In terza classe rincorrendo Bonaventura
L'impresa del frate filologo Fedele da Fanna, che
per nove anni ha percorso l'Europa alla ricerca di manoscritti
di Barbara
Faes
Consiglio Nazionale delle Ricerche
In
una sua corrispondenza da Madrid nel 1877, il francescano Fedele da Fanna
(1838-1881) ricordava di aver “percorso quasi tutta l'Europa, rovistato quasi
tutte le biblioteche, esaminato un'ingente quantità di codici manoscritti, e di
altri documenti d'ogni specie e d'ogni tempo, sempre con l'intento o di
scoprire l'occulto o di riformare giudizi erronei, o di chiarire cose dubbie e
di pubblicare cose utili alla religione, alla scienza ed alla società”.
Le parole illustrano efficacemente il senso
del lavoro itinerante che impegnò in condizioni durissime questo Francescano
per ben 9 anni e mezzo della sua breve ma intensa vita (dal 1871 al 1880) alla
scopo di preparare l’edizione critica delle opere di S. Bonaventura, che
costituiscono il grande contributo scientifico che egli ci ha lasciato. Nel
1877 Fedele ha ormai maturato pienamente la consapevolezza che la sua impresa, per
la quale sta peregrinando per le biblioteche di tutta Europa, comporta non solo
una promozione edificatoria dell’Ordine di cui fa parte, da raggiungere
attraverso la conoscenza e divulgazione del pensiero di uno dei maggiori Francescani
del passato, appunto Bonaventura, ma ha un respiro più vasto, universale, che
travalica il progetto iniziale voluto da Bernardino da Portogruaro, suo
superiore, consigliere e paterno amico per tutta la vita. Il lavoro di Fedele
riveste infatti una triplice finalità: religiosa, dunque più ampia di quella di
un recinto francescano di appartenenza, quasi a dire che Bonaventura non è solo
dei Francescani, ma patrimonio di tutta la cattolicità-romana, quella cattolicità
che fino ad allora in piena neoscolastica si riconosceva soprattutto in Tommaso
d’Aquino; scientifica, mentre il progetto iniziale di edizione delle opere di
Bonaventura, come si vedrà, non rivestiva questo carattere; culturale, perché
un’edizione critica, se condotta con i crismi della scientificità, è oggetto di
interesse ed attenzione per tutto il mondo dei dotti, religiosi e laici.
Ma come era arrivato Fedele a queste
considerazioni? L’accidentata storia della sua impresa scientifica, patrocinata
da Bernardino da Portogruaro, a quei tempi Generale dell’Ordine, è al riguardo
particolarmente illuminante. Essa si svolge nella seconda metà dell’800,
periodo travagliato della storia dell’Ordine, che al pari degli altri soffre
delle radicali decimazioni economiche e psicologiche causate dalle soppressioni
religiose, da uno forte decremento numerico e abbassamento culturale della
formazione dei frati, da irrigidimenti da parte papale e da parte del nuovo
stato italiano. Due figure diverse per età, formazione, censo e soprattutto per
temperamento, ma complementari e accompagnate da un stesso ideale, si
incontrano: Bernardino e appunto Fedele.
Il primo è il più anziano, proveniente da
famiglia benestante, con alle spalle una buona formazione culturale, in
contatto con N. Tommaseo e i notabili di Venezia, uomo delle istituzioni - prima
infatti è provinciale dell’Ordine poi a lungo generale - fine mediatore e
perspicace nell’individuare nell’ignoranza dei frati del tempo una delle cause
della decadenza dell’Ordine e dunque nel cercare e trovare come correttivo
adeguato un piano di studi più serio e formativo per la loro educazione
spirituale ed intellettuale, basato tra l’altro su una lettura più diretta di
testi filosofici e teologici medievali, ossia sostanzialmente su Tommaso e -
questa è la novità maggiore - su Bonaventura.
L’impresa principale di Fedele da Fanna è
comunque l’edizione dell’Opera omnia
di Bonaventura. L’idea iniziale di essa è stata di Bernardino, l’attuazione
pratica invece di Fedele, al quale si deve anche il mutamento in corso d’opera
del progetto. Merito di Bernardino è l’aver individuato la persona giusta e
averla sostenuta sino alla fine. Con notevole fiuto psicologico capisce subito
le eccezionali doti di chiarezza intellettuale, impegno e dedizione nel lavoro,
ma anche le difficoltà caratteriali di quel giovane scorbutico, a volte
lamentoso, di malferma salute, incapace di mezze misure, orgoglioso, spesso
sospettoso dei confratelli (Bernardino per dissapori dovrà trasferirlo da S.
