e aggiunte esplicative, ritenendo sufficiente migliorare le vecchie edizioni. Fedele inizia, ma presto si accorge che un simile lavoro è un’operazione di pura facciata, inutile, perché privo di solide basi scientifiche. Propone allora un altro progetto, che Bernardino approverà: un’edizione scientifica delle opere di Bonaventura, ossia di ricostruzione critica di esse. Edizione critica, significa, ieri come oggi, anzitutto stabilire l’autenticità di un testo, poi ricostruirlo filologicamente alla luce della sua tradizione manoscritta, documentarlo e valutarlo; ma ciò è possibile soltanto se prima si individuano, ed esaminano minuziosamente tutti i testimoni manoscritti di quel testo, che ai tempi di Fedele erano sepolti nelle più svariate biblioteche d’Italia e d’Europa, come egli ricordava nella sua lettera da Madrid. Fedele incomincia suoi viaggi; il resoconto di essi si legge nella puntuale corrispondenza con Bernardino: prima in Italia, poi via via in Francia, Inghilterra, Irlanda, Belgio, Germania, Svizzera, Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Slovenia, Croazia, Olanda, Spagna, Portogallo. Sono viaggi scomodi in terza classe su panche di legno, dove talvolta si tenta di dormire per risparmiare sui pernottamenti e guadagnare tempo; alcuni in paesi, come la Francia e la Germania potenzialmente inospitali per i religiosi, perché hanno governi repubblicani laici e popolazione non sempre ben disposta, ed ecco allora consigliabile una certa prudenza nel vestire: via il saio nei luoghi pubblici e al suo posto l’abito secolare che però va comperato e per un povero frate è costoso.
     Ci si sposta da un luogo e da una biblioteca all’altra per cercare cataloghi, decifrare ms., verificare indicazioni spesso errate, trascrivere; il lavoro è estenuante, tutto a mano, richiede occhi buoni, attenzione, pazienza, fiuto, oltre naturalmente a sicure conoscenze di latino, di paleografia e di codicologia. E’ un lavoro non solo faticoso, ma anche forsennato, perché il tempo a disposizione è poco e non sempre valutabile: si programma un giorno per una ricerca, ed ecco improvvise e nuove scoperte dilazionano i tempi, mandano all’aria i piani e, conseguentemente, comportano spese ulteriori. Le condizioni di lavoro, poi, non sono sempre agevoli, essendo il vitto spesso insufficiente e cattivo, la vita in alcuni paesi carissima (i frati sostanzialmente si mantengono con le messe), il clima ostile, il rumore della città assordante. L’Inghilterra è il paese dove Fedele, si trova più a disagio.
     La povertà è il filo conduttore di questi viaggi e Fedele se ne lamenta spesso con il suo Generale. Il frate, soprattutto il Francescano, è sì povero per scelta, ma anche per imposizione, perché le dure circostanze glielo impongono: costano non solo il pur parco sostentamento e i trasferimenti da un luogo all’altro, ma anche altre spese indifferibili, come l’acquisto dei libri e delle edizioni antiche, strumenti che spesso Fedele trova solo all’estero e compera anche alle aste. Ma c’è anche un’altra povertà ed è per lui la più angustiante: la povertà numerica dei suoi collaboratori, le resistenze dei Provinciali a cedere qualche loro frate, che ritengono assolutamente indispensabile e inamovibile dal lavoro in Provincia. E infine vi è la povertà mentale dei confratelli; di coloro che nel corso degli anni si avvicenderanno nell’impresa, pochi alla fine resisteranno, o perché inadatti a quel lavoro per ristrettezza d’ingegno o difficoltà di apprendimento, o perché ignavi, riottosi a una vita di simili sacrifici e insensibili al richiamo di forti idealità di cui non riescono a cogliere il senso.
     Fedele è esigente, anzitutto con se stesso, poi con i suoi, non si risparmia, non lascia nulla di intentato ed anche per questo il lavoro procede con lentezza e l’edizione vera e propria è ogni volta procrastinata. Nel 1874 si festeggia il VIo centenario della morte di Bonaventura e di Tommaso: l’occasione è importante perché se Francesco è il cuore, la vita dell’Ordine, Bonaventura, è la sapienza di questo cuore; perché nel clima della neoscolastica imperante questi se non adeguatamente onorato potrebbe passare in secondo piano rispetto al più celebrato Tommaso; infine per dare nuova visibilità all’Ordine francescano, attraverso uno dei suoi maggiori esponenti. L’edizione però del primo volume dell’Opera omnia è ancora in alto mare ed ecco che Fedele per l’occasione confeziona un opuscolo, la Ratio novae collectionis, che illustra le ragioni e il programma della nuova edizione, rende conto del lavoro fatto e delle nuove scoperte. Tra i dotti di tutta Europa esso avrà un enorme successo e ampi riconoscimenti.
     Nel frattempo il lavoro cresce a dismisura con considerevoli spese di forze e di denaro; i collaboratori sono scontenti non vedendone la fine e per questo si lamentano con il loro Generale; le aspettative del mondo intero – specie dopo l’uscita della Ratio novae collectionis - sono grandi. Bernardino finora si è sempre mostrato comprensivo e paziente, ma alla fine, portavoce anche dei malumori di chi lavora con Fedele, lo mette alle strette, non con durezza che sarebbe controproducente, ma facendo leva su un sentimento psicologicamente più sottile, lo scoramento, un certo avvilimento per tutti i continui rinvii e lo invita a non tardare più, a dare inizio all’edizione. Imperterrito Fedele non gli dà ascolto e continua i suoi viaggi per tutta Europa: in tutto visiterà 410 biblioteche!
     Nel frattempo, dopo molte ricerche, nel 1877 Bernardino, avvertito della necessità di acquisire una sede esclusivamente per gli editori delle opere in corso, riesce a comperare una malconcia villa nobiliare a Quaracchi (Firenze) per ospitare la costituenda biblioteca, i materiali, in un secondo tempo la tipografia, e naturalmente gli editori stessi. Qui, dopo opportuni restauri, si stabilirà il Collegio S. Bonaventura ossia il gruppo di religiosi, inizialmente soprattutto tedeschi, addetti ai lavori scientifici, inizialmente sotto la direzione di Fedele e alla sua morte di Ignatius Jeiler (+ 1904). A Quaracchi - dove i Frati resteranno fino al 1971, per poi trasferirsi a Grottaferrata e da qualche anno a Roma (convento si S. Isidoro) - vedrà la luce, insieme ad altre importanti iniziative editoriali francescane, la sospirata edizione in 10 volumi delle opere di Bonaventura, il cui primo volume apparirà nel 1882, l’ultimo nel 1902 . Fedele non vedrà il risultato delle sue fatiche: morirà a Quaracchi a 42 anni sfinito dai viaggi, dalla stanchezza, dall’ansia di finire, dalla tisi.
     Fedele muore, ma la sua opera resta, anche se pochi oggi, leggendo in originale un testo di Bonaventura, immaginano il lungo e sofferto lavoro editoriale a monte, e chi ne sia stato l’autore. Per Fedele lo studio è stata la vita stessa al servizio di un alto ideale, che ha testimoniato con l’impegno di un grande rigore e con l’austera nobiltà di una ricerca scientifica senza scorciatoie né compromessi. Il valore dello studio, dunque: una sfida grande per quei tempi, ma ancora più per oggi.

Pubblicato in L’Osservatore Romano, 23 giugno 2012, p. 4.
 

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