CON LO SGUARDO FISSO SUGLI INIZI
Attualità del carisma
francescano-clariano
a 800 anni dalla Fondazione dell’OSC
del Ministro general OFM
A tutte le Sorelle Povere di santa Chiara,
a tutti i Frati Minori:
salute e pace santa nel
Signore (2Lcus 1; cf. LErm 1).
Felicitazioni!
1. Stiamo per
concludere l'VIII Centenario della conversione/consacrazione di Sorella Chiara
nella Porziuncola (1211-12) e l'VIII Centenario della Fondazione dell'Ordine
delle Sorelle Povere. In questa circostanza del tutto particolare per tutta la
Famiglia Francescana sento la necessità di farvi giungere, carissime Sorelle,
le mie personali felicitazioni e quelle di tutti i Frati Minori.
Con questa lettera voglio assicuravi che sempre, ma in
particolare durante questo Giubileo francescano-clariano, ci uniamo a voi per
ringraziare il Signore che continua nell'oggi a custodire il carisma che fu
dato a Francesco e Chiara 800 anni fa. Nello stesso tempo desidero esprimervi
la mia gratitudine e quella dei Farti Minori per la vostra presenza silenziosa,
orante e di profondo affetto nella nostra vita e in quella della Chiesa e del
mondo. Siete un vero tesoro per tutti noi, perché, dalla vostra vita nascosta in Cristo (cf. Col 3,3), ci evangelizzate, ricordandoci
che siamo del Signore e per il Signore, e che solo così possiamo essere per gli
altri[1].
Grazie Sorelle! Auguri!
I. Per iniziare
2. Durante questo
periodo, da più parti, non da ultimo dalla Chiesa stessa[2],
abbiamo ricevuto ripetuti inviti a prendere sul serio l'esortazione di Chiara:
«conosci la tua vocazione» (TestsC 4)
e a non dimenticare il punto di partenza, cioè le nostre origini (cf. 2LAg 11). Tali inviti tendono ad un
obiettivo prioritario: utilizzare questo tempo di grazia, questo kairós, per approfondire la Forma di
Vita francescano-clariana, rivisitando
gli elementi essenziali di questo carisma, che a distanza di 800 anni è ancora
profondamente attuale, come giustamente scriveva Benedetto XVI , «il tempo che
ci separa dalla vicenda di questi due Santi [Francesco e Chiara] non ha sminuito
il loro fascino. Al contrario...» (DoF
p. 17).
Francesco e Chiara, figli del loro tempo, parlano la lingua
dei loro contemporanei, pensano secondo le loro categorie, hanno la loro
sensibilità e tuttavia sono profondamente attuali. Francesco e Chiara sono in
sintonia con il loro tempo perché ne hanno saputo scoprire le necessità più
profonde, le hanno interpretate come segni dei tempi, come chiamate dello
Spirito, ed hanno proposto un’incarnazione del Vangelo che rispondeva
perfettamente a queste istanze. Ma Francesco e Chiara, senza essere estranei al
loro tempo, sono anche contemporanei ed attuali. Il segreto di tale attualità è
ovvio: «Francesco e Chiara sono risaliti fino alla fonte dell’acqua viva»[3].
Abituali ascoltatori del Vangelo, lo hanno custodito nel loro cuore (cf. Lc
2,51), e prontamente hanno obbedito alla Parola (cf. 1Cel 22), diventando così, interiormente ed esteriormente, icone
viventi del Figlio, Parola eterna del Padre (cf. 3LAg 13), un’«esegesi vivente» del Vangelo (cf. DV 83). Avendo trovato la Fonte di acqua
viva (cf. Gv 4,10ss), a distanza di
otto secoli, da loro continuano a sgorgare torrenti di acqua viva che appaga la
sete di tanti nostri contemporanei e che fornisce risposte a molte delle loro
domande.
Celebrare un Giubileo, come gli 800 anni della
conversione/consacrazione di Chiara e della fondazione dell’Ordine delle
Sorelle Povere, è un’occasione per ringraziare il Padre delle misericordie del dono di Chiara e delle Sorelle Povere,
ma è, anzitutto, un tempo propizio per gustare la grazia delle origini, per godere di un evento che, pur essendo
iniziato otto secoli fa, continua ad essere fondamento e principio da cui
sgorgano storia e futuro.
Solo con questo atteggiamento potremo portare a compimento
con impegno l’opera che abbiamo iniziato bene (cf. LErm 14; LOrd 10),
mantenere la fedeltà alle esigenze della Forma di Vita francescano-clariana
(cf. BensC 15) ed individuare cammini
da percorrere oggi, in modo che possiamo essere fedeli a Cristo, alla Chiesa e
all’uomo (cf. VC 110). Voi, care
Sorelle Povere, formando «massa scelta di pietre vive» (2Cel 204) e aperte alle
sorprese di Dio, siete un grido di novità per il nostro tempo, «esempio e
specchio» le une per le altre e per tutti (cf. TestsC 19).
Nel contesto in cui viviamo, tutti richiedono disponibilità e
docilità, sempre nuova e creativa, all’azione dello Spirito. Solo Lui può
mantenere stabilmente la freschezza e l’autenticità degli inizi e, allo stesso
tempo, infondere l’inventiva e la creatività per meglio rispondere ai segni dei tempi.
4. Con questa
lettera alle Sorelle Povere – in forza della responsabilità che mi proviene da
Francesco stesso (cf. RsC 6,3-4) – ed anche ai Frati Minori, desidero tornare
sui fondamenti della nostra comune forma di vita[4],
con un particolare riferimento a Chiara e alle sue Sorelle, con la volontà non
solo di custodire la Forma di Vira professata, ma anche per sviluppare ed
approfondire tali fondamenti (cf. RdC
20), consapevoli che in essi incontreremo il significato del nostro essere
nella Chiesa per il mondo.
Dal momento che la Forma di Vita delle Sorelle Povere e dei
Frati Minori è la stessa[5],
e che lo Spesso Spirito ha fatto uscire dal mondo i Frati e le Sorelle (cf. 2Cel 204), con questa Lettera invito
tutti a porsi in ascolto di Chiara, fedele interprete, nella vita e negli
Scritti, della Forma di Vita rivelata dall’Altissimo a Francesco (cf. Test 14). Mentre chiedo alle Sorelle di
bere dall’acqua chiara della spiritualità clariana, chiedo ai Frati Minori di
conoscere meglio Chiara, per amarla sempre più. Questo aiuterà tutti noi a
vivere meglio la Forma di Vita che tutti abbiamo professato. Frati e Sorelle
siamo le due facce della stessa medaglia. Pertanto, entrambi abbiamo la
responsabilità di fa sì che questa ispirazione, vivere secondo la forma del santo Vangelo, affidata dallo Spirito a
Francesco e Chiara, possa continuare a prendere forma nel nostro tempo.
II. Nella storia degli uomini e
delle donne di oggi
5. Sono
consapevole che stiamo attraversando un periodo delicato e faticoso (VC
13). Davanti a me, come sicuramente davanti a voi, sta, in primo luogo l’invito
di Chiara a seguire Cristo «con corsa veloce, passo leggero, senza inciampi ai
piedi», così che, sicuri, gioiosi ed
alacri, avanziamo «sul sentiero della beatitudine» (2LAg 12-13; un invito a far
memoria del nostro proposito, sempre guardando al principio (cf. 2LAg 11). Siamo anche consapevoli delle
ripetute esortazioni di Francesco a seguire le orme di Gesù Cristo (cf. LOrd 51), a perseverare nella disciplina
e nella santa obbedienza e ad adempiere «con proposito buono e fermo quelle
cose» che abbiamo promesso al Figlio di Dio (cf. LOrd 10). C’è, poi, l’insidia della mediocrità, della routine, del
disfattismo che ci minaccia e che, in molte occasioni, ci mette inciampi ai piedi (cf. 2LAg 13), impedendoci di «percorrere la
via dei comandamenti del Signore» e della perfezione che abbiamo abbracciato
(cf. 2LAg 15.17).
Alle difficoltà che ciascuno sperimenta nella sequela di
Cristo se ne aggiungono altre che provengono dall’ambiente che ci circonda.
Così, mentre il mondo ci chiede conto della qualità evangelica della nostra
vita, sembra di vivere come se Dio non
esistesse. E uno sguardo alla mentalità di molti uomini e donne del nostro
tempo ci rende consapevoli che molti sembrano rifiutare punti significativi di
riferimento e, spesso, sembrano solo preoccuparsi di soddisfare i propri
bisogni. Secondo questa logica, ciò che è valido agli occhi di Dio non sempre
lo è secondo il pensiero degli uomini. Di ciò già era cosciente lo stesso
Poverello quando, in una delle sue lettere, scriveva: «sappiate che al cospetto
di Dio ci sono alcune realtà altissime e sublimi, che a volte tra gli uomini
sono reputate vili e spregevoli, mentre altre sono preziose e ammirate tra gli
uomini, ma davanti a Dio sono ritenute vilissime e spregevoli» (2Lcus 2).
Secondo questa ottica mondana
sembra che il Vangelo sia uno dei punti dai quali oggi bisogna prendere le
distanze se uno non vuole complicarsi la
vita. Soprattutto perché spesso il Vangelo viene considerato e presentato
come un insieme di norme da osservare e, pertanto, cerca di soffocare la
libertà individuale e l’autorealizzazione. Come conseguenza crescono quelli che
pensano che ciascuno sia norma a se stesso. Il rifiuto di questi punti di
riferimento favorisce nell’individuo l’esperienza del campo aperto, dove uno
non incontra alcun limite, né tantomeno i principi fondamentali.
Nella nostra società non raramente la proposta evangelica
viene considerata superata, perché non rientra nei parametri del consumo e del
continuo cambiamento imposti dalla nostra società; e la sfera della
spiritualità, area nella quale la persona trova il senso della sua esistenza, è
ridotta ad una dimensione puramente individuale.
6. È in questo
contesto che ci è dato vivere la vocazione di Sorelle Povere e di Frati Minori,
in quanto consacrati. Per quello che vi riguarda, care Sorelle, anche se
separate non potete sentirvi ai margini di ciò che vive e respira il mondo,
perché nessuno – neppure voi che vivete in uno spazio vitale di clausura – può
sentirsi immune da possibili influenze esterne, che non aiutano la custodia di
quanto noi consacrati abbiamo professato, né si può escludere (l’esperienza
quotidiana ce lo dice) che la mentalità del come
se Dio non esistesse possa condizionare i nostri ambienti. Altrettanto si
può dire di noi, Frati Minori.
Senza perdere di vista quello che abbiamo promesso, tenendo
sempre davanti agli occhi il punto di partenza (cf. 2LAg 11) per vivere il presente come memoria delle origini e in tensione verso il futuro, siamo chiamati
in questo momento a rivisitare le
esigenze della sequela di Cristo secondo la Forma di Vita francescano-clariana.
In questo contesto di rivisitazione
della nostra identità, è necessario che tanto le Sorelle Povere come i Frati
Minori si lasciano interrogare e si chiedono perché le Fraternità a volte
vengono considerate punti di riferimento ed altre volte sono semplicemente
sconosciute o ignorate, perché alcune hanno vocazioni ed altre attraversano un
deserto vocazionale prolungato. È il tempo di fare un profondo discernimento
per vedere ciò che va gelosamente custodito, quello cha va lasciato e quello
che va rivisto e riconvertito, per evidenziare la bellezza della nostra Forma
di Vita in Fraternità forgiate dal Vangelo.
Nessuno può negare che, se da una parte riceviamo molti
consensi, dall’altra, tanto voi quanto noi, con grande difficoltà riusciamo a
far comprendere le nostre scelte vocazionali. È urgente chiedersi: che cosa
cerca chi si avvina a noi e quale senso ha la nostra vita nella Chiesa e nel
mondo? Ed inoltre: quali segni di vita offriamo perché l’uomo e la donna di
oggi si sentano aiutati ad entrare nel mistero del Padre rivelato in Gesù? Le
nostre risposte, anche le vostre, devono essere nuove; non risposte imparate.
Saranno tali nella misura in cui ciascuno, tanto personalmente quanto
comunitariamente, si metterà in discussione, mentre cerca ardentemente il volto
di Dio.
7. Senza rompere
la nostra alleanza con un passato vivo,
perché muoversi senza radici genera un cammino senza saggezza né orizzonte[6],
tuttavia è necessario ed urgente fare una sosta nel cammino, dare spazio al
silenzio, alla riflessione e al discernimento personale e comunitario per
individuare la terra indurita del
nostro cuore (cf. Rnb 22,10-26),
anche nei monasteri: attivismo, individualismo, appropriazione, stabilità,
nostalgia, agitazione, distrazione, ricerca di sicurezze...; e per valutare in
modo adeguato i Frati/le Sorelle, compagni/e di cammino: la libertà evangelica,
la gioia, il senso di appartenenza, l’apertura, il vivere sine proprio...
Durante le mie visite ai Monasteri OSC e alle Entità OFM,
frequentemente mi hanno chiesto sui nuovi strumenti e metodi per rendere più
attuale ed attraente la nostra vita. Mi chiedo e vi chiedo: è questione solo di
metodi e di nuove strategie o è questione di una rivisitazione degli elementi essenziali della nostra vita e di fare
scelte radicali?
Se oggi c’è una certa indifferenza verso la vita consacrata e
verso la nostra vita francescano-clariana, forse è perché stiamo perdendo la
capacità di essere segni profetici. L’anniversario della fondazione del vostro
Ordine, come l’anniversario della fondazione del nostro Ordine che abbiamo
celebrato tre anni fa, ci chiede di vivere oggi la nostra Forma di Vita e di
rispondere oggi ai segni dei tempi, rimanendo fedeli a ciò che lo Spirito,
attraverso Francesco e Chiara, ha donato ai Frati e alle Sorelle e, tramite
essi, alla Chiesa e al mondo. Non si tratta di un adattamento concordato della
nostra Forma di Vita a ciò che è di moda – sposare
la moda vuol dire rimanere presto vedovo, dice un detto orientale –, ma di
rispondere alle sfide che ci vengono dal mondo, incarnando il Vangelo, dal
centro dell’esperienza di Dio, nella forma di espropriazione/libertà radicale –
vivere sine proprio, come abbiamo
professato – e nella fraternità universale.
III. Prendersi cura delle radici
8. Ci sono molti
che sostengono che la vita religiosa ed anche quella francescano-clariana
stanno vivendo la stagione invernale. L’inverno, a prima vista, è un periodo di
morte: sparisce il verde della vegetazione, cadono le foglie, non ci sono fiori
e la stagione dei frutti è passata. L’inverno mette alla prova la speranza, che
si nutre di paziente attesa fino al ritorno della primavera e i campi si
rivestono di fiori che cederanno il passo ai frutti. Anche nella la vita
religiosa e nella vita francescano-clariana l’inverno si caratterizza, tra gli
altri sintomi, per la mancanza di vocazioni, con tutto ciò che comporta:
inversione della piramide dell’età, con molti anziani e pochi giovani, chiusure
di opere e di presenze, ridotta rilevanza sociale che molte volte abbiamo
avuto, aumento dello scoraggiamento, routine...