Michele in Isola al convento degli osservanti di S. Francesco della Vigna e
anche lì Fedele non si troverà bene), ma anche improvvisamente remissivo, di
una candida semplicità, ma nel contempo abile nel fare i conti, organizzare gli
aspetti materiali dell’impresa, capace all’occorrenza di intrattenere relazioni
con diplomatici di tutto il mondo, di scrivere con franchezza senza ombra di
piaggeria all’imperatore Francesco Giuseppe per ottenere sovvenzioni e aiuti
pecuniari. Bernardino è lungimirante, tollerante e protettivo verso questo
figliolo ispido e testardo, ma di una lealtà e fedeltà assoluta a un ideale,
che grazie a lui non resta velleitariamente sulla carta, ma pian piano a costo
di difficoltà innumerevoli, prende corpo, si concretizza e cresce a dimisura fino
a diventare una delle più grandi e ammirate imprese scientifiche di tutti i
tempi, modello per quelle coeve e future.
La storia di questa impresa nelle sue
linee generali è abbastanza semplice. In un primo tempo, mosso dai suoi intenti
pedagogico-formativi e poi in vista del VIo Centenario della morte
di Bonaventura (1874) Bernardino commissiona al giovane friulano una ristampa
degli scritti di Bonaventura con commenti e aggiunte esplicative, ritenendo
sufficiente migliorare le vecchie edizioni. Fedele inizia, ma presto si accorge
che un simile lavoro è un’operazione di pura facciata, inutile, perché privo di
solide basi scientifiche. Propone allora un altro progetto, che Bernardino
approverà: un’edizione scientifica delle opere di Bonaventura, ossia di
ricostruzione critica di esse. Edizione critica, significa, ieri come oggi,
anzitutto stabilire l’autenticità di un testo, poi ricostruirlo filologicamente
alla luce della sua tradizione manoscritta, documentarlo e valutarlo; ma ciò è
possibile soltanto se prima si individuano, ed esaminano minuziosamente tutti i
testimoni manoscritti di quel testo, che ai tempi di Fedele erano sepolti nelle
più svariate biblioteche d’Italia e d’Europa, come egli ricordava nella sua
lettera da Madrid. Fedele incomincia suoi viaggi; il resoconto di essi si legge
nella puntuale corrispondenza con Bernardino: prima in Italia, poi via via in
Francia, Inghilterra, Irlanda, Belgio, Germania, Svizzera, Austria,
Cecoslovacchia, Ungheria, Slovenia, Croazia, Olanda, Spagna, Portogallo. Sono
viaggi scomodi in terza classe su panche di legno, dove talvolta si tenta di
dormire per risparmiare sui pernottamenti e guadagnare tempo; alcuni in paesi,
come la Francia e la Germania potenzialmente inospitali per i religiosi, perché
hanno governi repubblicani laici e popolazione non sempre ben disposta, ed ecco
allora consigliabile una certa prudenza nel vestire: via il saio nei luoghi
pubblici e al suo posto l’abito secolare che però va comperato e per un povero
frate è costoso.
Ci si sposta da un luogo e da una
biblioteca all’altra per cercare cataloghi, decifrare ms., verificare
indicazioni spesso errate, trascrivere; il lavoro è estenuante, tutto a mano,
richiede occhi buoni, attenzione, pazienza, fiuto, oltre naturalmente a sicure
conoscenze di latino, di paleografia e di codicologia. E’ un lavoro non solo
faticoso, ma anche forsennato, perché il tempo a disposizione è poco e non
sempre valutabile: si programma un giorno per una ricerca, ed ecco improvvise e
nuove scoperte dilazionano i tempi, mandano all’aria i piani e,
conseguentemente, comportano spese ulteriori. Le condizioni di lavoro, poi, non
sono sempre agevoli, essendo il vitto spesso insufficiente e cattivo, la vita
in alcuni paesi carissima (i frati sostanzialmente si mantengono con le messe),
il clima ostile, il rumore della città assordante. L’Inghilterra è il paese
dove Fedele, si trova più a disagio.
