Moglie e mistica
Il cammino interiore di Angela da Foligno
Per una guida alla lettura del «Liber Lelle»
di Alvaro Cacciotti
Nel panorama degli studi angelani mancava uno
strumento quale quello che monsignor Fortunato Frezza ci offre; un lavoro
erudito, drasticamente annotato con — secondo l’espressione di Iacopone da Todi
— «longezza en breve scripta». Un’essenzialità che ha richiesto molto lavoro di
cesello e che rende ragione delle due asperità di fondo del testo del ms. 342
di Assisi: la parola pronunciata e la parola scritta. Asperità conservate in
molti dossier di natura spirituale per i quali l’analisi retorica del testo —
certamente non in modo esclusivo — facilita la comprensione del suo senso
elementare e delle sue evoluzioni lungo la traccia narrativa rilasciata dal
segno scritto.
Un testo mistico è, prima di tutto, un testo che va
compulsato con le regole della grammatica e della retorica, cosa egregiamente
operata in questo volume. Contrariamente al vezzo di teologi e di storici, di
leggere le scritture spirituali servendosi di sistemi deduttivi teologici o di
visioni moraleggianti assai teoriche, tutte sostanzialmente estranee, o almeno
limitrofe, alla natura della mistica cristiana. L’analisi sistematica e approfondita
della scrittura del ms. 342 in questione colma una lacuna in un panorama
storiografico ormai imponente su Angela da Foligno. E se il cantiere rimane
aperto, col lavoro di monsignor Frezza si avrà la possibilità di continuare i
lavori con strumenti e materiali adeguati.
Il registro della brevità col quale tale lavoro si
presenta non tragga in inganno il lettore, poiché i parametri umili adottati
dall’autore, in realtà, contengono molto più di ciò che appare ad una lettura
distratta: il riscontro generativo del linguaggio biblico, la sapienza
filologica e la sobrietà teologico-letteraria, realmente rendono leggibile un
testo sempre ritenuto fin’ora come scomposto e farraginoso.
È straordinario il guadagno di chiarezza portato da
un tale lavoro allo scopo principale per il quale questo testo trovò una forma
scritta, scopo di natura spirituale che il sodalizio tra Angela e il frater
scriptor illustra come la trasmissione di un insegnamento capace di generare,
di produrre un “corpo” di veri fedeli in grado di reperire il “tesoro nascosto”
nella tenuta del Vangelo. È ciò che è dichiarato nell’incipit dell’opera.
Certo, altri motivi sono connessi all’attività
scrittoria e molti altri potranno trovarsene, correlati in vario modo. Rimane,
però, primario l’interesse che il testo riserva a se stesso quale documento
dottrinale della relazione tra l’uomo e Dio.
La vicenda, ridotta all’estrema sintesi — anche se
assai conosciuta — si colloca a cavallo tra il XIII e il XIV secolo e riguarda
la sorte di una moglie e madre che abbandona tutto per Dio. Il racconto delle
sue esperienze interiori è il contenuto di quello che ormai va sotto il titolo
di Liber. Perché il testo avrà sempre tanto successo? Si tratta di un testo
trasmesso in continuazione e tradotto nelle principali lingue europee. In esso
trova, forse, ispirazione e/o riferimento una stagione spirituale nuova? Certo
è che la critica più accreditata ha sempre ritenuto in modo vario e non univoco
che il testo di Angela fosse assoggettato a una organizzazione redazionale
perlomeno confusa che ha il suo punto debole nella struttura del materiale da
trattare. Forse dopo il lavoro di monsignor Frezza andrà ripensato un giudizio
siffatto. Quantomeno lo si dovrà calibrare in maniera puntuale su nuovi
parametri. Così, ad esempio, a mio parere, un certo diffuso stile, chiamiamolo,
“ermetico”, o anche “asistematico” del testo, è motivo praticato per sfuggire
ad un disegno — già di segno opposto, comunque diverso — voluto dalla
sistematica teologico-morale di considerare la crescita spirituale in modo
attivo e progressivo, conseguita da una virtù eroica capace di meriti e messa
in atto dalla bravura del devoto di turno, il quale, infine, conquista il
premio consistente nel possesso di Dio.