In inverno la tentazione potrebbe essere quella di tagliare
gli alberi e le piante. Tanto non si vede che il tronco! Ma la morte che sembra
caratterizzare l’inverno non è tale. Sotto l’apparente sterilità si sviluppa un
processo di rivitalizzazione. È la stagione in cui lavorano assiduamente le
radici, conservando tutta la linfa necessaria per trasmettere nuova vita in
primavera, in modo che in estate si possano raccogliere i frutti. Con il loro
lavoro silenzioso e nascosto le radici fanno sì che la vita rinasca, perché «se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo;
se invece muore, produce molto frutto» (Gv
12,24). L’inverno è il tempo della radicalità nascosta, della crescita in
profondità, che, anche se lunga e dolorosa, porta ad una nuova vita.
L’esperienza dell’inverno è quella che mi porta a chiedervi,
care Sorelle e cari Fratelli, di coltivare le radici. Forse ci sarebbe piaciuto
vivere nella stagione dei fiori e dei frutti in abbondanza, ma viviamo la
stagione profondamente feconda dell’inverno. Accogliamola come tale, con sano
realismo, ma anche con speranza certa
(cf. PCr 2). La tentazione di gettare la spugna, di non coltivare la
vita di fede, di non sperare, di rinunciare alla lotta, di cadere nella
mediocrità o, forse anche, di lasciare, può darsi che non sia estranea ad
alcuni di noi. Ma cedere a tutto questo sarebbe solo rinunciare a trasmettere
la vita, vivere egoisticamente il presente, che poco o nulla avrebbe a che fare
con ciò che abbiamo promesso il giorno della professione. Quando ci mancano
tante sicurezze, che abbiamo accarezzato e coltivato amorosamente, è il momento
di tornare all’essenziale, di vivere la spiritualità dell’esodo, di rinnovare
la nostra ferma volontà di vivere senza
nulla di proprio.
Ma oltre le apparenze, l’inverno è chiamata ad essere un kairós, una grande opportunità per
crescere in profondità, per purificarci e per tornare a ciò che conta davvero.
Attraverso l’inverno che stiamo vivendo, sono convinto che il Signore ci
chiami, voi e noi, alla radicalità. Una radicalità che non consiste in gesti
spettacolari, ma in una cura paziente e nascosta delle radici che, dopo tutto,
si riduce ad una fede radicale in Colui per il quale nulla è impossibile (cf. Lc 1,37).
Ormai non è lotta solo per la sussistenza o la sopravvivenza.
Si tratta di esercitarci in una fede radicale, fede retta (cf. PCr 2), e
in una speranza contro ogni speranza. In primo luogo, la fede radicale, ci
porterà a vivere in Dio e a vivere di Dio. Ciò richiede di ripartire da Cristo
e ritornare al Vangelo, in quanto Forma di Vita, ruolo che gli compete nella
nostra esistenza in quanto regola e vita.
In secondo luogo, la speranza è ciò che dà significato profondo alla vita. Oggi
questa speranza corre il rischio di diluirsi nella gestione di una semplice e,
in molti casi, angusta quotidianità. Senza cadere in un ingenuo ottimismo, non
possiamo rinunciare alla speranza che si fonda e si sostiene in una promessa: «io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20). La fede radicale e la speranza sono le fonti da cui
attingiamo acqua fresca e abbondante per irrorare le radici e rivitalizzare la
nostra vita, apparentemente arida, così che l’inverno sia fecondo, come il
grano interrato nel solco.
Ma al tempo stesso l’immagine dell’inverno me ne riporta alla
mente un’altra: la ricerca nella notte. Ed ecco la figura guida di Nicodemo,
prototipo del vero «ricercatore nella notte». È il tempo di porsi in
atteggiamento di ricerca, sotto la guida dello Spirito Santo. In questo
contesto è bene ricordare che siamo mendicanti
di senso e che l'itineranza, in
quanto sinonimo di ricerca costante di ciò che è gradito al Signore, fa parte
della nostra identità di Frati Minori e di Sorelle Povere.
9. La Chiesa ci
invita «a riproporre con coraggio l'intraprendenza, l'inventiva e la santità»
di coloro che hanno ricevuto la Forma di Vita che oggi professiamo e, così,
dare una «risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi» (VC 37). A noi viene chiesto di
interrogare Francesco e Chiara per meglio comprendere come hanno cercato e
testimoniato il Signore nel loro tempo. La fedeltà ai Fondatori passa
attraverso lo sforzo per capire dentro quali parametri si sono mossi, quali
alternative hanno trovato nel loro tempo per essere fedeli a Cristo e alla sua
Parola, quali aree hanno scelto per testimoniare il Vangelo, quali sono stati i
punti nodali sui quali hanno fondato la sequela, come hanno custodito la
passione per il Regno, nonostante le difficoltà incontrate.
Non si mantiene vivo il nostro carisma semplicemente
riproducendo il passato, ma cercando nelle radici le ragioni che hanno permesso
a Francesco e a Chiara di vivere una Forma di Vita che ancora continua ad
essere un segno leggibile per gli uomini e le donne del nostro tempo, grazie
all’esperienza di coloro che continuano a dire di sì, con la loro vita, alle
esigenze dello Spirito, e guardare al
futuro, nel quale lo Spirito li proietta per fare con loro ancora cose grandi
(cf. VC 110). D’altra parte, non si
può dimenticare che questo sguardo alle nostre origini e verso il futuro deve
andare di pari passo con un confronto tra la nostra vita e la cultura attuale.
Senza questo confronto si corre il rischio di cadere nella tentazione di fare
archeologia o, semplicemente, di fuggire in avanti.
10. Una volta
individuati gli elementi essenziali della Forma di Vita francescano-clariana,
bisognerà riflettere con lucidità, coraggio ed audacia, sulle strutture che
contengono tali elementi. Questo non vuol dire eliminare le strutture, ma
vedere quali devono rimanere, quali dovranno avere un nuovo significato, quali
dovranno essere eliminate e quali dovranno essere inventate, così che siano
effettivamente in grado di mantenere il vino del carisma (cf. Mc 2,22; Lc 5,38). Certo, le strutture più radicali che non rovinano il vino
vecchio della nostra Forma di Vita, ma che per l’essenzialità, la sobrietà e la
povertà, indicano l’assoluto di Dio e attraverso la vita fraterna, luogo
teologico, liturgico (particolarmente nel caso delle Sorelle), profondamente
umano ed evangelico insieme.
Care Sorelle e cari Fratelli, siate lucidi nel vostro
discernimento, audaci nelle vostre decisioni, volate alto, senza compromessi
con quello che il mondo oggi vi offre! Abbiate consapevolezza dell’amore di Dio
che ci ha chiamato a seguire questa Forma di Vita. Solo tale consapevolezza ci
condurrà a vivere sine proprio, ad
essere evangelicamente liberi, creativi e fedeli (cf. RdC 22). Liberiamoci da tutto ciò che oscura la nostra Forma di
Vita, per vivere in ogni momento il Vangelo che abbiamo promesso! Orientiamo la
nostra energia nella ricerca costante del Signore e della sua volontà (cf. PCr). Soprattutto voi, care Sorelle,
curate con particolare sollecitudine la vita spirituale, impegnatevi a
testimoniare che è possibile vivere sempre alla presenza del Signore e, così,
servire l’umanità.
IV. Elementi essenziali della
nostra Forma di Vita
11. L’abbiamo già
detto, nei momenti di crisi o d’inverno ci è data l’occasione per riflettere,
per situarci e per tornare all’essenziale. Ciò richiede l’ontoterapia: il trattamento dell’essere, il trattamento della nostra
identità. In tali momenti dobbiamo imitare l’amministratore saggio: sederci,
analizzare il problema e prendere una rapida soluzione (cf. Lc 16,1ss). Il tempo a nostra
disposizione non è molto.
Negli ultimi anni tanto le Sorelle quanto i Frati hanno dedicato
molto tempo a riflettere sulle esigenze di base della nostra Forma di Vita. Il
risultato di questo è che gli elementi essenziali sembrano abbastanza chiari.
Quello che segue ci aiuti a ricordarceli e a ricordare l’urgenza di decisioni
coerenti. È il momento di passare dall'ortodossia all'ortoprassi, da
un'identità dottrinalmente chiara ad un'identità vissuta e, in quanto tale,
significativa per i nostri contemporanei.
Vivere il Vangelo
12. Francesco e
Chiara hanno avuto come punto di riferimento esistenziale il Vangelo di nostro
Signore Gesù Cristo. Le loro scelte di vita, così come la Forma di Vita che è
iniziata con Francesco ed è continuata con Chiara, consistono semplicemente
nell’«osservare il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo» (RsC 1,2; Rb 1,1).
Tutta l’avventura francescana ha origine nella rivelazione fatta dall’Altissimo a
Francesco (cf. Test 14). Uno dei
momenti centrali di tale rivelazione che giunge a Francesco attraverso Gesù
Cristo, Parola incarnata, è l’ascolto dei testi nei quali Gesù traccia la
regola di condotta per i suoi discepoli (cf. Lc 10,8-9; Mt 10,7-13).
Di fronte a questa rivelazione Francesco esultò di gioia ed esclamò entusiasta:
«questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore» (1Cel 22; cf. Test 25; LegM 3,1).
Giorno memorabile quello in cui Francesco scoprì il Vangelo! Sarà il Vangelo a
cambiare il cuore e la vita del Poverello.
In seguito, il Vangelo costituirà la sua unica sapienza: infatti, non verrà
guidato da altra scienza se non quella del Vangelo. All’origine della vocazione
di Chiara sta quella stessa rivelazione
fatta al beatissimo padre Francesco,
«vero amante ed imitatore» di Cristo (cf. TestsC
5). A questo proposito è importante quanto Chiara dice nel suo Testamento: «il
Figlio di Dio si è fatto via, e questa ci mostrò e insegnò con la parola e
l’esempio il beatissimo padre nostro Francesco» (TestsC 5). A ragione chiamerà Francesco «nostra colonna, e nostra
unica consolazione e sostegno dopo Dio» (TestsC
38), «fondatore, piantatore e cooperatore nostro» (TestsC 48). Questa stessa rivelazione l’abbiamo fatta nostra con la
professione. Le Sorelle Povere e i Frati Minori hanno professato di vivere il
santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo (cf. RsC 1,2; Rb 1,1). È forse
questo l’elemento più caratteristico della nostra comune Forma di Vita.
13. A questo punto
penso che sia bene ricordare che il Vangelo, tanto per Chiara quanto per
Francesco, non è semplicemente un libro, ma una persona, la persona di Gesù
Cristo. In questo senso l’esperienza di Francesco e di Chiara è in perfetta
sintonia con quanto affermerà, secoli più tardi, il Concilio Vaticano II: Gesù
Cristo, la Parola fatta carne, «è insieme il mediatore e la pienezza di tutta
intera la Rivelazione» (DV 2). Dio ha
parlato «in molte e vari modi», nella creazione, con i profeti e i sapienti,
attraverso le Sacre Scritture, ma ha parlato in modo definitivo per mezzo di
Gesù Cristo (cf. Eb 1.1ss). Sia per
Francesco che per Chiara il Vangelo rinvia direttamente a Cristo, quindi, per
aver assunto il Vangelo come regola e
vita saranno condotti ad un’adesione personale al Signore e ad una
somiglianza totale con Lui. Del Poverello
si è detto che «dopo Gesù Cristo è stato l’unico cristiano» (Renán), «la copia
e l’immagine più perfetta che mai si sono avute di Gesù Cristo» (Benedetto XV),
«un nuovo esemplare di Gesù Cristo» (Pio XII), «in tutti gli atti della vita
sua fu conforma a Cristo benedetto» (Fior
1), è stato colui che «portava Gesù sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù
nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre
membra» (1Cel 115). Altrettanto si
potrebbe dire di Chiara: donna cristiana,
interamente dedicata allo Sposo (cf. 1LAg
7), che desiderava ardentemente di seguire il Crocifisso (cf. 1LAg 13) e di trasformarsi totalmente in
Lui (cf. 3LAg 13). Tanto era la
seduzione sperimentata dell’amore del Signore Gesù (cf. 1LAg 9)! L’ascolto sine
glossa del vangelo, la conformità e la sequela delle orme di Gesù Cristo è
quello che permetterà a Francesco e a Chiara di accedere completamente nel
mistero di Dio.
Nella Regola non
bollata e nella Regola bollata la
Forma di Vita che Francesco presenta all’approvazione della Chiesa è il Vangelo
(cf. Rnb 1,1; Rb 1,1). Questo, a sua volta, porta ad una configurazione totale
con Cristo: obbediente, povero e casto. Lo stesso nel caso di Chiara (cf. RsC
1,1-2), che nel Testamento afferma: «per noi il Figlio di Dio si è fatto
via...» (TestsC 5). Professare,
«osservare il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo» è anche per le
Sorelle Povere e i Frati Minori molto di più che ottemperare a ciò che chiedono
alcuni testi del Vangelo. Professare il Vangelo è semplicemente essere «esegesi
viventi della Parola di Dio» (VD 83),
riprodurre in noi la vita di Gesù (cf. Fil
2,5), conformarsi totalmente a Cristo. Questo è stato l’obiettivo ultimo della
vita di Chiara e di Francesco. Questo deve essere, care Sorelle e cari
Fratelli, l’obiettivo primo ed ultimo della nostra sequela di Cristo[7].
14. Qualsiasi tipo
di rinnovamento profondo comporta necessariamente il ritorno al Vangelo come
regola e vita, per ascoltarlo e prestargli «l’obbedienza della fede» (Rm 1,5). La vita religiosa ed anche la
vita francescano-clariana hanno bisogno di un presente ricco di passione per
Cristo e per l’umanità. E questo richiederà di accendere un nuovo fuoco e
iniettare nuova linfa nell’albero secolare del nostro carisma. Questo nuovo
fuoco e questa nuova linfa potranno solo venire, care Sorelle e cari Fratelli,
da un ritorno al Vangelo, nucleo fondante e fondamentale del carisma di
Francesco e di Chiara.
Contemplando questi due innamorati di Cristo, Francesco e
Chiara, quello che oggi è più urgente porre in ogni momento e in ogni
circostanza il Vangelo, nelle sue esigenze più radicali, come fondamento della
vita quotidiana, criterio primo ed ultimo del proprio agire o, che poi è lo
stesso, collocare Cristo al centro della propria vita e missione (cf. Fil 3,8ss).
La grande sfida per voi, amate dal Signore, la stessa per
noi, cari Fratelli, è ripartire dal Vangelo e lascarsi abitare da esso, se
vogliamo fare di questo tempo un vero kairós
e mantenere significativa la nostra Forma di Vita per gli uomini e le donne di
oggi, perché solo allora potremo garantire il futuro verso il quale ci spinge
lo Spirito per continuare a fare con noi grandi cose (cf. VC 110)
• Che
cosa è per me il Vangelo: un’idea/ideologia o una persona/forma di vita?
• Quale
posto occupa il Vangelo nella nostra vita quotidiana?
• È
realmente la nostra regola e vita?
• Su
che cosa si basano i nostri criteri di discernimento nella vita personale e
nella vita comunitaria?
• Al
mio ascolto della Parola segue l’obbedienza di fede?
