Maria e i vescovi di Roma
All’Antonianum il ventitreesimo congresso internazionale
di Salvatore Maria Perrella
Negli
anni del pontificato di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e ora di Benedetto XVI,
e in modo particolare sulla scorta della dottrina del capitolo VIII della Lumen
gentium, la Chiesa con il suo magistero e la teologia ha rimotivato e rinnovato
in modo convincente la mariologia, ripristinando e attualizzando una procedura
consona all’odierna sete di gustare la bellezza e la verità del mistero
cristico-trinitario al cui interno si scorge l’umile e splendida persona e
icona della Mater Domini. Tale procedura, che ha di «antico» e di «nuovo»,
consente di cogliere la santa e umana icona della Madre di Gesù così come la
divina rivelazione l’ha predestinata, attuata e mostrata nella narrazione della
santa pagina. Facendo nostra un’asserzione del dogmatico evangelico Gérard
Siegwalt nel suo recente articolo Vaticano II: tra cattolicesimo e cattolicità,
possiamo ben dire che la «novità del Vaticano II è anche la sfida del Vaticano
II, quella di riconciliare il cattolicesimo romano con la cattolicità, e la
cattolicità con il cattolicesimo romano. Il Vaticano II, infatti, vuole essere
un concilio non di scomunica, ma di unione, di comunione; in altre parole: non
di delimitazione, ma di integrazione».
Esemplare banco di prova di tale
asserzione è secondo noi il capitolo VIII della Lumen gentium che ha
sapientemente integrato Santa Maria di Nazaret nel mistero del Dio trinitario
di Cristo a partire dalla Parola della fede (Romani, 10, 8), tenendo in debito
conto della tradizione vivente della Chiesa, stando attenta a proporre una
dottrina che non fa accrescere il dissenso, ma suscita il consenso e il
fraterno dialogo, nella carità e nella verità, tra la Chiesa, le chiese e le
confessioni cristiane (Lumen gentium, 54, 67). Impresa che continua,
appassiona, avvince, nonostante le «oscillazioni» umorali del tempo e
dell’uomo, e che sia Papa Montini, sia Papa Wojtyła sia Papa Ratzinger hanno,
per quanto hanno potuto, calmierato e stabilizzato con la sua mariologia e
marianità biblica, sapienziale ed ecclesiale, ritmata dal loro cristocentrismo
trinitario-ecclesiale e dalla loro antropologia personalista e relazionale. Non
va dimenticato, infatti, che Santa Maria è sin dagli inizi presente nel fatto
cristiano; anzi, a motivo della sua persona, del suo ruolo e significato per la
fede e per la vita di fede, è divenuta via via parte indelebile del fatto
ecclesiale, come dimostra la bimillenaria storia del cristianesimo letta e
interpretata sull’importante versante della cultura. Versante, asserisce
Stefano De Fiores, che ci «conduce a scorgere la Madre di Gesù non solamente
nel dogma e nel culto della Chiesa, in contesto chiaramente storico-salvifico e
cristologico, ma più a monte nella dinamica culturale delle varie epoche come
elemento significativo, anche se ancora poco studiato dagli storici. Anzi,
Maria appare in ognuna di esse come una figura indispensabile che conquista progressivamente
tempo, spazio, persone e istituzioni; e diviene, pur nelle variazioni proprie
di ciascun universo simbolico, una persona rappresentativa, frammento e insieme
sintesi in cui si rispecchia il tutto della fede, della Chiesa, della società,
in una parola della singola cultura».