Certo, il testo di Angela, redatto con fedeltà da
parte dello scrittore, è una proposta di itinerario di vita spirituale
raccontata ai fedeli, i quali, però, sono “veri” fedeli perché non trattano Dio
come oggetto di conquista. È “vero” fedele colui che probat, perspicit et
contrectat de Verbo vitae incarnato. Si stabilisce, dunque, e con nettezza, che
si tratta di due itinerari opposti e diversi. Il primo tratterà l’altro (che di
volta in volta sarà Dio, l’uomo e il mondo) come oggetto da lucrare per il
proprio bisogno e per il proprio soddisfacimento. Il secondo invece —
documentato dall’esperienza di Angela — apre alla relazione trasformante che la
presenza dell’altro porta alla propria esistenza.
Purtroppo era già attiva nell’occidente medievale
quella che sarà la proposta di vita spirituale dedotta dalla teologia
moraleggiante: il rimanere innervata nella meritocrazia della vita virtuosa.
Non così sarà per la letteratura mistica, anche se verrà letta continuamente
con ottiche deviate da certa teologia.
Il lavoro di monsignor Frezza aiuta anche nel fare
giustizia di questi passaggi proprio per la sapienza con la quale si legge il
testo, annotandolo con i rimandi obbligati e una traduzione italiana da troppo
tempo mancante.
Mi sembra di rilievo assoluto, allora, segnalare
come il testo di Angela sia estraneo alla necessità tutta moderna di un
coordinamento mentale fra “teorico” e “pratico” dato da realtà scisse quali
fede e ragione, esteriorità ed interiorità, attività e contemplazione. Ora si
potranno leggere tali testi con un diverso accorgimento metodologico. In realtà
un’esperienza come quella di Angela (una volta che si possa leggere bene!)
rifiuta l’ organizzazione che i teologi vanno sempre più riservando alla vita
interiore: una sequenza di gradi ascetici sempre coperti dall’attività faticosa
del proposito umano. E non credo di sbagliare di molto se un testo di tal
genere, riservato ai “veri fedeli”, innesca una campagna catechetica contro i
falsi profeti che non sono (dagli Atti degli apostoli in poi) i “veri fedeli”.
Ancora nel Memoriale (51, 7-9), si legge: «E da allora all’anima rimase quella
letizia, con la quale l’anima comprendeva in quale stato quell’uomo, Cristo,
sta in cielo, voglio dire che con essa vediamo la nostra carne che è una unione
fatta con Dio (unam sotietatem esset facta cum Deo). E questa singolare gioia
appartiene all’anima molto meglio di quanto si possa scrivere o narrare».
Proprio perché si tratta di una relazione vera, si
racconta anche la difficoltà di una tale relazione. Una sorta di disperazione è
ampiamente documentata quando Angela si accorge che Cristo, suo amore, non è
più nel suo cuore. Uno stato di abbandono totale la deprime, una desolante
solitudine la estranea da tutto: l’amato di un tempo è perso e lei definisce
tale stato col termine “tenebra”. Il non-essere della presenza del suo amato, è
la tenebra, è il nulla. La tenebra è, allora, la morte, la negazione, la
contraddizione, la differenza; cioè il senso dell’essere umano come nulla in
quanto diverso e lontano dall’altro, da Dio. Questa tenebra è anche e
contemporaneamente il morire dell’immagine dell’altro, di Dio, che l’uomo
normalmente si costruisce a suo uso e consumo, e proprio per questo, accede —
in un passaggio decisivo — ad una nuova comprensione, insperata e indeducibile,
quella di aver ri-trovato Dio nella tenebra. Lo trova perché ha definitivamente
smesso di procedere perfino per mezzo del puro amore. Ora, attratta da Dio,
prende coscienza e vede come il dato permanente della sua operatività, e il
bagaglio del merito, svelati nella loro reale impotenza, siano sposati — e
dunque mutati — da Dio.
Come pochi nella storia cristiana, Angela da
Foligno radicalizza così l’esperienza del cristiano trovando un filo narrativo
alla pienezza promessa dalla fede. Un lavoro come quello che presentiamo
autorizza una considerazione scientifica circa i testi mistici più adeguata
delle melense suggestioni di una certa teologia moralizzante che continua a
leggere queste testimonianze come un vademecum per i “coltivatori diretti di
Dio”. Qui si tratta di un’affermazione di bene posseduto, talmente esclusivo e
certo che ogni altro motivo non ha titolo di minimo baratto. Un orizzonte di
felicità non frutto di virtù propria ma dono dell’altro forse per i più
agognato, ma che resta per Angela e per i tanti mistici cristiani feriale
presenza, anche se devastata da un dire inadeguato: una vera beatitudine di
natura esclusiva, comunque più diffusa di quanto si possa credere.