Iddio mio, Iddio mio[8]
Francesco e Chiara, due persone
centrate nel Signore
15. Per Francesco
il Signore era tutto (cf. LodAl). Il Poverello continua a chiedere di donarci
totalmente a Colui che interamente si donò a noi (cf. LOrd 29). C’è un testo che merita di essere ricordato. Nella Regola non bollata Francesco scrive:
«Tutti amiamo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con
tutte le forze, con tutto lo slancio, tutto l’affetto, tutti i sentimenti più
profondi, tutti i desideri e le volontà il Signore Iddio, il quale a tutti noi
ha dato e dà tutto il corpo, tutta l’anima e tutta la vita [...]». E continua:
«nient’altro dunque dobbiamo desiderare, nient’altro volere, nient’altro ci
piaccia e diletti, se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero
Dio, il quale è il bene pieno, ogni bene, tutto il bene, vero e sommo bene
[...]. Niente dunque ci ostacoli, niente ci separi, niente si interponga a che
noi tutti, in ogni luogo, in ogni ora e in ogni tempo, ogni giorno e
ininterrottamente crediamo veracemente e umilmente e teniamo nel cuore e
amiamo, onoriamo, adoriamo, serviamo, lodiamo e benediciamo, glorifichiamo ed
esaltiamo, magnifichiamo e rendiamo grazie all’altissimo e sommo eterno Dio
[...]» (Rnb 23,8ss). Niente e nessuna
cosa è a Lui paragonabile. Francesco è il «vero amante ed imitatore» di Cristo
(cf. TestsC 5), «tutto trasformato in
preghiera vivente» (2Cel 95),
l’amante che si identifica con l’Amato (cf. LegM
13,5). A ragione si è detto che «per Francesco Dio ha un nome: Amore»[9].
Lo stesso dicasi di Chiara. Questa donna – di mente, anima e
cuore contemplativi – esorta a consegnarsi, senza riserva alcuna, all’amore
eterno (cf. LErm 3-4; 1LAg 5), al «più bello tra i figli degli
uomini» (2LAg 20), evitando di
lasciarsi avvolgere dalle tenebre della mediocrità o dall’amarezza o tristezza
che produce «il fango del mondo» (LErm
2).
Seguendo anche in
questo il beatissimo padre Francesco,
come ama chiamarlo, Chiara è una donna totalmente centrata in Gesù Cristo, una
sposa profondamente innamorata dello Sposo, un’anima autenticamente
contemplativa. «Quei grandi occhi di Cristo [il Crocifisso di San Damiano] –
scrive Benedetto XVI – che avevano affascinato Francesco, diventarono lo
“specchio” di Chiara» (DoF p. 16).
Chiara apprese alla scuola di Francesco che Dio è la vera bellezza (cf. 4LAg 10; LodAl 4). Il suo cuore, quindi, si lasciò illuminare da questo
splendore (cf. DoF p. 16), che non
estinguerà mai «lo spirito della santa orazione e devozione» (RsC 7,2) e la trasformerà, tutta, per la contemplazione (cf. 3LAg 13), vivendo in un continuo stato
di conversione, alla ricerca costante di Dio, in stabile atteggiamento di
obbedienza nella fede. Nell’ascolto di Dio viene plasmata dalla Parola che la
interpella.
Francesco e Chiara, due cuori profondamente innamorati del
Signore che si incontrano e si riconoscono come anime gemelle nell’Amato. La
loro vita è amore in risposta all’Amore (cf. LegM IX,1).
16. La
contemplazione di Francesco e Chiara inizia con uno sguardo, colmo di stupore,
al mistero dell’incarnazione, passione e morte del Signore. Sappiamo tutti che
Francesco amava celebrare il Natale più di qualsiasi altra festa (cf. 2Cel 199); ciò che maggiormente lo
stupiva – e qui c’è un grande parallelismo con Chiara – era l’umiltà di Dio
fatto uomo (cf. 1Cel 84). A Natale
nasce «lo stesso vero Dio e vero uomo dalla gloriosa e sempre vergine santa
Maria» (Rnb 23,3) e il «Verbo del
Padre [...] ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità» (2Lf 4). La contemplazione di questo
mistero dell’amore e dell’umiltà porta Francesco a diventare «bambino con il
Bambino» (2Cel 35). Per Francesco il mistero dell’incarnazione si prolunga
costantemente nell’Eucaristia, nella quale «ogni giorno egli [il Figlio di Dio]
si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni
giorno egli stesso viene in apparenza umile» (Am 1,16-17). Per il Poverello,
la contemplazione della nascita va sempre unita alla contemplazione della
passione di Gesù, che volle rappresentare nella sua morte (cf. 1Cel 109ss). La nascita e la passione
del Signore occupavano stabilente la mente di Francesco, come scrive il suo
Biografo: «l’umiltà dell’incarnazione e la carità della passione aveva impresse
così profondamente nella sua memoria, che difficilmente voleva pensare ad
altro» (1Cel 84).
Nelle lettere ad Agnese la Pianticella di Francesco, da parte sua, ci mostra come la
contemplazione parte sempre dallo sguardo, anche nel suo caso, attento, pieno
di stupore e di gratitudine al mistero dell’incarnazione. Colui «che i cieli
non potevano contenere», si è abbassato fino a mettere la sua dimora «nel piccolo
chiostro» del «sacro seno» della fanciulla di Nazaret (cf. 3LAg 18-19). Il «Signore dei signori» (2LAg 1), «un così grande e tale Signore, quando venne nel grembo
verginale, volle apparire nel mondo disprezzato, bisognoso e povero» (1LAg 19) e «Lui, che era ricco sopra
ogni altra cosa, «volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima
Vergine, sua madre, la povertà» (2Lf
5).
Piena di stupore davanti a tale abbassamento del Figlio di
Dio, Chiara non può non esclamare: «O mirabile umiltà, o povertà che dà
stupore! Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra è reclinato in
una mangiatoia» (4LAg 20-21).
Lo sguardo di Chiara al mistero dell’incarnazione è quello
della sposa allo Sposo, è lo sguardo di un cuore puro, di un cuore profondamente
innamorato che contempla l’incarnazione del Verbo alla luce dell’amore senza
limiti di Dio per l’umanità. È lo sguardo attento e permanente – quotidianamente, continuamente (4LAg 15) –
che la porta a scoprire la bellezza di Gesù Cristo, lo «sposo di stirpe più
nobile» (1LAg 7), con l’«aspetto più
bello» (1LAg 9), «la cui bellezza
ammirano incessantemente tutte le beate schiere dei cieli» e «la cui visione
gloriosa renderà beati tutti i cittadini della Gerusalemme celeste» (4LAg 10.13).
Ma se la povertà e l’umiltà di Betlemme accendono lo stupore
e la meraviglia interiore di Chiara e conquistano il suo cuore per Dio, sarà il
calvario il luogo privilegiato dell’amore sponsale della vergine Chiara. È
nella passione e morte dove si manifesta l’amore di Dio per l’umanità fino alle
ultime conseguenze, la sua «ineffabile carità» (4LAg 23). Per cui, davanti allo scandalo della croce, lo sguardo di
Chiara si fa penetrante, appassionato e pieno di compassione: «abbraccia,
vergine povera, Cristo povero. Vedi che egli per te si è fatto oggetto di
disprezzo e seguilo, fatta per lui spregevole in questo mondo. Guarda il tuo
sposo... divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato,
percosso e in tutto il corpo più volte flagellato, perfino morente tra le
angosce della croce: guardalo, considerarlo, contemplalo, desiderando di
imitarlo» (2LAg 18.20).
L’incarnazione, la passione e la morte di Gesù sono i
pilastri della contemplazione di Francesco e di Chiara: «povero fu posto nella
mangiatoia, povero visse nel mondo e nudo rimase sul patibolo» (TestsC 45). Una contemplazione che in
Francesco e Chiara riveste i seguenti aspetti: è amorosa – scienza ed arte di amare, così la definirà Francisco de Osuma –; è
strettamente unita alla povertà o, meglio ancora, al vivere sine proprio e, come tale, comporta di
non porre se stessi al centro, ma di abbandonare lo spirito di possesso e di
dominio e adottare un atteggiamento di distacco, così che trasparisca la
pienezza di Dio (cf. LOrd 29);
inseparabile dallo stupore e dalla lode, che dicono dell’«eccesso» di amore da
cui si è visto inondato il contemplativo (cf. LodAl 3-4). La contemplazione, infine, deriva dalla fraternità,
che, a sua volta, trova in essa il mezzo più adeguato per essere promossa. Al
riguardo basta ricordare che in nessuna parte splende così chiaramente la
presenza di Dio come nel volto del fratello/sorella e che l'amore fraterno è
l'espressione e il criterio per eccellenza dell'amore di Dio di cui vive la
contemplazione. Probabilmente questo aspetto fa sì che la contemplazione
francescana si distingua da altre forme di contemplazione: l’aver sottolineato
fraternità contemplative, anziché contemplativi isolati.
17. Avvolti nel
silenzio ed immersi nella solitudine abitata dallo Spirito, Francesco e Chiara
assumono lo sguardo contemplativo della storia e della realtà, uno sguardo
sacramentale, che li porta a passare da un vedere
secondo la carne a un vedere e credere
(cf. Am 1,19-21), e in questo modo ad
accogliere nella storia e nella realtà il mistero di Dio presente ed operante.
D’altra parte, coniugando la solitudine con la comunione, Francesco e Chiara
apprendono da Dio a vivere con libertà: tutto nella loro vita è ordinato a
custodire le relazioni. Uomo e donna di profonda interiorità, le loro radici
erano ben salde nell’amore di Gesù Cristo.
La contemplazione di Francesco e Chiara, così intesa, è
essenzialmente vita di unione con Dio fino alla trasformazione totale in icona
della sua divinità (cf. 3LAg 13); è conoscenza di Cristo, dedizione totale a
Lui e decisa volontà a seguirLo in ogni momento; è apertura al mistero di Dio
che ci circonda per lasciarci possedere da Lui. In questo senso la
contemplazione è un svuotarsi totalmente di tutto il superfluo, perché Colui
che è il Tutto riempia il cuore fino a traboccare.
I Frati e le Sorelle, uomini e
donne innamorati di Cristo
18. Per un Frate
Minore e per una Sorella Povera il Dio rivelatosi in Gesù deve occupare il
centro di tutta l’esistenza. Dio e la sua ricerca saranno il loro distintivo,
la loro missione e il motore della loro vita. L’obiettivo della loro vita, come
quello della vita di ciascun contemplativo, è il «quaerere Deum, il cercare Dio»[10].
I Frati e le Sorelle sono chiamati ad essere monotropi, persone che tendono verso una sola cosa: Dio. I
contemplativi sono persone la cui conoscenza di Dio impregna tutta la loro
vita. La consapevolezza della presenza di Dio li magnetizza e li orienta al di
là di qualsiasi altra cosa. I contemplativi sono coscienti che Dio li crea, li
sostiene, li interpella; vivono immersi in Dio. Questa consapevolezza è il
filtro attraverso il quale pensano, agiscono, pregano. I contemplativi sanno,
perché lo sperimentano ogni momento, che cosa significa vivere nel seno di Dio.
Entrare in questa consapevolezza della presenza di Dio,
essere contemplativi, esige disciplina, organizzare la propria vita in modo
tale che quotidianamente, costantemente venga fornita un’alimentazione adeguata
alla dimensione contemplativa. Uno degli elementi indispensabili è la lettura
orante della Parola, «elemento fondamentale della vita spirituale», che, più
ancora che lo studio, richiede «l’intimità con Cristo e la preghiera» (VD 86).
La nostra vocazione più radicale è quella di gustare «la
dolcezza nascosta che Dio stesso fin dall’inizio ha riservato a coloro che lo
amano» (3LAg 14). Per questo
Francesco insiste che nulla si può anteporre nella nostra vita al Signore:
tutto nella vita dei Frati e delle Sorelle deve servire allo spirito di orazione e devozione (cf. LAnt 2; Rnb 5,2; RsC 7,2).
Chiamati a tenere la mente, l’anima e il cuore rivolti al Signore (cf Rnb 22, 19ss; 3LAg 12-13), i Frati e le Sorelle dovrebbero trovare nella
contemplazione, in quanto unione con Dio e scelta radicale per Gesù Cristo, la
propria ragione ultima di esistere e la loro vera missione.
In questo modo resta fuori dalla vita del Frate e della
Sorella, che si considerano veramente contemplativi, ogni attivismo che spegne
lo spirito di orazione e devozione, così come resta fuori ogni mediocrità,
routine o stanchezza. Essere contemplativi è prendere il Vangelo con le sue
esigenze più radicali, senza sconti e senza giustificare adattamenti ad un
comodo stile di vita. La contemplazione per i seguaci di Francesco e Chiara è
scegliere in maniera esclusiva per il Signore, consegnargli la vita così da
poter dire come san Paolo: «non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). La contemplazione è per un
Frate Minore e per una Sorella Povera poter affermare con Francesco: «Dio mio e
ogni mio bene» e con Chiara: mi basta lo Sposo, perché «la sua potenza è più
forte, la sua nobiltà più elevata, il suo aspetto più bello, il suo amore più
soave e ogni favore più fine» (1LAg 9).
La contemplazione francescano-clariana deve essere sempre vista nell’orizzonte
della sequela di Cristo. La sequela di un Frate Minore o di una Sorella Povera
è contemplativa e, per questo, non si può mai separare la contemplazione dalla
qualità evangelica della vita, secondo il proposito
di vita che abbiamo abbracciato con la professione (cf. 2LAg 11), o dalla ferma volontà di
crescere «di bene in meglio, di virtù in virtù» (1LAg 32), percorrendo senza inciampi la strada della beatitudine
(cf. 2LAg 12-13). Inoltre, la
contemplazione francescano-clariana non è mai una contemplazione astratta, oggi
tanto in voga a motivo delle filosofie orientali, né è una contemplazione che
annienta l’io, ma una contemplazione del Tu che si presenta come la pienezza
dell’io, nell’incontro cordiale dell’io con il Tu o, per usare un’espressione
di Chiara, una contemplazione che è un abbraccio dalla grande tenerezza (cf. 4LAg 32).
Tutto ciò è impossibile senza una profonda esperienza di fede
che plasmi tutta l’esistenza umana: «i pensieri e gli affetti, la mentalità e
il comportamento» (Pf 6). La fede è
la porta, la meta e il fondamento della vita contemplativa. La fede va oltre
l’ortodossia, la devozione religiosa o la pietà. La fede è abbandono nelle mani
di Dio, fiducia nell’Oscurità che è Luce. Il credente confida nell’oggi ed
accetta il domani, perche sa che, comunque sia, Dio è in esso. La fede vive nel
mistero che è Dio e cresce nella vita. Una vita contemplativa non è possibile
senza un incontro personale con la persona di Gesù. Solo a partire dalla fede,
che sgorga e si sostiene nell’incontro personale con Gesù, uno può accogliere
in ciò che accade quello che non accade, nel frammento l’unità, nel momentaneo
l’eterno, nell’umano il divino. Solo la fede dà la possibilità di passare dal
vedere nella carne al vedere credente e con gli occhi di Dio. Invitandoci ad
altrepassare la porta della fede (cf. At 14,27),
Benedetto XVI afferma: «Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e
la luce sia tenuta nascosta» (Pf 3).