Scrittura,
credo, magistero, liturgia, pietà popolare, teologia, prassi pastorale,
ecumenismo, dialogo interreligioso, arte e cultura, sono i tòpoi, i luoghi, gli
ambiti attraverso cui la Madre del Signore è entrata, non abusivamente, ma
congruamente nella coscienza non solo ecclesiale di ieri e di oggi! Infatti,
nel nostro tempo attuale la mariologia è sempre più intessuta di profondi
legami con le altre branche del pensare e del proporre la fede nell’oggi della
Chiesa e del mondo; ciò, non dobbiamo dimenticarlo, grazie al concilio Vaticano
II, al suo insegnamento, ai suoi orientamenti e alle sue prospettive. Oggi, la
riflessione mariologica è sempre più intessuta di profondi legami con le altre
branche del pensare e del proporre la fede nell’oggi della Chiesa, del mondo e
dell’uomo/donna in continua trasformazione.
La
mariologia postconciliare possiede, infatti, delle caratteristiche e delle note
specifiche che il magistero cattolico ha non solo proposto (si pensi, ad esempio,
alle indicazioni metodologico-prospettiche del capitolo mariano della Lumen
gentium, del Vaticano II, a quelle liturgiche e antropologiche della Marialis
cultus, di Paolo VI, a quelle biblico-teologiche, teologali ed ecumeniche
presenti nella Redemptoris mater, di Giovanni Paolo II; agli imput di Benedetto
XVI in ordine a una mariologia biblico-sapienziale), ma anche messe in pratica
e sviluppate (grazie al contributo di una teologia sempre più correlata,
plurale e interdisciplinare), che semplicemente elenchiamo: cristocentrismo
trinitario e dimensione pneumatologica; visione ecclesiologica ed
ecclesiotipica; riscoperta e valorizzazione della via della bellezza e della
via del simbolo; conoscenza e valorizzazione delle altre tradizioni cristiane;
impegno al dialogo ecumenico e interreligioso; istanza prassica e liberatrice
con impatto nel sociale; esigenza dell’inculturazione; creatività nella fedeltà
alla riforma liturgica e rivalutazione e valorizzazione ecclesiale della pietà
popolare; attenzione agli input venienti dalle scienze umane; sensibilità verso
la dimensione pastorale e catechetica; studio e approfondimento della
spiritualità mariana; relazione tra pietà mariana e vita consacrata. Legata
ormai a un rodato statuto storico-salvifico ed ermeneutico, la mariologia sarà
dinamicamente e creativamente fedele sia all’intramontabile primato e valore
assiologico dell’evento parola/Cristo, sia al variegato e talvolta ondivago
umore della cultura umana in cui è inserita per portarvi positivi influssi. Una
mariologia il cui distintivo carattere non è la sequela di mode passeggere ma
piuttosto il porsi in cammino e al servizio della credibilità della fede
cristiana — come in più occasioni esorta Benedetto XVI — dell’unità dei
discepoli di Cristo e dell’uomo e della donna del difficile nostro tempo
postmetafisico, postmoderno, postcristiano, postsecolare, spesso gravato da
abissali carenze esistenziali, valoriali e religiose, ma bisognoso e desideroso
di colmarle senza più arrischiarsi a «sperare nel tragico», affinché ritrovi il
gusto di accogliere pascalianamente la perenne sfida della fede. In questo
plurimo servizio teologale, teologico, ecclesiale, pastorale, sociale, etico,
simbolico, antropologico ed escatologico, la Madre del Signore e la stessa mariologia
trovano il loro spazio naturale di pensiero, di provocazione e di azione pro
multis.
Per
concludere, possiamo ben dire che i tre Papi nel loro magistero mariano,
diretto e indiretto, si sono attenuti con scrupolo responsabile a quanto
avevano paventato nel loro impegno programmatico di vescovi di Roma: a livello
mariano sono stati dei veri protagonisti nell’illustrazione e nella diffusione
della dottrina conciliare, avendo un’eco significativa anche al di fuori della
stessa mariologia. Infatti, come giustamente osserva il cardinale Angelo Amato,
sono state «considerate un prezioso contributo all’epistemologia teologica in
generale, dal momento che ne hanno specificato e ulteriormente ampliato il
metodo teologico proposto dal decreto sulla formazione sacerdotale (Optatam
totius, 16) del Vaticano II».
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