Per un Natale di fiducia in Terra Santa
Il messaggio del custode padre Pierbattista Pizzaballa
GERUSALEMME, 22. L’odore di cannella, noce moscata e chiodi
di garofano nelle parrocchie cattoliche annuncia l’inizio del Natale in Terra Santa.
Un evento che qui assume, tanto più quest’anno, un’imp ortanza e un significato
particolari. Il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, nel tradizionale messaggio ha sottolineato come
questo è il tempo in cui «nelle nostre menti e nel nostro cuore si rinnova la
domanda che ci interroga personalmente sul significato di quella nascita che
2000 anni fa — a Betlemme di Giudea — sconvolse la storia. Superata la valanga di belle parole e buoni sentimenti che in questo
periodo ci sommergono, dobbiamo davvero provare a chiederci se e quanto quella nascita,
ancora oggi, riesca a sconvolgerci». Il custode di Terra Santa, ha ricordato
che durante l’Avvento, Giovanni il Battista ci presenta Gesù come il compimento
dell’annuncio di consolazione. «Lui è la consolazione che si fa carne, che possiamo toccare con mano. Giovanni proclama che la
consolazione, ora, è una certezza e non più un annuncio di liberazione futura.
Gesù — ha continuato padre Pizzaballa — è qui, in mezzo a
noi, dono e presenza di Dio, manifestazione visibile del suo amore per noi. E oggi,
come allora, ci viene chiesto se il nostro cuore e la nostra intelligenza hanno
posto fiducia in questa presenza e trovano in essa consolazione. Un mondo nuovo; il regno di Dio. Per poterlo accogliere, per
poterlo vedere, dobbiamo ri-nascere.
Nulla di questo possiamo comprendere, se non diventiamo
nuovi, liberi e, per questo, capaci di accogliere la novità».
Il religioso ha sottolineato che «lasciarsi sconvolgere dal
Natale significa essere ancora in grado di rinascere e ricominciare, con
fiducia, con determinazione, con serena consapevolezza dell’impegno che questa nuova
nascita ci domanda. La paura, il sospetto, l’incapacità di credere che l’altro
possa cambiare, che io possa cambiare, che l’a m o re possa rinascere, che la
consolazione non sia una chimera… tutto questo a volte prevale e ci paralizza.
È l’ombra della morte e la schiavitù di satana. Ma noi apparteniamo a Cristo: per questo vogliamo,
come Giovanni il Battista, gridare che la nostra schiavitù è finita. E che
siamo pronti e desiderosi di rinascere di nuovo e dall’alto, con la forza del suo
amore, con la potenza del suo Spirito».
Nel messaggio, padre Pizzaballa ha anche ricordato come le
comunità cristiane di Terra Santa, della Siria e del Medio Oriente siano messe a
dura prova. «Le famiglie, così come le comunità religiose, sono provate da
guerre, persecuzioni, abbandoni e solitudini. Non abbiamo i mezzi materiali per
aiutare tutti e ci sentiamo impotenti. Ancora più grave è il diffuso sentimento
di sfiducia riguardo al futuro, la voglia di abbandonare tutto e di andarsene,
di non credere più a nulla e a nessuno.
È Natale — ha concluso — e il mio augurio e quello dei
francescani di Terra Santa, per tutte le persone che vivono qui e per coloro
che da tutto il mondo guardano a noi, è quello di non cedere al disfattismo e
di lasciarsi ancora una volta conquistare dall’amore di Dio e dal vivo
desiderio, dalla concreta volontà di ricominciare, a tutti i costi. Abbiamo
bisogno e vogliamo andare a Betlemme, per verificare ciò che è avvenuto a tutti noi: siamo rinati,
di nuovo capaci di sorriso e gratuità».
Nel Medio Oriente e in Terra Santa i festeggiamenti per il
Natale sono iniziati con le celebrazioni in occasione di santa Barbara (4 dicembre). I fedeli seguono la
particolare tradizione di condividere, dopo la messa, un dolce chiamato “Burbara”,
benedetto dal celebrante e cucinato per quest’occasione. Il dolce, preparato
con differenti qualità di grano, bolliti, zuccherati e aromatizzati all’essenza di anice, è distribuito alle famiglie e agli
anziani in ricordo del grano con cui Barbara si nutriva durante la sua prigionia.
Fonte: L’Osservatore Romano, 23 dicembre 2012, p. 6.
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