L’anno della fede indetto da Benedetto XVI potrebbe essere una buona occasione
«per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la
fede» (Pf 7).
In questo cammino, però, né i Frati né le Sorelle possono mai
dimenticare che la passione per Cristo è passione per l’umanità. Per questo la
loro contemplazione non può essere estranea alla vita dell’uomo e dei popoli e
a ciò che a loro accade. Questa realtà deve essere presente in ogni istante
della vita e della preghiera dei contemplativi. Lo ricordava già Chiara alle
Sorelle di San Damiano: «Carissime figlie, da questa città ogni giorno
riceviamo molti beni; sarebbe grande empietà se al momento della necessità non
le venissimo in soccorso come possiamo» (LegsC
15). Un Frate Minore e una Sorella Povera devono sentirsi in comunione con
tutti, presentare tutti al Signore con le loro gioie e i dolori, con le loro
speranze e frustrazioni. Porteranno tutti nel loro cuore che resta fisso nello
Specchio, accoglieranno tutti nella loro anima contemplativa.
Questo sarà possibile se i Frati e le Sorelle coltiveranno
una spiritualità dinamica, che ci fa insieme figli del cielo e figli della
terra; una spiritualità integrale, che ci porta a vivere in pienezza nell’amore
per Dio e per il prossimo; una spiritualità in tensione, che ci dia la
possibilità di essere insieme mistici e profeti. La nostra Forma di Vita ci
chiede questo, questo si aspettano da noi i nostri contemporanei.
Metodo clariano di contemplazione
19. Ma che passi
bisogna fare per raggiungere una vera contemplazione? Concentriamoci su Chiara.
La donna nuova non è solo un’anima
contemplativa, ma è anche maestra di contemplazione e, in quanto tale, ci offre
un metodo da seguire, che può essere sintetizzato con tre verbi presenti nella
seconda lettera di Chiara ad Agnese: guardare
(osservare), considerare e contemplare.
• Guardare,
osservare attentamente: «Guarda ogni giorno questo specchio ... guarda con
attenzione – ti dico – il principio di questo specchio, la povertà di colui che
è posto in una mangiatoia e avvolto in pannicelli» (4LAg 15.19) Il guardare implica il mettere in gioco tutti i
sentimenti per rivestirsi di Cristo (cf Gal
3, 27; Ef 4,24), per avere i suoi
stessi sentimenti (cf Fil 2,5). Non
si tratta di un’esperienza romantica davanti al presepio, ma di un’esperienza
di vera povertà. Il guardare contemplativo a cui Chiara invita comporta una
scelta decisa per la povertà, seguendo in questo il cammino scelto dal Figlio
di Dio (cf TestsC 5). Lontani da un
guardarsi addosso, si tratta di uscire da se stessi e contemplare la povertà di
Colui che «si è fatto per te spregevole». Per Chiara non c’è altro modo di
guardare alla povertà di Cristo che facendosi povera: «Seguilo, fatta per lui
spregevole in questo mondo» (2LAg 19).
• Considerare. Per Chiara il considerare abbraccia la mente e porta a percepire
l’umiltà come un contrasto che scandalizza e affascina: il Re degli angeli
avvolto in pannicelli e posto in una mangiatoia (cf 4LAg 19s). Per Chiara, come per Francesco povertà e umiltà sono
strettamente unite (cf Salvir 2). La
povertà rende manifesta la condizione dei poveri di beni materiali, l’umiltà
esprime ciò che di più profondo ha la povertà: l’abbassamento, l’umiliazione,
il disprezzo. Se la povertà è la negazione della ricchezza, l’umiltà è la
negazione del potere. L’umiltà è la condizione kenotica della sequela. Per Chiara “considerare” vuole dire seguire
Cristo nella sua umiltà e nel suo abbassamento.
• Contemplare. Contemplare implica principalmente il cuore che per Chiara è il
luogo dell’allenaza con lo Sposo. In questo senso la contemplazione esprime la
consegna totale e radicale, la comunione che permette di gustare Dio. Per
questo è necessario tenere il cuore completamente rivolto al Signore. In questo
modo sarà possibile avere un cuore puro (cf. RegsC 10,10), vedere con gli occhi di Dio. Contemplare, come si è
detto, è semplicemente seguire Cristo con la radicalità prosposta dal Vangelo.
“Vedere”, “considerare” e “contemplare”, più che di gradi,
sono momenti di uno stesso processo che va ben al di là di una mera
considerazione intellettuale e conduce ad un’esperienza che coinvolge la
persona in ogni sua dimensione: spirituale, intellettuale, affettiva e
sensibile, sfociando in una scelta di vita conforme al contemplato. Così la
contemplazione clariana è come l’amore autentico: avvolgente (cf 3LAg 12s; 4LAg 15), che porta alla sequela e all’identificazione piena con la
persona amata, che porta alla trasformazione dell’amante nell’Amato.
20. Per arrivare
ad una simile identificazione o ad un tale grado di contemplazione è necessario
il silenzio. Questo è ciò che pensa Chiara nella sua Regola (cf RsC 5) e così pensano la Chiesa e le
stesse Costituzioni delle Sorelle Povere: «la
ricerca dell’intimità con Dio comporta il bisogno, veramente vitale, di un
silenzio di tutto l’essere» (ET
46; cf. CCGG OSC 81). La Sorella Povera che desidera rimanere nell’intimità con
lo Sposo e trasformarsi in lui, deve evitare alla sua anima «ogni strepito» (LegsC 36). Ma il silenzio è necessario
solo per le Sorelle? Non credo. Il silenzio, dal momento che precede la Parola
di Dio e la Parola su Dio è necessario anche per i Frati (cf. Rer 3). Francesco con il suo amore per i
luoghi ritirati ci insegna il valore del silenzio. Dobbiamo confessare che il
silenzio ci fa paura perché è il vuoto nel quale si incontra l’io con Dio, e,
allo stesso tempo, ci mostra quello che ancora ci manca per essere ciò che
dobbiamo essere.
Una cosa però è stare zitti, un’altra, ben diversa, è il
silenzio abitato. Questo non è mutismo, è piuttosto un rimanere con una
presenza vivificata e creativa. Il silenzio di cui stiamo parlando è la
presenza dell’io nel tu, un attento e intimo divenire del Signore nella propria
vita. Se lo stare zitti ha un carattere ascetico, il silenzio va compreso in
prospettiva mistica: stare con Dio, con se stessi e con gli altri. Allora
nascerà il silenzio nella parola, nel lavoro, nell’incontro, mentre la forma
del parlare saranno la discretio (cf.
RsC 5,8) e la devotio (cf. RsC 7,2) e
tuttto rimanderà all’amore reciproco e alla pace interiore ed esteriore (cf. RsC 4,22). Il silenzio di cui ci parlano
Francesco e Chiara è fatto di solitudine e di ascolto, di relazione armoniosa
tra silenzio e parola.
Per una vita veramente contemplativa sono necessarie:
l’orazione mentale e fraterna (cf. RsC 3),
l’ascolto orante della Parola e una vita liturgica intensa. Solo così il
contemplativo scoprirà chi è veramente. La preghiera è la chiave che apre al
Silenzio, al Tutto.
La clausura al servizio della
contemplazione
21. Desidero ora
soffermarmi sul tema della clausura delle Sorelle, elemento che definisce lo
specifico della vita clariana all’interno del carisma francescano. I Frati
Minori e le Sorelle Povere condividono tutta la ricchezza del carisma: povertà,
fraternità, cattolicità, missionarietà... Tuttavia, alla Sorelle Povere
probabilmente viene richiesto un di più attraverso la clausura: uno stare
fedele e costante alle sorgenti del mistero, con una vita orientata
esclusivamente alla contemplazione. È vero, sia i Frati Minori che le Sorelle
Povere sono chiamati ad avere un’unione forte e indissolubile con le radici
della vita consacrata che è Gesù, contemplato nel mistero di amore e di dolore,
ma, se questa è la meta comune che deve orientare la nostra vita, diversi sono
i mezzi per raggiungerla. Mentre voi siete chiamate a mantenere prevalentemente fisso lo sguardo
direttamente nello Specchio, noi siamo chiamati anche a testimoniare e ad
annunciare al mondo Colui che è riflesso. Ho evidenziato il prevalentemente,
poiché sarebbe un’infedeltà da parte vostra se perdeste di vista l’umanità per
la quale state dando la vita nel chiostro; come sarebbe infedeltà da parte
nostra se perdessimo di vista Gesù, a cui ci siamo legati con la professione e
che è Colui che sostiene il nostro lavoro apostolico. Credo che in questo
possiamo molto aiutarci reciprocamente: voi, ricordandoci che c’è un tempo da
perdere unicamente per Lui, perché c’è bisogno che Lui stia con noi e noi con
Lui; noi, a tirarvi fuori da un quietismo che vi potrebbe portare a chiudervi
nei vostri ritmi quotidiani, nei vostri problemi interni. Noi possiamo e
dobbiamo darvi la nostra esperienza di Dio, ricca dell’incontro con la povertà
dell’uomo, voi dovete darci il volto di Gesù nel cui mistero vivete immerse
quotidianamente, senza distrazioni, grazie ad una vita profondamente
contemplativa. Così voi ci aiuterete a rendere più “divino” il nostro lavoro;
mentre noi vi aiuteremo a rendere più concreta ed umana la vostra
contemplazione.
Tenendo presente quanto detto, la clausura è un elemento
importante della forma di vita delle Sorelle Povere, che hanno scelto una vita
interamente contemplativa. Una contemplazione come quella di cui abbiamo
parlato può essere vissuta solo in uno spazio vitale di clausura. L’io si può
consegnare all’Altro solo se esiste un’armonia interiore riconciliata.
La clausura per le Sorelle Povere non è un fine in se stesso,
ma uno strumento per custodire la vita in Dio. Contemplazione e clausura sono
strettamente unite. In questo senso la clausura trova il suo significato più
pieno quando è vissuta come spazio di relazione. La clausura dovrà aiutare la
persona, tutta intera – mente, cuore e corpo –, a custodire una relazione
privilegiata, intensa, con la persona del Signore Gesù. Attraverso la clausura
la Sorella Povera rende visibile una nuova modalità di relazione appresa alla scuola
della Trinità.
In quanto alla clausura
della mente la vedo molto vicina alla santa
semplicità, tanto amata da Francesco, che è la purezza dello sguardo che va
oltre qualsiasi ambiguità o debolezza. Questa clausura della mente ha molto a
che vedere con la formazione. In questo senso una Sorella Povera deve essere
formata a saper leggere gli avvenimenti della vita con quello sguardo profetico
che va al di là del dato reale, per riconoscere in essi l’opera di Dio. La clausura del cuore deve aiutare la Sorella
ad allargare gli spazi del cuore, per amare con cuore libero; libero, perché è
unita strettamente a Gesù e in Lui con tutti i fratelli per i quali Gesù ha
dato la vita. La clausura del cuore deve prestare grande attenzione alla
qualità delle relazioni. Una Sorella Povera appartiene, totalmente, a Lui e in
Lui alla Chiesa, soprattutto alla prima Chiesa che è la comunità. Questo deve
trasparire in tutte le relazioni di una Sorella Povera. La clausura del corpo fa riferimento al fatto fisico della clausura,
al vostro vivere “separate”. Questa clausura comporta rinuncia, ma questa sarà
facilmente superabile se la vostra separazione è abitata da Lui e, in Lui,
anche dagli altri. Anche questa clausura, però, deve portarvi ad allargare la
prospettiva della vita, offrendo un’alternativa al modo normale delle persone
di relazionarsi.
In questo modo la clausura non è tanto una separazione, ma un
nuovo tipo di relazione: con Dio e, di conseguenza, con gli altri. Valutando la
vostra clausura come una forma radicale di vivere sine proprio e come un “qualcosa di unico” all’interno del carisma
francescano-clariano, penso che le Sorelle Povere siano chiamate a fare una
sosta nel loro cammino e a domandarsi se la stabilità, che certamente è una
caratteristica della vita contemplativa, non si sia trasformata in immobilità e
se non si possa continuare a parlare di stabilità anche assumendo la teologia della tenda, così che la
stabilità e la clausura possano continuare ad essere segno vivente di speranza
tra quanti vivono in modo distratto e come se Dio non esistesse.
Chiamata a spendere la propria vita vivendo solo per Dio, è
necessario che la Sorella Povera riqualifichi e dia un senso nuovo alle
coordinate del suo vivere la stabilità e la clausura. Solo così sarà un segno
per il mondo di oggi diviso e frammentato. Per questo è necessario anche che i
Monasteri si trasformino in luoghi di silenzio abitato, di ascolto, di
accoglienza per quanti si sentono persi, hanno bisogno di amicizia, cercano e
desiderano di incontrare il Signore e, così, dare un nuovo senso alla propria
vita.
• Chi
è Gesù per me?
• Quale
posto occupa nella mia vita e in quella della mia Fraternità?
• Come
vivo la dimensione contemplativa nella vita concreta di ogni giorno?
• Esiste
nella mia vita e in quella della mia Fraternità un “progetto ecologico di
vita”, nel quale siano assicurati i tempi per se stessi, per Dio, per i
Fratelli/le Sorelle e per la missione?
• Nel
caso delle Sorelle: come vivo la clausura? Come una forma alternativa di
rapporto o come un’assenza e una semplice separazione?
La vita fraterna in comunità o in
santa unità
22. Francesco e
Chiara vivono la sequela di Cristo povero nella comunione della vita fraterna o
in santa unità. Dal momento in cui il
Signore diede dei Fratelli a Francesco ed illuminò
il cuore e donò delle Sorelle a Chiara (cf. TestsC
24-25), il Poverello e la sua Pianticella
compresero se stessi solo a partire dalla relazione con i Fratelli e le
Sorelle. La Forma di vita che entrambi ci hanno trasmesso è pensata per essere
vissuta in fraternità. Questo è dimostrato dalla quantità e varietà dei termini
e delle espressioni che incontriamo nella Forma di Vita di Francesco e di
Chiara per indicare la relazione fraterna dei Fratelli e delle Sorelle[11].
Tenendo presente questo semplice dato, non c’è dubbio alcuno
che la fraternità o la santa unità è
una delle note più caratteristiche e peculiari della Forma di Vita delle
Sorelle Povere e dei Frati Minori, un elemento irrinunciabile nel progetto
della vita francescano-clariano. Per Chiara, come per Francesco, la Fraternità
è il luogo in cui il Vangelo è vissuto nella quotidianità, l’ambito
privilegiato dove si dà testimonianza di un Dio che è comunione nella diversità
e diversità nella comunione, l’humus
in cui fiorisce la comune lode, la gioia contemplativa e la pace, frutti dello
Spirito e tratti caratteristici delle prime fraternità francescano-clariane.
Tanto per Francesco quanto per Chiara, fraternità dice uguaglianza. Se tutti/tutte sono
Fratelli/Sorelle, tutti/tutte sono uguali (cf. VC c. II). La fraternità vuol dire reciprocità. Se un Fratello solo o una Sorella sola non è fratello
o sorella, tutti devono prestare attenzione «gli uni agli
altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb 10,24). Fraternità dice, infine, familiarità. Se tutti/tutte sono
Fratelli/Sorelle, tutti devono comportarsi familiarmente tra loro, perché tutti
formano la stessa famiglia.