La povertà è il filo conduttore di questi
viaggi e Fedele se ne lamenta spesso con il suo Generale. Il frate, soprattutto
il Francescano, è sì povero per scelta, ma anche per imposizione, perché le
dure circostanze glielo impongono: costano non solo il pur parco sostentamento
e i trasferimenti da un luogo all’altro, ma anche altre spese indifferibili,
come l’acquisto dei libri e delle edizioni antiche, strumenti che spesso Fedele
trova solo all’estero e compera anche alle aste. Ma c’è anche un’altra povertà
ed è per lui la più angustiante: la povertà numerica dei suoi collaboratori, le
resistenze dei Provinciali a cedere qualche loro frate, che ritengono
assolutamente indispensabile e inamovibile dal lavoro in Provincia. E infine vi
è la povertà mentale dei confratelli; di coloro che nel corso degli anni si
avvicenderanno nell’impresa, pochi alla fine resisteranno, o perché inadatti a
quel lavoro per ristrettezza d’ingegno o difficoltà di apprendimento, o perché
ignavi, riottosi a una vita di simili sacrifici e insensibili al richiamo di
forti idealità di cui non riescono a cogliere il senso.
Fedele è esigente, anzitutto con se
stesso, poi con i suoi, non si risparmia, non lascia nulla di intentato ed
anche per questo il lavoro procede con lentezza e l’edizione vera e propria è
ogni volta procrastinata. Nel 1874 si festeggia il VIo centenario
della morte di Bonaventura e di Tommaso: l’occasione è importante perché se
Francesco è il cuore, la vita dell’Ordine, Bonaventura, è la sapienza di questo
cuore; perché nel clima della neoscolastica imperante questi se non
adeguatamente onorato potrebbe passare in secondo piano rispetto al più
celebrato Tommaso; infine per dare nuova visibilità all’Ordine francescano,
attraverso uno dei suoi maggiori esponenti. L’edizione però del primo volume
dell’Opera omnia è ancora in alto
mare ed ecco che Fedele per l’occasione confeziona un opuscolo, la Ratio novae collectionis, che illustra
le ragioni e il programma della nuova edizione, rende conto del lavoro fatto e
delle nuove scoperte. Tra i dotti di tutta Europa esso avrà un enorme successo
e ampi riconoscimenti.
Nel frattempo il lavoro cresce a dismisura
con considerevoli spese di forze e di denaro; i collaboratori sono scontenti
non vedendone la fine e per questo si lamentano con il loro Generale; le
aspettative del mondo intero – specie dopo l’uscita della Ratio novae collectionis - sono grandi. Bernardino finora si è
sempre mostrato comprensivo e paziente, ma alla fine, portavoce anche dei
malumori di chi lavora con Fedele, lo mette alle strette, non con durezza che
sarebbe controproducente, ma facendo leva su un sentimento psicologicamente più
sottile, lo scoramento, un certo avvilimento per tutti i continui rinvii e lo invita
a non tardare più, a dare inizio all’edizione. Imperterrito Fedele non gli dà
ascolto e continua i suoi viaggi per tutta Europa: in tutto visiterà 410
biblioteche!
Nel frattempo, dopo molte ricerche, nel
1877 Bernardino, avvertito della necessità di acquisire una sede esclusivamente
per gli editori delle opere in corso, riesce a comperare una malconcia villa
nobiliare a Quaracchi (Firenze) per ospitare la costituenda biblioteca, i
materiali, in un secondo tempo la tipografia, e naturalmente gli editori stessi.
Qui, dopo opportuni restauri, si stabilirà il Collegio S. Bonaventura ossia il
gruppo di religiosi, inizialmente soprattutto tedeschi, addetti ai lavori
scientifici, inizialmente sotto la direzione di Fedele e alla sua morte di
Ignatius Jeiler (+ 1904). A Quaracchi - dove i Frati resteranno fino al 1971,
per poi trasferirsi a Grottaferrata e da qualche anno a Roma (convento si S.
Isidoro) - vedrà la luce, insieme ad altre importanti iniziative editoriali
francescane, la sospirata edizione in 10 volumi delle opere di Bonaventura, il
cui primo volume apparirà nel 1882, l’ultimo nel 1902 . Fedele non vedrà il
risultato delle sue fatiche: morirà a Quaracchi a 42 anni sfinito dai viaggi,
dalla stanchezza, dall’ansia di finire, dalla tisi.
Fedele muore, ma la sua opera resta, anche
se pochi oggi, leggendo in originale un testo di Bonaventura, immaginano il lungo
e sofferto lavoro editoriale a monte, e chi ne sia stato l’autore. Per Fedele lo
studio è stata la vita stessa al servizio di un alto ideale, che ha testimoniato
con l’impegno di un grande rigore e con l’austera nobiltà di una ricerca
scientifica senza scorciatoie né compromessi. Il valore dello studio, dunque:
una sfida grande per quei tempi, ma ancora più per oggi.
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