I non credenti e la ricerca di Dio
Dopo lo storico invito di Benedetto XVI ad Assisi
di Guillermo Hurtado
Il
27 ottobre 2011 sono stato invitato, insieme a Walter Baier, Remo Bodei e Julia
Kristeva, all’incontro ecumenico e interreligioso organizzato ad Assisi dalla
Chiesa cattolica. Noi quattro siamo non credenti dichiarati, ma siamo stati
invitati con uno storico gesto di Papa Benedetto XVI a favore del dialogo fra
credenti e non credenti. Mi sembra che l’importanza di questo dialogo non si
possa ignorare. Credo tuttavia che per configurarlo meglio occorra fare alcune
distinzioni.
Così
come i credenti non sono tutti uguali — ce ne sono di fedi e atteggiamenti
differenti — non lo sono neppure i non credenti. Potremmo dire che normalmente
i non credenti si trovano tra due estremi: da una parte ci sono gli atei pieni
di rabbia, nemici di Dio e della religione, dall’altra gli agnostici spirituali
che stanno per convertirsi a una religione specifica. Fra questi due estremi, tanto
distanti fra loro, ci sono molti tipi di non credenti: i tolleranti, gli
indifferenti, quelli che cercano Dio, quelli che si rifiutano di credere in
lui, e così via.
Ci
sono anche atei che in realtà non lo sono, che credono in Dio nel profondo del
loro animo, ma che sono arrabbiati con lui e che perciò lo negano. Ci sono pure
agnostici che in realtà non lo sono, che credono nella divinità ma che non ne
conoscono il volto e quindi non adottano una religione specifica. Lo spettro
delle posizioni è amplissimo e perciò parlare di non credenti in astratto
genera non poche difficoltà.
Di
questo noi quattro non credenti invitati ad Assisi ci siamo subito resi conto.
Le nostre posizioni di fronte alla religione e di fronte alla divinità erano
molto diverse. Sembra che, dei quattro, io sia stato l’unico a sentirsi
identificato con il messaggio del Papa agli agnostici. Nel suo discorso di
Assisi, Benedetto XVI ha fatto una distinzione fra atei e agnostici. Ha
descritto i primi come antireligiosi e i secondi come persone che soffrono per
la loro mancanza di fede e che nella loro ricerca della verità e del bene
cercano anche Dio.
Quando
ho ascoltato questa definizione degli agnostici mi sono commosso. In effetti,
nella mia umile ricerca della verità mi sono interrogato sull’esistenza di un
Dio che potesse dare una risposta alle mie domande. E nello scoprirmi senza
fede, senza protezione, ho anche desiderato l’esistenza di un Dio che mi
offrisse sostegno nei giorni più neri.
Ma
non sempre penso e sento allo stesso modo. A volte, la stessa ricerca della
verità, vale a dire della verità oggettiva — quale altra potrebbe essere? — mi
fa pensare che Dio non esiste, che dobbiamo cercare le risposte da soli. Altre
volte, quando soffro per la mia solitudine, per la mia finitezza, qualcosa
dentro di me mi fa ribellare contro l’idea che solo un Dio magnanimo potrebbe
tirarmi fuori da questo stato. E allora ritrovo nella mia condizione la dignità
e il coraggio sufficienti per andare avanti. L’agnostico che soffre perché è
senza Dio e lo cerca è, a mio parere, un tipo molto speciale di non credente
che non si può prendere come esempio paradigmatico dell’agnostico.
Se
la Chiesa cattolica desidera veramente dialogare con tutti i non credenti,
dovrà riconoscere che ce ne sono di tanti tipi, che non tutti cercano Dio o
soffrono per la sua mancanza, e che tuttavia molti di essi sono disposti ad
aprire la propria mente e il proprio cuore per avviare un dialogo costruttivo
con i cattolici. Se qualcosa possiamo prendere da quello che potremmo chiamare
il “nuovo spirito di Assisi” è proprio questo.
(©L’Osservatore Romano
14 gennaio 2012)
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