La vita fraterna dei Frati Minori e
delle Sorelle Povere
23. Chiamati a
seguire il Vangelo e le orme di Gesù Cristo, i Frati Minori e le Sorelle Povere
sono costituiti in fraternità e come fraternità. Se ogni vita consacrata è
chiamata ad essere signum fraternitatis
(cf. VC c. II), la vita fraterna è
per i Frati Minori e le Sorelle Povere il volto più attraente, la loro
vocazione e missione, il loro modo di vivere il Vangelo e di testimoniare
Cristo (cf. Gv 13,35). Peraltro, per
noi la vita fraterna è essenziale nella crescita umana e spirituale; anche per
voi, care Sorelle, che avete scelto una vita completamente contemplativa. Il
vero contemplativo ascolta la voce di Dio negli altri, vede il volto di Dio nel
volto degli altri, conosce la volontà di Dio nella persona dell’altro, serve il
cuore di Dio curando le ferite e rispondendo agli inviti dell’altro. La
fraternità mette alla prova lo spessore umano e spirituale delle persone.
In un mondo segnato dall’individualismo, dalla
frammentarietà, dalla violenza e dalla divisione; in un mondo in cui si sono
indeboliti i gruppi primari come la famiglia e la stessa amicizia, la
Fraternità è una denuncia profetica contro tutto questo ed un annuncio,
anch’esso profetico, che un modo diverso, basato sul rispetto e l’ascolto, è
possibile. In questo senso allora si capisce il perché la vita fraterna è
evangelizzatrice per se stessa.
Il fondamento della vita fraterna
in comunità
24. Anche se la
Fraternità è stata uno degli aspetti su cui si è maggiormente lavorato in
questi ultimi decenni, tuttavia dobbiamo riconoscere che la vita fraterna in
comunità continua ad essere una sfida ed uno degli elementi della nostra Forma
di Vita più difficile, ed anche più fragile, quando si tratta di viverla in
profondità. È che la Fraternità indica una realtà che trascende i vincoli del
sangue, così come quelli che provengono da una cultura condivisa, della stessa
amicizia e del lavoro condiviso. Parlare di Fraternità è parlare di una realtà
che affonda le sue radici più profonde in Dio stesso: «il Signore mi dette dei
fratelli» (Test 14), il Signore mi ha
donato delle Sorelle (cf. TestsC 25).
La vita fraterna in comunità ha molto a che vedere con la fede in un Dio che si
è fatto dono nei fratelli e nelle sorelle.
Solo quando uno/una ha chiara consapevolezza che il
fratello/la sorella è un dono di Dio, allora impallidiscono le possibili
differenze e, lungi dall’essere viste come minacce alla propria individualità,
vengono accolte come manifestazioni di un Dio che fa nuove tutte le cose e mai
si ripete. Solo quando confesso con il cuore grato che il Signore mi dette dei fratelli e delle sorelle gli altri
cesseranno di essere estranei per me e potranno essere considerati un alter ego. Posso, quindi, prestare
attenzione all’altro (cf. Eb 10,24);
rendermi conto delle sue necessità e venire incontro ad esse con sollecitudine;
sentirmi “custode” dei miei/mie fratelli/sorelle (cf. Gen 4,9); instaurare relazioni reciproche, caratterizzate da una
particolare attenzione al bene dell’altro «sotto tutti gli aspetti: fisico,
morale e spirituale» (Benedetto XVI, Messaggio
per la Quaresima 2012, 1)!
La correzione fraterna
25. Così, sarà
anche possibile la correzione fraterna, esigenza di amore verso il/la
fratello/sorella che pecca (cf. Mt
18,15); correzione fatta non con spirito di condanna o di recriminazione, ma
«con spirito di dolcezza» (Gal 6,1),
umanità e amore (cf. Rnb 5,5) e mossi
sempre dalla carità che si deve avere verso chi pecca (cf. Lmin 9). E lungi dall’adirarci e turbarci per il peccato dell’altro
(cf. Rnb 5,7-8; Lmin 15; RsC 9,5),
preghiamo per lui «affinché il Signore illumini il suo cuore a penitenza» (RsC 9,4). La correzione fraterna,
evangelica e francescana, scaturisce sempre dall’amore e dalla misericordia, da
una vera sollecitudine per il bene del fatello/sorella. Come scriveva Benedetto
XVI, «nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire
l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità
[...] per migliorare la propria vita e camminare più rettamente nella via del
Signore» (Messaggio per la Quaresima...,
1). Facciamo attenzione, cari Sorelle e Fratelli, a non cadere vittime
dell’«anestesia spirituale» che ci porta a disinteressarci degli altri. Questo
non accada in una fraternità di Frati e di Sorelle! Ascoltiamo l’Apostolo Paolo
che ci invita a cercare quello che «porta alla pace e
all’edificazione vicendevole» (Rm
14,19) e, dato che siamo uno stesso corpo ed apparteniamo gli uni agli altri,
«le varie membra abbiano cura le une delle altre» (1Cor 12,25).
La comunione di vita nella fraternità francescano-clariana,
basata sulla scuola del Vangelo che è vita, incontra nell’«unità dell’amore
vicendevole» la sua prima e più eloquente espressione (RsC 10,7). Questa unità, vissuta nell’accettazione e valorizzazione
della diversità dell’altro, pone i Fratelli e le Sorelle dentro un processo
dinamico di conversione, in uno stato di formazione permanente, nel quale sono
sempre chiamati a stabilire relazioni autentiche con se sessi, con i Fratelli e
le Sorelle, con Dio, con gli altri e con la creazione. Così, «la persona consacrata si libera
progressivamente dal bisogno di mettersi al centro di tutto e di possedere
l'altro, e dalla paura di donarsi ai fratelli; impara piuttosto ad amare come
Cristo l'ha amata, con quell'amore che ora è effuso nel suo cuore e la rende
capace di dimenticarsi e di donarsi come ha fatto il suo Signore» (VFC 22).
26. Esperti nel
vivere la restituzione dell’amore che Dio ha effuso nei nostri cuori (cf. Rm 5,5) attraverso le parole, i
sentimenti, i comportamenti e le scelte di ogni giorno, il Frate Minore e la
Sorella Povera non trovano nella Fraternità un comodo rifugio, ma un luogo in
cui impegnarsi per costruire la comunione, sentendosi responsabili della
fedeltà degli/delle altri/altre, e della fedeltà alle scelte della stessa
Fraternità, favorendo un clima sereno, di comprensione e di aiuto reciproco
(cf. VFC 57). La vita fraterna in
comunità è, quindi, dono e compito. Come dono si è grati al Signore, da cui
proviene ogni dono; come compito la Fraternità si costruisce sulla base di un
costante auto-svuotamento – vivere sine
proprio –, secondo la logica del dono senza riserve.
Guardandosi «da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia,
cura e sollecitudine di questo mondo, dalla detrazione e mormorazione, dalla
discordia e divisione» (RsC 10,6), il
Fratello e la Sorella si consegnano ogni giorno di più alla Fraternità e, nello
stesso tempo, la sosterranno contemplandola nel mistero di Dio. In tale
contemplazione esprimono, poi, la loro gratitudine per tutto quello che dalla
Fraternità ricevono continuamente. Effettivamente, il Frate Minore e la Sorella
Povera sono consapevoli che una vera Fraternità si forma nella contemplazione
dell’amore trinitario, nel quale si impara a scoprire la bellezza e la
positività degli altri e di se stessi; ad orientare le proprie necessità,
tenendo conto di quelle degli altri; a mantenersi sempre aperti alla relazione,
come Dio fa con noi, anche quando siamo infedeli (cf. 2Tm 2,13).
Solo quando è sostenuta da questo amore, la vita fraterna in
comunità o santa unità potrà superare
gli inevitabili conflitti e rimarrà integra oltre questi: «sempre è possibile migliorare e camminare
assieme verso la comunità che sa vivere il perdono e l'amore. Le comunità,
infatti, non possono evitare tutti i conflitti. L'unità che devono costruire è
un'unità che si stabilisce al prezzo della riconciliazione» (VFC 26). Quando una Fraternità di Frati
Minori o di Sorelle Povere intraprende questo cammino diventa una vera scuola
di comunione (cf. NMI 43).
Costruire fraternità
27. Dato che la
fraternità è una relazione di amore reciproco (cf. RsC 4,22;10,7), amore di andata e ritorno, per raggiungerla è
importante formare e formarsi nelle relazioni orizzontali all’interno della
Fraternità, nel rispetto naturale dei servizi. In particolare, colei che è
chiamata ad esercitare il ministero dell’autorità deve vivere una specifica
“obbedienza” alla sequela di Cristo, che è venuto per servire e non per essere
servito (cf. Mt 20,28; Am 4).
Per Chiara, come per Francesco, questo modo di esercitare
l’autorità si esprime nell’essere artefici di comunione (cf. RsC 4,11-12; Lmin 9ss), nell’ammonizione e nella correzione delle/dei
Sorelle/Fratelli (cf. RsC 10,1; 9,1; Rnb 5,1ss), nella custodia del carisma
(cf. RsC 6,11), nell’accompagnamento
delle Sorelle/Fratelli (cf. RsC 4,9; Rnb 4,6), nella promozione della
corresponsabilità e collaborazione (cf. RsC
2,1-2; 4,15.10.22-24).
Chiamati a servire i Fratelli e le Sorelle, «coloro che sono
costituiti sopra gli altri (Am 4,2)
saranno i primi a coltivare la vita nello Spirito per esercitare l’inevitabile
discernimento sui Fratelli e le Sorelle e sulla Fraternità (cf. Rnb 16,5), lasciandosi guidare in tutto
da ciò che a loro «sembrerà essere più conveniente secondo Dio» (Rnb 5,6); saranno diligenti e
promuoveranno i doni che ogni Fratello o Sorella ha ricevuto dal Signore,
infonderanno coraggio e speranza a quanti/quante attraversano momenti
difficili; saranno attenti a mantenere vivo il carisma e il senso ecclesiale
della Fraternità; e, consapevoli che dalla formazione permanente dipende la
fedeltà creativa alla vocazione e missione, accompagneranno il cammino di
formazione permanente dei Fratelli e delle Sorelle (cf. Il servizio dell’autorità e l’obbedienza [= SAO], 13).
Per costruire la fraternità, i Ministri e le Abbadesse, ma
anche i/le Fratelli/Sorelle, devono aver particolare cura delle seguenti
mediazioni: la comunicazione e le relazioni interpersonali.
Comunicare è rendere partecipi gli altri non solo di quello
che faccio, ma anche di quello che penso e che sento. Condurre una vita
fraterna in comunità vuol dire, condividere la propria storia, quella che
stiamo vivendo e quella che ci viene donata. La nostra storia, con le sue
vicissitudini quotidiane, con le sue gioie e le sue ombre; e quella che ha per
protagonista occulto Dio stesso, dove il suo amore, nello stesso tempo, si
mostra e si nasconde. In un mondo interconnesso costantemente attraverso i
mezzi tecnici, si corre il rischio di una comunicazione superficiale anche
nelle nostre Fraternità. Non credo di esagerare nel dire che abbiamo bisogno di
crescere molto nella comunicazione, soprattutto nella comunicazione della
storia nascosta dell’amore di Dio. Per noi che abbiamo dedicato la vita al
Signore e l’abbiamo fatto con tutto il cuore nella Fraternità, comunicare
quello che Dio opera in noi deve essere la linea maestra della nostra vita.
Abbiamo bisogno di crescere molto nella comunicazione spirituale, sapendo che
essa richiede un clima di rispetto, di accoglienza, di accettazione, di libertà
e di amicizia spirituale.
A sua volta, le relazioni interpersonali devono essere
caratterizzate dalla familiarità. Attenzione alle relazioni puramente virtuali!
Noi, Fratelli e Sorelle, siamo chiamati ad essere maestri di relazione. Per
questo, oltre a promuovere tra di noi una relazione calda ed autentica,
dobbiamo affrontare i conflitti con un atteggiamento adulto. Inoltre, non
possiamo dimenticare che la comunicazione e la relazione sono fatte di parole,
di segni e di silenzi. Ci sono parole, segni e silenzi che impediscono la
comunicazione e le relazioni interpersonali, così come ci sono parole, segni e
silenzi che le promuovono.
Ma al di là della responsabilità del Ministro o
dell’Abbadessa nella costruzione della fraternità, la Fraternità e la santa unità saranno custodite da ogni
Fratello/Sorella nella misura in cui questi/questa lascia la propria volontà
per compiere il progetto di Dio su di esso/essa e sulla Fraternità, in
obbedienza alla volontà del Padre, secondo l’esempio di Cristo (cf. 2Lf 11), che «imparò
l'obbedienza da ciò che patì». E tutto questo anche in situazioni
particolarmente difficili (cf. SAO
10).
In questo compito di costruire la fraternità non possiamo
rinunciare a promuovere, in ogni momento, la trama comune della mutua
appartenenza: uni agli altri e tutti del Signore. Tale idea della mutua
appartenenza aumenterà il senso di complementarietà: ne abbiamo bisogno molto
di più di quanto pensiamo. Nessuno è di più nella trama comune, perché essendo
differenti, formiamo un solo corpo. Comunicazione e relazioni interpersonali
hanno molto a che fare con questo senso di appartenenza reciproca, secondo la
quale si tratta di includere una vita nell’altra, condividendo quello che
ciascuno è, data la comune appartenenza al Signore.
Nella Fraternità si entra ringraziando, perché tutto in essa
è, in primo luogo, un dono che ci è stato fatto. Se c’è qualcosa che distrugge
le nostre Fraternità è la pretesa di essere sopra gli altri, di trasformarci in
giudici dei/delle nostri/nostre Fratelli/Sorelle. Questo avviene perché
proiettiamo su di loro i nostri sogni ed esigiamo da Dio, dagli altri che li
realizzino. Amando il nostro sogno di Fraternità piuttosto che la Fraternità
reale, ci trasformiamo in distruttori della Fraternità. Si inizia con
l’accusare i nostri fratelli, poi si accusa Dio ed, infine, diventiamo
accusatori disperati di noi stessi. Dobbiamo ricordare che non esiste la
Fraternità ideale che possa accogliere i nostri sogni di orgoglio pretenzioso e
che la Fraternità si costruisce sul perdono e sulla riconciliazione, poiché ha
molto a che fare con la propria limitazione e con quella degli altri.
La Fraternità e la santa
unità, di cui stiamo parlando, comporta anche aprirsi a delle relazioni che
vanno al di là della propria Fraternità. In questo senso credo che i tempi
siano maturi per una revisione dell’autonomia delle Province e dei Monasteri,
in modo che si ponga maggiormente in evidenza il senso di appartenenza ad una
Fraternità che vada oltre i confini del proprio Monastero o della propria
Entità. Ciò richiede la rinuncia all’autosufficienza, qualunque siano i mezzi
che una comunità possa disporre, e l’apertura alla collaborazione e
all’interdipendenza fraterne. La comunione che apre le porte è il migliore
antidoto alla stanchezza e alla mancanza di speranza che a volte sono presenti
anche tra le Sorelle.
