Dalla spiritualità di comunione una testimonianza
credibile
Il
cardinale João Braz de Aviz su vita consacrata e nuova evangelizzazione
l cardinale João Braz de Aviz |
Oggi non
bastano più un codice morale, l’eredità spirituale ricevuta o un’ideologia per
rendere possibile l’annuncio di Cristo. È necessaria la testimonianza
comunitaria della spiritualità di comunione che Giovanni Paolo II ha indicato
come la forza della Chiesa nel nuovo millennio. Lo ha detto il cardinale João
Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata
e le Società di vita apostolica, durante l’incontro con i religiosi e le
religiose di Malta, Gozo e Comino — promosso in collaborazione con il nunzio
apostolico, l’arcivescovo Tommaso Caputo — in occasione del ventesimo
anniversario della Conferenza dei superiori e delle superiore maggiori locali.
Affermazioni di scottante attualità alla vigilia della Giornata mondiale di
preghiera per le vocazioni, che si celebra domenica 29 aprile, e che vede
impegnati in prima fila tante congregazioni e istituti.
«La vita
consacrata — ha detto il porporato — ha oggi una strada possibile da percorrere
per mostrare e donare al mondo il suo significato più profondo: costruire tra i
suoi membri, tra gli istituti, gli uni con gli altri, con le altre realtà della
Chiesa, con ogni uomo o donna nei vari campi della vita umana, questi rapporti
che hanno il dna del nostro Dio-Amore».
Nella tre
giorni maltese, accompagnato da padre Donato Cauzzo, durante la quale il
porporato ha incontrato le varie realtà della vita religiosa rappresentata da
trentatré congregazioni sia maschili, sia femminili, ha parlato, tra l’altro,
del rapporto tra consacrati e nuova evangelizzazione. Lo ha fatto partendo
dalla preghiera di Paolo VI formulata all’apertura del Sinodo dei vescovi su
«Evangelizzazione nel mondo contemporaneo» del 1974: «O Signore, noi dovremo
risalire fino al mistero della Santissima Trinità per rintracciare l’origine
prima del mandato che urge sopra di noi, e per scoprire, nelle investigabili
profondità della vita divina, il disegno di amore, che investe, qualifica e
sorregge la nostra missione apostolica». Sottolineando l’attualità di questa
preghiera, il cardinale ha invitato a riflettere sulla situazione della vita
consacrata nel nostro particolare momento storico. «La cultura globalizzata in
atto — ha detto — tende a eliminare o a respingere i valori universali che,
lungo la storia umana, sono stati sempre più riconosciuti da tutti, in modo
speciale il rapporto con Dio, per affermare l’individualismo, il relativismo e
il secolarismo. Così, senza Dio, ognuno diventa la regola di sé stesso e del
bene, e riconosce come valore soltanto quello che dà piacere, che procura
felicità, anche se in modo effimero, vissuto per un momento. Sempre di più
quello che per la religione è valore, per l’uomo e per la donna della
globalizzazione “mercantilista” non lo è».
Si produce
così la contraddizione attuale. «Nel momento storico in cui la tecnica ha
fornito le maggiori possibilità di rapporti — ha detto — l’eliminazione dei
valori, per affermare l’individuo assoluto, mette in crisi la capacità umana di
rapporti in tutte le direzioni». Infatti, «Sotto l’influenza di questa
mentalità individualista e relativista — ha proseguito — che sopprime la vita di
comunione, tipica del Vangelo, non si capisce più nel mondo ecclesiale dei
consacrati a che serve l’obbedienza e come esercitare l’autorità e, tante
volte, non si capisce più neanche il valore della vita in fraternità». Da qui,
l’interpretazione in modo negativo del detto tradizionale del gesuita san
Giovanni Berchmans riguardo alla vita comune: mea maxima pænitentia vita
communis. Esso, ha fatto notare il cardinale, «diventa ancora più gravoso,
al punto che molti consacrati abbandonano la vita comune per esperimentare un
poco di libertà». Certamente, anche i religiosi risentono dei «riflessi di
questa realtà del tempo presente nella nostra vocazione. Come tutti, sentiamo
anche noi la crisi generalizzata nel costruire i rapporti umani. Li sentiamo
decisivi, ma frequentemente ci sentiamo incapaci di costruirli in modo
soddisfacente». Ecco perché è necessario «“risalire fino al mistero
trinitario”, come ha indicato Paolo VI e come è stato ripreso nell’Esortazione
apostolica Vita consecrata del 1996, che al capitolo primo parla della Confessio
Trinitatis, invitando a tornare alle sorgenti cristologico-trinitarie della
vita consacrata». Di questa realtà, ha aggiunto il prefetto, ha parlato in modo
incisivo anche Giovanni Paolo II, quando ha proposto alla Chiesa di «promuovere
la spiritualità di comunione come principio educativo in tutti i posti dove si
plasma l’uomo e la donna e il cristiano in questo nuovo millennio che stiamo
appena iniziando. Questa spiritualità di comunione è proposta adesso da
Benedetto XVI per tutti i popoli».
Quale
cammino intraprendere perché la vita consacrata ritrovi la sua fecondità e la
sua felicità nella nuova evangelizzazione? Il cardinale ha indicato che occorre
ripartire da Cristo per fare già da questa terra l’esperienza trinitaria,
approfondendo sempre più la vita cristiana come rapporto personale con il
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Occorre anche una «riscoperta gioiosa di
Dio-Amore, cioè di un rapporto con l’Amore, che è Dio e che realizza la
diversità nell’unità. Abbiamo bisogno di lasciarci illuminare da questa
relazione che passa tra le tre Divine Persone, che costituisce l’identità
propria di Dio, e applicare questa realtà all’uomo e alla donna, creati ad
immagine e somiglianza di Dio».
Il cardinale
ha poi invitato a ripartire dal mistero dell’Incarnazione e dal mistero
pasquale per essere testimoni di Dio-Amore nei rapporti umani ed ecclesiali.
«Perché i rapporti umani brillino d’amore — ha detto — è necessario riprendere
tra noi il sentimento e gli atteggiamenti di uguaglianza: uguale dignità, tutti
unicamente figli di Dio-Amore. Tutto il di più: ministeri, servizi, carismi,
doni, beni, cioè, le nostre giuste diversità, servono unicamente alla bellezza
e forza di questa fraternità nella Chiesa. Le ideologie, anche nel nostro
tempo, non sono state capaci di realizzare i grandi valori umani della libertà,
della uguaglianza e della fraternità. Questi, però, sono i valori centrali
dell’antropologia cristiana. Se ritorniamo oggi, con semplicità e decisione,
all’esperienza della nostra identità trinitaria, la Chiesa, con tutte le sue
realtà costruite durante questi venti secoli, potrà crescere nell’offrire
speranza vera all’umanità». Concludendo, il porporato ha sottolineato come
«l’amore che va e che viene nel rapporto umano genera la presenza di Gesù vivo
e risorto nella comunità». Questa presenza di Cristo «tra discepoli che vivono
l’amore reciproco, dà ai rapporti umani la dimensione più perfetta. Più questa
esperienza si allarga, più la Chiesa, con tutta la sua bellezza umana,
risplende di divino».
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