Infine, la Fraternità o la santa unità è ben lungi dall’essere uniformità. Tanto le Sorelle
quanto i Fratelli sono chiamati ad assumere la diversità come una ricchezza.
Questo sarà possibile solamente con una visione di fede che porterà a vederla
come un dono e regalo del Signore. La comunione fraterna crea la santa unità nella diversità. Allora è
unità libera, protetta e sorretta.
• Quale
sarebbe la diagnosi della vita fraterna in comunità?
• Quali
sintomi, positivi e negativi, avverti nella vita fraterna della tua Fraternità?
• Con
quali strumenti partecipi alla costruzione/distruzione della Fraternità a cui
appartieni?
• Che
cosa dici della correzione fraterna nella tua Fraternità?
• Esiste
un progetto di vita fraterna elaborato dalla Fraternità? Se non esiste, quali
passi intraprendere per la sua elaborazione?
Senza nulla di proprio
28. Un elemento
importante della Forma di Vita di Francesco e Chiara è vivere senza nulla di proprio (cf. Rb 1,1; RsC 1,2). La sua collocazione tra l’obbedienza e la castità ci fa
pensare che il senza nulla di proprio
è la chiave per vivere l’una e l’altra, ma anche per vivere molti altri aspetti
del carisma francescano-clariano. In questo senso credo che parlare del senza nulla di proprio è parlare di una
delle linee essenziali della spiritualità francescana, centrata sulla sequela
di Cristo povero, comprensibile solo alla luce che tutto abbraccia.
Francesco e Chiara liberi da tutto
per amare Colui che è il Tutto
29. Per Francesco
e Chiara la povertà ha un volto ed un nome, quelli di Gesù Cristo, povero e
crocifisso (cf. 2LAg 18-19) e trova
la sua massima espressione nel vivere senza
nulla di proprio (RsC 1,2). Seguire l’insegnamento e le orme del Signore
nostro Gesù Cristo, è anzitutto abbracciare la sua povertà: seguire le sue orme e la sua povertà
(cf. Rnb 1,1; Rb 6; LfL 3). Vendere
tutto, dare il ricavato ai poveri, vivere senza
nulla di proprio, fanno parte dell’esperienza fondante di Francesco e
Chiara, diventano la nota dominante e distintiva del fare penitenza (cf. RsC 6,1), del convertirsi a Gesù Cristo[12].
Chiara, come Francesco, riferendosi a chi desidera
abbracciare la sua forma di vita, chiede che le vanga detta la parola del
Vangelo: «vada e venda tutte le sue cose e procuri di distribuirle ai poveri» (RsC 2,8; cf. Rb 2,5). Questa parola del Vangelo è alla base di ciò che, questi
due innamorati di Cristo povero e crocifisso, considerano la parola carismatica
per eccellenza, il segno referenziale della loro esperienza evangelica, la
scelta di fondo che ispira la decisione di vivere secondo «la perfezione del
santo Vangelo» (Fvit 1; cf. RsC 6,3), la parola che orienta ed
illumina i passi successivi.
Sia il Poverello
che la sua Pianticella, scegliendo di
vivere senza nulla di proprio, si
ispirano all’amore di Cristo, il povero per eccellenza (cf. 2Lf 4-5; 2Cel 16.55.73-74: TestsC
45). Da Lui appresero l’espropriazione, l’abbassamento più radicale ed assoluto
(cf. 2Cel 83-85). Custodire una
profonda relazione con Gesù Cristo, per loro significa vivere senza nulla di proprio. Inoltre, per
entrambi il senso primo ed ultimo della povertà, del vivere senza nulla di
proprio, è testimoniare che Dio è la vera ricchezza del cuore umano (cf. LoAl 4; TestsC 43-44.47; VC 90).
Se Francesco è rimasto fedele a quanto significava il gesto
di spogliarsi davanti al padre Bernardone (cf. 1Cel 15), Chiara fu fedele, fino alla fine, all’Ultima volontà di Francesco: «Io, frate
Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore
Gesù Cristo e della sua santissima Madre e perseverare in essa sino alla fine.
E prego voi, mie signore, e vi consiglio che viviate sempre in questa
santissima vita e povertà. E guardate con grande cura di non allontanarvi mai
da essa, in perpetuo e in nessuna maniera, per insegnamento o consiglio di
alcuno» (Uvol). Ella stessa lo
ribadisce nella Regola quando scrive: «E come io, insieme con le mie sorelle,
sono stata sempre sollecita nel custodire la santa povertà che abbiamo promesso
al Signore Dio e al beato Francesco» (RsC 6,10). Anche Giacomo da Vitry lo
testimonia, quando, in contrasto con quanto ha trovato nella Curia, parla dei
Frati Minori e delle Sorelle Minori come di quelli che si spogliano di ogni
proprietà per Cristo (cf. 1Vitry 7-8).
30. In questo
contesto di fedeltà a detta volontà deve collocarsi la richiesta del Privilegio di povertà presentata a
Gregorio IX e che Chiara ottiene dal Papa il 17 settembre 1228. L’originale di
questo Privilegio si conserva nel
Promonastero di Assisi, come testimonianza della fedeltà a quanto Chiara
promise al Signore e a Francesco. Anche se non conosciamo come è stata
presentata la richiesta al Papa, tuttavia è significativa la motivazione che
giustifica il Privilegio: «come è manifesto, desiderando dedicarvi al solo
Signore, avete respinto la brama delle cose temporali. Perciò, venduto tutto e
distribuitolo ai poveri, vi proponete di non avere assolutamente alcuna
possessione, aderendo in tutto alle orme di colui che per noi si è fatto
povero, e via e verità e vita» (Priv
2-3). È Cristo e la sua sequela il motivo primo ed ultimo della povertà di
Chiara. A ragione il beato Giovanni Paolo II la definisce come «l’amante
appassionata del Crocifisso povero, con cui vuole assolutamente identificarsi»[13].
Chiara, donna cristiana, non volle
possedere nulla, come Francesco, piuttosto ha scelto di vivere senza nulla di proprio, per possedere
Colui che è il Tutto. La povertà di Chiara è, soprattutto, una questione di
relazione.
Era questo il suo desiderio sin dai primi anni della sua
vita. Pertanto, quando riuscì a passare dalla classe nobile dei cavalieri alla
classe sociale dei “vilis” e servi, volle
permanere in verginità e vivere in povertà (Proc 19,2). La privazione dei beni in obbedienza al Vangelo e a Francesco
«è la chiave per entrare nel cammino evangelico francescano. Fanno parte del
processo di illuminazione e dei primi passi della conversione» di Chiara. È
qualcosa come «gesto fondante per tutti i chiamati, come il sacramento
francescano»[14].
In Francesco, e sicuramente anche in Chiara, il vivere senza
nulla di proprio è chiaramente in relazione ai beni spirituali e materiali.
Francesco, illuminato dalla fede, scopre Dio come il «bene pieno, ogni bene,
tutto il bene, vero e sommo bene» (Rnb
23,9). Poiché tutti i beni procedono dal Signore, a Lui devono essere
restituiti: «e restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e
riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamo grazie a lui, dal
quale procede ogni bene» (Rnb 17,17).
Per quanto riguarda i beni materiali, Dio è, per Francesco, l’unico
proprietario, l’uomo, semplice feudatario di Dio, deve rimettere nelle mani del
suo Signore tutto ciò che ha (cf. Am
19; LegM 7,7). Mentre il peccato è
appropriazione, la restituzione è causa di beatitudine (cf. Am 18).
Non si può capire la vita di Francesco e di Chiara senza
questa scelta radicale di vivere senza
nulla di proprio, né si può capire, tenendo presente l’esperienza del
Poverello e della sua Pianticella, la contemplazione del mistero
dell’incarnazione senza una scelta radicale a favore del distacco totale. Per
Francesco e Chiara senza nulla di proprio non era una semplice formula di
rinuncia ai beni materiali, ma espressione di un’espropriazione totale,
radicale.
I Frati Minori e le Sorelle Povere
chiamate a vivere senza nulla di proprio
31. Come Francesco
e Chiara anche i Frati Minori e le Sorelle Povere sono chiamati oggi a vivere senza nulla di proprio. Questo deve
essere un punto fermo dei Fratelli e delle Sorelle, particolarmente in questi
tempi dominati dal consumismo. La fedeltà alla Regola e alla Forma di Vita professate dai Fratelli e dalle Sorelle
passa attraverso la fedeltà alla povertà, al vivere senza nulla di proprio. È significativo che Chiara definisca la
Forma di Vita come «la forma della nostra povertà» (RsC 4,5). È tale la preoccupazione di Francesco e Chiara per la
povertà da insistere costantemente di non separarsi da essa (cf. Uvol; TestsC 35.44-45.47), perché sarebbe come separarsi da Cristo povero
e crocifisso.
Fratelli e Sorelle, che cosa significa tutto ciò? Quali
questioni concrete ci pone di fronte questa scelta radicale di Francesco e di
Chiara, vivere senza nulla di proprio?
Come vivere e rendere leggibile la nostra scelta del senza nulla di proprio? Come custodire questo tesoro che ci hanno
lasciato in eredità Francesco e Chiara?
Una cosa è evidente: è vivendo senza nulla di proprio che ci apriamo, ascoltiamo ed accogliamo
l’Altro e gli altri, senza tentativi voluti o velati di manipolazione; possiamo
vivere l’obbedienza, specialmente l’obbedienza
caritativa, e la castità, in quanto ci permette di amare gratuitamente,
senza cercare nessuna ricompensa; possiamo veramente vivere il Vangelo ed avere
gli stessi sentimenti di Cristo, che da ricco si è spogliato di tutto ed
assunse l’umiltà della nostra condizione.
Il voto di vivere senza
nulla di proprio, avendoci fatto incontrare Colui che è «ricchezza nostra a
sufficienza» (LodAl 5), ci permette
di essere persone libere: libere dall’avidità di accumulare, liberi dalla sete
insaziabile di avere quanto più possibile, e, quindi, ci permette di
distinguere l’utile, il necessario e il superfluo. Il voto di vivere senza nulla di proprio ci rende itineranti, senza appropriarci della
casa, del lavoro, dei risultati; ci fa scoprire, con tutte le conseguenze, la
gratuità del nostro lavoro, vivere secondo la logica del dono e del servizio, come profezia in atto contro la
logica del consumo, del prezzo, del guadagno, del potere. Il voto di vivere senza nulla di proprio ci aiuta a creare
relazioni nuove ed alternative nella società in cui viviamo e ci fa diventare
voce profetica in questo mondo dominato dal consumismo (cf. RdC 22).
Inoltre, la povertà produce i suoi frutti quando diventa
solidarietà, perché solo allora è la povertà di Gesù, che si fece povero per
arricchirci con la sua povertà (cf. 2Cor
8,9). Gesù non condivise con noi, suoi fratelli, il superficiale e l’inutile:
condivise la sua stessa vita. Così le Sorelle Povere devono condividere non
solo il superficiale, ma anche l’indispensabile. In questo contesto è bene
ricordare ciò che scrive Chiara, «grande davvero e lodevole è questo scambio:
lasciare i beni temporali per quelli eterni, meritare i celesti al posto dei
terreni, ricevere il cento per uno e possedere la vita beata senza fine» (1LAg 30).
32. Cari Fratelli
e care Sorelle, oggi più che mai siamo chiamati ad essere segni di speranza,
precisamente in questo momento in cui l’umanità sta vivendo una profonda crisi
che investe ogni aspetto della vita. In questo contesto è urgente affidarci,
come fecero Francesco e Chiara, ad uno stile di vita sobrio, essenziale, alla
«radicalità della povertà associata alla fiducia totale nella Provvidenza
divina» (Benedetto XVI, Discorso
all’Udienza generale, 15.9.2010).
I poveri ci chiedono segni esteriori di una vita
coerentemente semplice ed una chiara scelta per la povertà radicale: vissuta in
modo evangelico, manifestata con spirito profetico, per far loro sentire la
prossimità di Dio. I Fratelli e le Sorelle sono chiamati a collocarsi in una
situazione costante di precarietà, a liberarsi da tutto ciò che non custodisce
la relazione con se stessi, con gli altri, con Dio, con le cose e con la
creazione. Secondo la logica della restituzione, i Fratelli e le Sorelle sono
invitati a rendere credibile la scelta dell’essenzialità.
33. Infine, anche
il senso di giustizia ci interpella. Il grido dei poveri non può lasciare
indifferenti i Frati Minori e le Sorelle Povere. Nelle Costituzioni OSC, in riferimento alla testimonianza di una vita
povera, sta scritto: «in tutto il modo di vivere, tanto individuale che
collettivamente, le Sorelle diano testimonianza di povertà, e in spirito di
solidarietà si conformino al tenore di vita di tanta parte di umanità, che vive
nel mondo in condizione disagiata» (CCGG
OSC 153 §3). E nelle Costituzioni
dei Frati Minori si dice: «per seguire più da vicino l’annientamento del
Salvatore e per dimostrarlo più chiaramente, i frati abbraccino la vita e la
condizione sociale dei piccoli, vivendo sempre tra loro come minori; in questa
posizione sociale contribuiscano all’avvento del Regno di Dio» (CCGG 66 §1).
Il mondo ha bisogno di testimoni, che per grazia di Dio, si
donino totalmente; ha bisogno di persone «capaci
di accettare l’incognita della povertà, di essere attratti dalla semplicità e
dall’umiltà, amanti della pace, immuni da compromessi, decisi all’abnegazione
totale, liberi ed insieme obbedienti, spontanei e tenaci, dolci e forti nella
certezza della fede» (ET 31). Il
nostro mondo ha bisogno di Frati Minori e di Sorelle Povere così.
• Come
vivo e come vive la mia Fraternità il senza
nulla di proprio?
• Per
quelli che ci stanno accanto, è comprensibile la nostra scelta di povertà o ha
bisogno di molte spiegazioni?
• Se
il senza nulla di proprio è fonte di
vera libertà evangelica, sono veramente libero? Che cosa mi manca e mi resta
per esserlo?
La missione
Alcune osservazioni
34. Care Sorelle e
cari Fratelli, un altro elemento essenziale della nostra Forma di Vita è la
missione. Ma qui sono necessarie alcune osservazioni. La prima è la seguente:
quando si parla di missione stiamo parlando di qualcosa al di là delle attività
pastorali.
La missione va oltre le attività apostoliche concrete, perché
organizza le varie dimensioni della nostra vita: tutto è destinato ad essere
annuncio della novità del Regno di Dio. Possiamo dire, quindi, che la missione
è nel cuore stesso della vita consacrata[15],
ed anche della Forma di Vita francescano-clariana. Il nostro carisma, come ogni
carisma, è un dono dello Spirito per il bene di tutta la Chiesa, in modo che
possa crescere nel cammino di fede, si possa costruire una vera fraternità e
sviluppare la missione di testimoniare ed annunciare il Regno.
Altra osservazione che mi sembra fondamentale: vocazione e
missione vanno di pari passo. L’una non può essere separata dall’altra. Per
questo motivo, come già detto, la missione è uno degli elementi irrinunciabili
di ogni vita consacrata, anche della vita delle Sorelle Povere. La missione è
la chiave per comprendere la Chiesa, così pure la vita consacrata, compresa
quella contemplativa[16].
La vita consacrata, la vita francescno-clariana, non può ripiegarsi su se
stessa, sui problemi interni ed esterni. La vita consacrata, la nostra vita,
non può lasciarsi paralizzare da questi problemi. I nostro contemporanei
chiedono di vedere Gesù (cf. Gv
12,21). Come Francescani e come Sorelle Povere non possiamo non ascoltare
questa richiesta.
La terza osservazione è che la missione della
vita consacrata e della nostra vita francescano-clariana è la missione della
Chiesa. Ciò significa che anche quando è nostra, supera i limiti dei nostri
Ordini. Questa missione, tuttavia, è radicata nella Trinità, che nel suo
disegno di amore ha voluto associarci alla sua stessa missione. La missione,
così, nasce dall’esperienza di un Dio che è comunione e comunicazione, che è
amore e che ci colma del suo amore, che si manifesta in noi e vuole
comunicarsi. La missio Ecclesiæ è,
pertanto, partecipazione alla missio Dei.
La nostra missione
35. A questo punto possiamo chiederci: qual è la nostra missione? Nella
teologia attuale della vita consacrata una convinzione sembra chiara: la
missione della vita religiosa e della vita consacrata è semplicemente la vita
religiosa e la vita consacrata. Questa convinzione è sulla linea
dell’Esortazione Vita consecrata,
quando afferma: «la stessa vita consacrata, sotto l'azione dello Spirito
Santo che è all'origine di ogni vocazione e di ogni carisma, diventa missione,
come lo è stata tutta la vita di Gesù» (VC
72). Questa è la chiave per un’adeguata comprensione della missione non solo di
quella delle Sorelle Povere, come contemplative nella Chiesa e nel mondo, ma
anche dei Frati Minori. Nulla può essere anteposto alla testimonianza della
vita. È questa la vera missione e senza di essa ci può essere indottrinamento o
ammaestramento, ma non missione.
Come osservato in
precedenza, non si può capire la missione solo in termini di fare. La vita
consacrata in generale e la vita francescano-clariana in particolare, si caratterizzano
principalmente per il suo essere, per la sua natura carismatica[17]. Il
nostro primo contributo, così, alla missio
Ecclesiæ, alla missio Dei, è di
approfondire la dimensione teologale della nostra vita o, se si preferisce, di
centrarci in Dio e nel suo progetto. Solo da lì si potrà ricreare la rilevanza
delle stesse attività apostoliche.
Sarà l’esperienza di
Dio ad avvicinarci al cuore stesso delle persone, ad imporci l’ascolto delle
loro grida, particolarmente dei poveri, e a farci sentire solidali con le loro
ricerche, valorizzando la ricchezza delle risposte che le persone troveranno
nel loro cammino. Un’esperienza di Dio – anche l’esperienza di Dio nella vita
contemplativa come la vostra, care Sorelle Povere –, che avviene sempre in un
contesto concreto e che, proprio per questo, deve sentirsi pressata dalle
domande e dalle questioni che sorgono da tale contesto. In questo senso questa
esperienza di Dio ci fa solidarizzare con i dubbi e le domande degli altri e ci
rende veri mendicanti di senso.
Questo ci porta ad
affermare un altro nostro apporto importante alla missio Ecclesiæ, alla missio
Dei, e che è la conseguenza di quanto appena detto: assumere il dialogo non
solo come metodo per lo sviluppo
della missione, ma anche come luogo
proprio della missione. Questo significa, prima di tutto, fare nostre le
preoccupazioni della gente, immergersi in pieno nelle domande che provengono
dalla vita delle persone, cercando assieme le risposte che possono dare un
senso a questo momento della storia. Noi Frati Minori lo facciamo portando nel
cuore, nell’agire e nelle parole il messaggio di Gesù. Voi, care Sorelle
Povere, lo fate, soprattutto, presentando al Signore queste preoccupazioni
nella preghiera di intercessione e ascoltando la gente del nostro tempo.
Così, centrati nel Signore, concentrati nelle priorità della nostra
vita francescno-clariana, ci de-centriamo
da noi stessi/stesse per indirizzare la nostra attenzione alla vita e alla
realtà del mondo, tornando, quindi, a centrarci
maggiormente nelle «cose del Padre» (Lc
2,49), e promovendo una fedeltà creativa e un nuovo linguaggio che ci permette
di trasmettere la ricchezza incommensurabile e permanente del messaggio
evangelico.
Lo specifico della missione
clariana
36. Considerando la Forma di Vita che avete abbracciato, care Sorelle
Povere, la vostra missione consiste nel ricordare all’uomo di oggi che una sola
cosa è necessaria: Dio; nell’essere indicatrici di trascendenza; nel vivere in
modo adeguato gli elementi che configurano la vostra vocazione. Se la missione
della vita consacrata consiste fondamentalmente nel «riproporre con
coraggio l'intraprendenza, l'inventiva e la santità» dei nostri Fondatori,
«come risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi» (VC 37), e nel
restituire il dono del Vangelo ai nostri contemporanei[18],
allora una vita evangelica come la vostra è missione in se stessa.
Questa vita sarà
quella che permetterà ad una Sorella Povera di vivere, anche all’interno di un
chiostro, in simpatia con il mondo,
nel senso indicato dal termine; le renderà possibile entrare in dialogo con gli
uomini e le donne di oggi per evangelizzarli, senza che ciò comporti un
“accomodamento” con il mondo, né una sospensione del giudizio su di esso. La simpatia di cui stiamo parlando condurrà
una figlia di santa Chiara ad avere uno sguardo positivo sul contesto e sulla
cultura in cui è immersa, scoprendo nella realtà le opportunità inedite di
grazia che il Signore le offre per la missione. In tal modo, la missione sarà
un cammino di andata e ritorno che comporta dare, ma anche ricevere, in
atteggiamento di dialogo fecondo e costruttivo.
Con questo non voglio
dire che la missione di una Sorella Povera è disincarnata dalla realtà e non
tiene presente la situazione della società. Chiara, pur rimanendo nella
stabilità e in clausura, non è estranea ai problemi, alle ansie e
preoccupazioni dei suoi contemporanei, della Chiesa e della Città di Assisi
(cf. Proc 6). Chiara non è una
semplice spettatrice della storia, ma vi partecipa attivamente con la preghiera
e l’intercessione. Anche oggi le Sorelle Povere sono chiamate a porsi in
atteggiamento di ascolto dei drammi del nostro tempo, accogliendo nel loro
cuore le domande profonde degli uomini e delle donne di oggi per affidarle a
Dio.
Missione condivisa: relazione OFM e
OSC e viceversa
37. Oggi, quando si parla di missione, si parla sempre della necessità di
una missione condivisa. È qui che dobbiamo approfondire, Sorelle e Fratelli, il
tema delle relazioni tra i Frati Minori e le Sorelle OSC.
Pur non essendo
l’oggetto specifico della mia conversazione con voi, voglio tuttavia porre
alcune domande che ci pongano in atteggiamento di ricerca disinteressata e libera e che inducano alla riflessione. Lo
faccio a partire dal testo di Benedetto XVI, già citato, per proseguire con
altri testi. Dice il Papa: «Presso quella chiesetta, che Francesco restaurò
dopo la sua conversione, Chiara e le prime compagne stabilirono la loro
comunità, vivendo di preghiera e di piccoli lavori. Si chiamavano le “Sorelle
Povere”, e la loro “forma di vita” era la stessa dei Frati Minori: “Osservare
il santo Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo”, conservando l’unione della
scambievole carità e osservando in particolare la povertà e l’umiltà vissute da
Gesù e dalla sua santissima Madre» (Discorso
all’Udienza generale, 10 agosto 2011). Nella vita concreta che cosa
vogliono dire alle Sorelle Povere e ai Frati Minori queste parole del Santo
Padre? Quali conseguenze derivano da quanto riportato dal Celano: «uno solo e
medesimo Spirito ha fatto uscire i frati e quelle donne poverelle da questo
mondo malvagio» (2Cel 204)? Che cosa
vuol dire per le Sorelle Povere quello che scrive Chiara nella Regola:
«procurino con sollecitudine di avere il ministro generale o provinciale
dell’Ordine dei frati minori, che mediante la parola di Dio le disponga alla
perfetta concordia e alla comune utilità nell’elezione da farsi [eleggere
l’abbadessa]» (RsC 4,2-3)? Che cosa
significa e come vivere oggi l’obbedienza che Chiara e le sue Sorelle,
liberamente, promisero a Francesco e ai suoi successori (cf. RsC 4-5; TestsC 25)? Che cosa significa e come vivere concretamente oggi,
tanto da parte delle Sorelle quanto dei Fratelli, quello che Chiara chiede nel
suo Testamento (cf. TestsC 50-51)?
Quali conseguenze pratiche hanno, per le relazioni tra l’OSC e l’OFM, le
raccomandazioni di Chiara ad Agnese di anteporre il consiglio del Ministro
generale a quello di tutti gli altri (cf. 2LAg
15ss)? E per i Frati Minori, come essere fedeli alla promessa fatta a Chiara da
Francesco di aver una cura amorosa ed una speciale sollecitudine per le Sorelle
Povere (cf. RsC 6,4)?
38. Lasciando queste ed altre domande aperte ad una risposta che sia
frutto di attente riflessioni e, possibilmente anche concorde, sono convinto
che questo sia un tema in cui, senza timori da parte vostra, care Sorelle
Povere, e senza protagonismi fuori luogo da parte di noi Frati Minori, vada
approfondito, distinguendo ciò che è l’elemento carismatico da ciò che è la
dimensione giuridica, ma facendo passi concreti che manifestino la
complementarietà e la reciprocità tra le Sorelle Povere e i Frati Minori e
l’appartenenza alla stessa Farternità[19];
passi concreti che ci portino a vivere una maggiore comunione, nel rispetto
delle giuste e sane differenze tra una vita interamente contemplativa ed una
vita, che, senza cessare di essere contemplativa, è anche apostolica.
39. I testi di Chiara, non solo quelli citati ma anche molti altri, come
quelli del Testamento nei quali Chiara parla del beatissimo padre Francesco (cf. TestsC
5.7-14.17-18.24-40.42.46-5157.75.77), ci permettono di affermare
tranquillamente che il Poverello fu
molto importante per la sua Pianticella e
centrale nella sua esperienza spirituale. I testi di Francesco non sono così
espliciti, ma non si può negare l’importanza che per lui ebbe la Fraternità di
San Damiano, come dimostrano molti suoi Scritti: la Forma di Vita che scrisse
per loro (cf. Fvit), le Norme sul
digiuno delle Sorelle, l’Esortazione con melodia a Chiara e alle sue Sorelle
(cf. Aud), e, soprattutto, la
promessa che fece di aver cura delle Sorelle come dei Frati (cf. RsC 6,3-5). È importante un dettaglio:
spesso Chiara unisce il nome di Dio a quello di Francesco, come per dirci che
riconosce la presenza di Dio in tutto ciò che le mostra a poco a poco
Francesco.
In ogni caso si
tratta di una relazione allargata ai Fratelli e alle Sorelle che deve essere
vista all’interno della dimensione fraterna che favorisce ed esprime la
spiritualità di Francesco e di Chiara, e che può illuminare non solo la loro
relazione, ma anche quella dei Fratelli e delle Sorelle, e viceversa. La
relazione di Francesco e di Chiara, e per conseguenza dei Frati Minori e delle
Sorelle Povere, è sempre una relazione a tre: lui/loro-lei/loro e, sempre il
Signore. Chiara e Francesco accolgono nella relazione profondamente umana la
singolare presenza di Dio. La loro relazione, piena di affetto fraterno, fa
riferimento sempre a Dio, scoperto tra i due, anche se in modo diverso, nella
relazione stessa[20]. Credo che si possa
affermare senza timore che la relazione Francesco-Chiara, fraterna ed insieme
amicale, è il luogo della relazione
di entrambi con Dio.
Dalla relazione di
Francesco e di Chiara è facile comprendere quando si afferma che la vita
consacrata è una questione di sguardo. In Francesco e Chiara, infatti, abbiamo
un chiaro esempio di un’esperienza autenticamente umana vissuta con uno sguardo
di fede che fa sì che detta esperienza sia sorprendentemente feconda e faccia
nascere, nella stessa relazione e sempre nella fede, la magnifica e bellissima
percezione di una presenza più grande, quella del Signore, che conduce entrambi
a seguire le orme del Figlio e che dirige qualsiasi sguardo al Padre delle misericordie. Quando due
essere umani, in questo caso un uomo ed una donna, si sentono amati dal Signore
e scoprono il loro amore in Lui, nulla può inquinare la loro relazione. Tutto
rimanda e parla del Signore che li ha creati a sua immagine e somiglianza. E «Dio vide quanto
aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31)!
Per confermare quanto
si sta dicendo, possiamo ricordare che Francesco legge la relazione con le
Sorelle in chiave trinitaria: sono figlie del Padre, sorelle nel Figlio, spose
nello Spirito. Così – e questo mi sembra semplicemente meraviglioso – la
relazione Francesco e Chiara, Fratelli e Sorelle, sta nel cuore della
rivelazione cristiana. Questo ci porta a sottolineare un’altra chiave di
lettura delle relazioni tra Chiara e Francesco e le Sorelle con i Fratelli: la
chiave mariana. Maria è per il cantore della Vergine fatta Chiesa, figlia del
Padre, Madre del Figlio, sposa dello Spirito Santo (cf. UffPass, Antifona; SalV 1ss).
40. Sorelle e Fratelli, camminiamo mano nella mano, profondamente uniti
nel Signore, perché solo così potremo restaurare la casa del Signore, la
Chiesa: le Sorelle con una vita interamente contemplativa, i Fratelli come
missionari nel chiostro del mondo con il cuore costantemente rivolto al
Signore, ed entrambi vivendo in fraternità e minorità. Non è forse ciò che il
mondo e la stessa Chiesa si aspetta da noi?
• Come
vivo la relazione vocazione-missione?
• Che
cosa intendete con missione?
• In
quale luogo ponete le attività apostoliche e dove collocate la testimonianza?
• Come
vivo la missione condivisa OFM-OSC?
• Che
cosa manca perché questa relazione sia signum
faternitatis?
Conclusione
41. Care Sorelle e
cari Fratelli, nel concludere questa conversazione fraterna con ciascuno/a di
voi desidero leggere, assieme a voi, alcuni testi che possono aiutarci a vivere
francescanamente il tempo in cui viviamo. Il primo testo è una "parabola
mimata" del profeta Geremia: «questa parola fu
rivolta dal Signore a Geremia: "Alzati e scendi nella bottega del vasaio;
là ti farò udire la mia parola". Scesi nella bottega del vasaio, ed ecco,
egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che stava
modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli riprovava di nuovo
e ne faceva un altro, come ai suoi occhi pareva giusto. Allora mi fu rivolta la
parola del Signore in questi termini: "Forse non potrei agire con voi,
casa d'Israele, come questo vasaio? Oracolo del Signore. Ecco, come l'argilla è
nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa d'Israele» (Ger 18,1-6).
Il testo del profeta descrive l'amorosa
relazione tra Dio e il suo popolo, attraverso il paziente processo di creazione
e ri-creazione del popolo eletto per mano del Vasaio divino. Il Vasaio,
utilizzando la stessa materia, riesce a plasmare un vaso secondo i suoi
disegni, senza scoraggiarsi per i possibili errori. Come il vaso, la vita
consacrata, la nostra vita francescano-clariana, deve lascarsi ri-creare per
rispondere meglio al progetto di Dio su di essa. In questo momento ciò che è
urgente, e ci viene richiesto con insistenza, è lasciarsi fare e ri-fare
costantemente, perché solo così potremo rispondere al progetto che Dio ha nei
nostri confronti.
42.
Il secondo testo è di Edoardo Galeano. A mio avviso esemplifica molto bene il
processo di trasformazione che sta attraversando la vita religiosa e con essa
la vita francescano-clariana. Il testo dice così: « un altro vasaio si ritira,
sulle rive del mare, nei suoi ultimi anni. Ha gli occhi annebbiati, le mani
tremanti, è giunto il momento dell'addio. Arriva, però, la cerimonia
dell'iniziazione: il vecchio vasaio offre al giovane vasaio il suo pezzo
migliore. E il vasaio giovane non guarda questo vaso perfetto per contemplarlo
e ammirarlo, ma lo getta al suolo, riducendolo in mille pezzi; raccoglie i
pezzi e li amalgama con la sua argilla»[21].
In questi momenti di profonda trasformazione e di
ri-fondazione, non credo di esagerare nell'affermare che spesso questo vaso
bello che abbiamo ereditato (i modi concreti del vivere il carisma
francescano-clariano), deve essere rotto, non perché è venuto male, ma perché
le circostanze sono cambiate così tanto che gli otri attuali non possono
contenere il vino buono del nostro carisma. Solo allora potremo vivere una
nuova tappa in questa meravigliosa avventura nella quale Dio ci vuole
protagonisti. Questo atteggiamento non ha molto a che fare con l'itineranza
francescana, valida anche per voi, care Sorelle Povere di santa Chiara? Non ha
molto a che fare con il vivere senza
nulla di proprio che abbiamo promesso nel giorno della professione?
Siamo chiamati a vivere questo momento, che stiamo
attraversando, come un momento meraviglioso e sorprendente, sebbene non
necessariamente facile, nel quale dobbiamo aprirci allo Spirito che, come il
vento, «soffia..., ma non sai da dove viene né dove va» (Gv 3,8). Non possiamo rifugiarci nel
passato, per quanto bello sia il vaso. Né possiamo assumere acriticamente tutto
ciò che proviene dalla cultura attuale, perché non tutto è compatibile con la
nostra Forma di Vita. Si tratta di aprirci al futuro con speranza attraverso
una ri-visitazione della nostra
identità, così che, senza rinunciare a ciò che non è negoziabile, si possa
rispondere con creatività alla realtà mutevole in cui viviamo.
Il non negoziabile sono i valori evangelici che hanno dato
origine al carisma francescano-clariano e che costituiscono i fondamenti della
nostra identità. La creatività richiestaci è anche evangelica, perché ci
aiuterà a rispondere alla volontà salvifica del Dio di Gesù Cristo, che vuole
che tutti «abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Ciò che ci viene chiesto in
questo tempo, care Sorelle e cari Fratelli, è la continuità con i valori
costitutivi della nostra Forma di Vita e la discontinuità, tenendo presente il
contesto storico in cui viviamo. In questo modo eviteremo di cadere in un
essenzialismo a-storico o in un esistenzialismo senza radici. Si tratta di
vivere una identità in cammino.
43. Il terzo testo
è del profeta Ezechiele, molto conosciuto tra noi. Dice così: «perciò profetizza e annuncia loro: "Così dice il Signore
Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o
popolo mio, e vi riconduco nella terra d'Israele. Riconoscerete che io sono il
Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o
popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare
nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò".
Oracolo del Signore Dio» (Ez
37,12-14).
Vivendo con lucidità la nostra fragilità, riposizionando il
nostro progetto di vita dalle fondamenta di argilla e dalla povertà globale,
partendo da una situazione iniziale di carenza, da una situazione segnata dal
non-sapere e dal non-potere, dobbiamo lasciarci modellare dal Signore, che, con
pazienza artigianale, ci va trasformando a sua
immagine e somiglianza e ci infonderà il suo soffio di vita. Egli rinnoverà
la nostre forze (cf. Is 40,30-31).
44. Il nostro Dio
è il Dio della vita, della vita in pienezza, è Colui che trasforma la morte in
vita e in vita abbondante. A questo Dio, nel quale crediamo, affido il nostro
presente e il nostro futuro. Un presente ed un futuro che, perché siano
significativi, devono promuovere una vita francescano-clariana:
• disposta
a nascere di nuovo (cf. Gv 3,3), in
atteggiamento costante di conversione e a partire dalla logica dell’essenziale.
• Frequentatrice
e creatrice di oasi spirituali, di spazi sacri di infinito.
• Capace
di trasmettere la bellezza della sequela di Cristo secondo la Forma di Vita
francescano-clariana, a partire dal senso di incondizionata appartenenza a Lui.
• Significativa
per la qualità evangelica di vita e di missione, memoria visibile del modo di
essere e di agire di Gesù.
•
Che ha il Vangelo come vita e regola,
e cerca in esso la sua freschezza e novità più profonda.
• Creatrice
di ponti di incontro con l’altro e con il diverso, partendo da una profonda
spiritualità di comunione, cercando di essere, in ogni momento, artefice di
dialogo da una scelta e da uno stile di vita.
• Che
si lascia sedurre dai chiostri disumani
e si pone accanto alla fragilità e alla vulnerabilità come essenza della sua
identità e conseguenza della sua fede nell’incarnazione del Verbo.
• Fedele
alla sua identità più profonda e alla sua ricca storia, aperta al futuro con
speranza, lasciandosi sospingere dallo Spirito; rendendosi presente nel momento
attuale, vivendolo con passione e in atteggiamento di adventus, sperimentando così la presenza e la chiamata del Signore.
• Che
si impegna per la trasparenza e la credibilità; e che per meglio comprendere le
esigenze della sua vocazione e missione, rimane in costante ricerca di pozzi e di cammini; e in
discernimento permanente, adotta atteggiamenti di sincera umiltà, ascolto,
docilità, povertà ed urgenza di ravvivare il cuore e diffondere la carità di
Cristo.
• Che,
in profonda comunione con il Signore e con gli uomini e le donne del nostro
tempo, assuma come dovere della sua missione quello di lascarsi bruciare per
diffondere la luce, la passione per la santità e per l’umanità.
• Che
sia più francescana e più clariana, più evangelica, più povera, più fraterna,
più missionaria.
Care Sorelle e cari
Fratelli, mettiamoci all’opera! Questa è la vita francescno-clariana per la
quale dobbiamo lavorare instancabilmente. Questo è il nostro compito nel
momento storico in cui viviamo. «Al lavoro, perché io sono
con voi... Non temete» (Ag 2,4.5).
Ci accompagni in questo bellissimo
cammino la benedizione dei serafici Fondatori, Francesco e Chiara.
Buona festa di santa Chiara!
Il
vostro Fratello, Ministro e Servo
Roma 15 luglio 2012
Festa di san Bonaventura
Dottore della Chiesa
Fr.
José Rodríguez Carballo, ofm
Ministro generale
Prot. 103112
Abbreviazioni
Scritti di san Francesco
Am Ammonizioni.
Aud «Audite poverelle».
Cant Cantico di frate Sole.
2Lcus Seconda
lettera ai Custodi.
LAnt Lettera a frate a Antonio.
1Lf Lettera ai fedeli (1ª redazione).
2Lf Lettera ai fedeli (2ª
redazione).
LfL Lettera a frate Leone.
Lmin Lettera a un
ministro.
LodAt Lodi di Dio Altissimo.
LOrd Lettera a tutto l'Ordine.
PCr Preghiera davanti al Crocifisso.
Rb Regola bollata.
Rnb Regola non bollata.
SalV Saluto alla
beata Vergine Maria.
Test Testamento.
UffPass Ufficio della Passione del Signore.
Uvol Ultima volontà.
Scritti di santa Chiara
BensC Benedizione
di santa Chiara.
2LAg Lettera seconda ad Agnese.
3LAg Lettera terza ad Agnese.
4LAg Lettera quarta ad Agnese.
LErm Lettera a Ermentrude.
LegsC Leggenda di santa Chiara.
Proc Processo di canonizzazione di santa Chiara.
RsC Regola di santa Chiara
TestsC Testamento di santa Chiara.
Altre
abbreviazioni
CCGG Costituzioni generali dei Frati Minori, Roma, 2010.
CCGG OSC Costituzioni generali dell'Ordine di santa
Chiara, Roma, 1988.
1Cel Vita
prima di Tommaso da Celano.
2Cel Vita
seconda di Tommaso da Celano.
DV Costituzione Dogmatica del Concilio Vaticano II, Dei Verbum (18
novembre 1965).
ET Esortazione Apostolica di Paolo VI, Evangelica Testitificatio (29
giugno 1971).
Fior I
Fioretti di san Francesco.
LegM Leggenda
Maggiore di Bonaventura.
Legper Leggenda perugina.
NMI Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, (6 gennaio 2001).
Pf Lettera Apostolica, in forma di Motu proprio, di
Benedetto XVI,
Porta Fidei (11 ottobre 2011).
RdC Istruzione della Congregazione per la VC, Ripartire da Cristo
(19 maggio 2002).
SAO Istruzione della Congregazione per la VC, Il servizio dell'autorità e l'obbedienza (11
maggio 2008).
VC Esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II, Vita consecrata (25 marzo 1996).
VFC Documento della Congregazione per la VC, Vita fraterna in comunità
(2 febbraio 1994).
VD Esortazione apostolica di Benedetto XVI, Verbum Domini, (30
settembre 2010).
[1] «quanto più si vive di Cristo, tanto meglio Lo si
può servire negli altri, spingendosi fino agli avamposti della missione, e
assumendo i più grandi rischi» (VC
76).
[2] Cf. Bendetto XVI, La donna che
si specchiava negli occhi di Francesco [= DoF], Messaggio in occasione del centenario della conversione di
santa Chiara, in AOFM 1 (2012) 15-17.
[3] M. Victoria Triviño, Francisco de Asís y Clara, PPC, Madrid
2009, 27.
[4] Sui fondamenti ho riflettuto in varie occasioni, particolarmente nelle
Lettere scritte ogni anno alle Sorelle Povere, in occasione della festa di
santa Chiara, cf. J. R. Carballo, Conosci
la tua vocazione. In dialogo con le Sorelle Clarisse, Roma 2012.
[5] «Presso quella chiesetta [San Damiano], che Francesco restaurò dopo la
sua conversione, Chiara e le prime compagne stabilirono la loro comunità,
vivendo di preghiera e di piccoli lavori. Si chiamavano le “Sorelle Povere”, e
la loro “forma di vita” era la stessa dei Frati Minori: “Osservare il santo
Vangelo del nostro Signore Gesù Cristo”, conservando l’unione della scambievole
carità e osservando in particolare la povertà e l’umiltà vissute da Gesù e
dalla sua santissima Madre», Benedetto XVI,
Discorso all’Udienza generale, 10 agosto 2011.
[6] Cf. Pietro Giovannni Olivi, Principium
I in Sacram Scripturam.
[7] A questo proposito voglio sottolineare ciò che ci ricorda Benedetto
XVI: la «fede cristiana non è la religione del Libro», pur importante che sia
per noi la Scrittura, «ma del Verbo incarnato e vivo» (VD 7).
[8] Fior 2: «Iddio mio, Iddio
mio». Secondo il testo latino la preghiera del Santo sarebbe stata: «Deus meus
et omnia = Iddio mio e mio tutto». Di questa fede strettamente monoteista di
Francesco avremo un'eco in Teresa di Gesù con il suo: «solo Dio basta».
[9] B. Duclos, Francesco, immagine
di Gesù Cristo, in Concilium, 169
(1981) 378.
[10] Benedetto XVI, Incontro con il
mondo della cultura, Collége des Bernardins, París, 12 settembre 2008.
[11] Cf. G. Boccali, Concordantiae verbales opuculorum s.
Francisci et s. Clarae Assisiensium, Ed. Porciuncula, Assisi 1995;
Sebastian López, El vocabulario de la
sororidad en la Forma de Vida de santa Clara de Asís, en Verdad y Vida 258 (2011) 45-76.
[12] Molte testimonianze al processo di canonizzazione
sottolineano il fatto che Chiara ha dato tutto ai poveri: cf. Proc
2,22; 3,31; 19,2.
[13] Giovanni Paolo II, Lettera alle
Clarisse in occasione dell’VIII centenario della nascita della Fondatrice,
11 agosto 1993, 4, in Enchiridion
dell’Ordine dei Frati Minori, II, 1389-1409.
[14] Maria Victoria Triviño, Clara de Asís ante el Espejo. Historia y
Espirtualidad, Ed. Pauline, Madrid
1991, 69.
[15] «La missione è il modo di essere della Chiesa e, in essa, della vita consacrata:
fa parte della vostra identità», Benedetto XVI, Discorso all’Udienza ai Superiori Generali, 26 novembre 2010.
[16] In questo caso si può parlare di una missione di testimonianza nella
preghiera, nel trasmettere la fede nell’Assoluto, nel mostrare l’apertura alla
trascendenza, nel rendere visibile la vita evangelica, il silenzio
contemplativo, la vita fraterna, la povertà... Con tutto ciò la vita contemplativa
«rialza le membra cadenti del suo copro ineffabile», come direbbe santa Chiara
(cf. 3LAg 8).
[17] Un grave errore della vita religiosa è stato confondere i carismi con
le attività apostoliche. In questo senso, la vita religiosa deve abbandonare
l’attivismo, il funzionalismo, i compromessi pastorali, la ragione
istituzionale, per ricuperare il suo nocciolo carismatico. Deve tornare alla
sua essenza, alle sue origini.
[18] Ciò di cui si tratta nella missione evangelizzatrice, è questo:
restituire il dono che abbiamo ricevuto, il Vangelo, che nella sua essenza è un
dono destinato ad essere condiviso. La missione scaturisce dalle viscere stesse
del Vangelo. Una vita afferrata dal dinamismo del Vangelo diventa una passione
traboccante per il Regno, anche dentro il chiostro. Un cuore trasformato dalla
potenza del Vangelo, fa sì che uno si trasformi necessariamente in missionario,
anche vivendo in clausura.
[19] Cf. Chiara Frugoni, Storia di
Chiara e Francesco, Einaudi, Torino 2011, 86ss.
[20] Cesare Vaiani, Francesco e
Chiara d’Assisi. Analisi del loro rapporto nelle fonti biografiche e negli
scritti, Glossa, Milano 2004, 123.
[21] Il testo è citato da Alvaro Rodríguez Echeverría, Profecía de la existencia y presencia amorosa de Dios en la vida
consagrada, Unione dei Superiori Generali, Maggio 2011, 79.
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