Una
traduzione lunga una vita.
La Bibbia in cinese di Gabriele Maria Allegra
di
Giuseppe Buffon
La lettura de Le
memorie di fra Gabriele Maria Allegra(Città del Vaticano, Libreria Editrice
Vaticana, 2005, pagine 214, euro 13) desta diversi spunti di riflessione.
Colpiscono, ad esempio, i riferimenti ai colloqui intrecciati con padre
Teilhard de Chardin e don Sturzo, la narrazione dei contatti avuti con le
autorità militari giapponesi, in vista di un eventuale arbitrato della Sede
apostolica, nel secondo conflitto mondiale; e ancora le varie notizie
sull’attività ecumenica, sull’apostolato biblico, sui convegni, sulle opere in
prosa e poesia in lingua cinese. Si tratta, insomma, di una selva di
informazioni, di cui sarebbe difficile offrire una presentazione che ne
salvaguardi l’integrità e il valore storico culturale.
Cercando di
attenersi, però, all’intenzione dell’autore, che afferma di riferire solo “gli
eventi che direttamente o indirettamente ebbero una qualche relazione con la
versione della Bibbia in cinese”, parrebbe di poter individuare l’orientamento
principale della narrazione nella scoperta, o riscoperta, della Parola quale
motore e guida del rinnovamento dell’esperienza cristiana.
L’ansia per il
rinnovamento della vita cristiana è riscontrabile soprattutto nei passi
riguardanti la realtà francescana, in riferimento al processo di aggiornamento
proposto dal Vaticano ii. L’Allegra insiste qui sulla necessità di riscoprire
non solo le origini cronologiche della storia francescana, ma anche gli
elementi più significativi della tradizione. Non a caso, assume come motto
della sua vita una espressione usata nella liturgia per la memoria del beato
Leopoldo da Gaiche – un predicatore umbro della fine del Settecento, che si
trovò a svolgere il suo ministero nei tempi difficili delle campagne
napoleoniche in Italia – in solitudine Deum quaerere et in medio populi
tui salutem operari.
Non pare opportuno
però indugiare oltre intorno a questo aspetto, preferendo dedicare maggior
attenzione all’approfondimento del tema centrale, cioè quello del primato della
Parola, nelle sue diverse declinazioni: concepita, studiata, mediata,
divulgata, insegnata, condivisa.
“Siamo nell’anno
1928 – scrive l’Allegra negli anni dei suoi studi a Roma – nel quale ricorreva
il Sesto centenario della morte del beato Giovanni da Montecorvino, primo
arcivescovo di Pechino e vero fondatore della Chiesa di Cina e della sua
gerarchia ecclesiastica. Il Santo Padre Pio xi inviò una lettera al nostro
generale; di questa lettera pontificia si parlò molto in collegio (…) a me
confidenzialmente ne parlò tanto Padre Cipriano Silvestri, che mi mise pure al
corrente della udienza avuta dal Santo Padre”.
Della serie di
conferenze tenute in quel periodo presso l’Antonianum, intorno all’impresa
missionaria svolta in Cina dal Montecorvino, l’Allegra colse un particolare
apparentemente irrilevante: la “traduzione in cinese (o forse in mongolo)
del salterio e dei vangeli”, a cui aveva fatto riferimento padre Silvestri.
Tale osservazione, pur importante in se stessa, avrebbe potuto risultare quasi
secondaria rispetto, ad esempio, alla grande impressione suscitata
dall’arditezza del viaggio stesso, oppure dal ruolo politico e diplomatico
assegnato al frate missionario. “Per me – continua l’Allegra – il discorso di
quest’ultimo (il Silvestri) fu come una miccia accesa, lanciata contro una
polveriera”. Il particolare pare interessante, non solo per l’intuizione avuta
già dal giovane francescano, bensì anche per la dimensione culturale, che
assumeva il corso di preparazione all’apostolato missionario, proposto
dall’Antonianum, che prediligeva l’approfondimento delle fonti e della
Scrittura in particolare.
L’Allegra, nel frattempo,
tramite gli studenti cinesi frequentanti i corsi dell’Antonianum, si era
informato intorno alla versione cinese della Bibbia, apprendendo così che la
traduzione del Monte Corvino non esisteva più e che i cattolici possedevano
solo il Nuovo Testamento; per la traduzione dell’Antico Testamento, invece, il
concilio di Shanghai (1924) aveva espresso il voto a sostegno della nomina,
quanto prima possibile, di una apposita commissione di periti. I protestanti, a
differenza dei cattolici – annota ancora padre Gabriele – “possedevano una loro
versione, anzi parecchie versioni, alcune di esse essendo state fatte nei e per
i principali dialetti dell’immensa nazione cinese”. Per l’Allegra questa
informazione costituì un’ulteriore spinta, forse quella determinante, a dar
corso al suo proposito: “Fu questa un’altra potente scossa elettrica”.
L’autore delle Memorie,
a cui non andava a genio un ecumenismo superficiale che “mette quasi quasi,
sullo stesso piano tutte le religioni, che invita anche il sacerdote cattolico
a cercare la verità assieme agli altri”, pare tuttavia non rifiutare l’esempio
dei protestanti riguardo al primato che essi attribuiscono alla Scrittura. Egli
ricorda, infatti, come già a bordo della nave che l’avrebbe condotto per la
prima volta in Cina, ebbe delle “lunghe conversazioni con un reverendo
anglicano sugli atti degli apostoli, e con un missionario protestante”. Nei
primi tempi della sua permanenza in Cina, accolto all’Hunan Bible Institute da
“due gentiluomini cristiani”, che “non potevano esser più gentili verso di me”,
l’Allegra percepisce allora, con chiarezza ancora maggiore, la portata dei
traguardi raggiunti dal protestantesimo nello studio e nella divulgazione della
Scrittura. “In quella biblioteca – sostiene – mi resi conto di quanto i
fratelli separati avessero già pubblicato in cinese riguardo alla sacra
Scrittura, lì conobbi le prime riviste protestanti… lì avvertii quale forza non
fosse in Cina lo studio e la stampa”.
Più oltre, nelle Memorie,
l’Allegra, a proposito del rapporto con i protestanti e dei risultati ottenuti
per il rinnovamento della vita cristiana: “La Chiesa cattolica deve avere
la sua società biblica mondiale per preparare le sue versioni per tutti i
popoli della terra. Certo che arriviamo dopo cento e più anni di distanza dei
nostri fratelli separati, eppure è mia convinzione che questo apostolato
biblico sia quanto mai urgente”. La Chiesa doveva tornare, quindi, con urgenza
ai suoi fondamenti ineludibili, cioè alla Parola.
Non stupisce
affatto che l’Allegra fosse giunto a un tale convincimento, dal momento che,
come si evince sempre dalle Memorie, fin da studente di teologia usava
come testo per la lettura spirituale il Vangelo di Giovanni, seguendo
naturalmente la versione greca. Con l’applicazione alla Parola, il giovane
francescano scopriva, però, anche i Padri. Egli asserisce, infatti, con
riferimento al Tractatus in Johannis Evangelium del grande Agostino
[...] ritengo che, dopo la Sacra Scrittura, sant’ Agostino sia stato il mio
maestro (…). E con Agostino cominciai a conoscere san Girolamo…”.
Si viene a
conoscere così come uno dei sogni irrealizzati dallo studioso resti quello di
offrire una traduzione cinese anche dei testi patristici, allo scopo di “far
conoscere l’esegesi dei Padri [...], in altri termini, la Scrittura nei Padri”.
La Parola biblica, per operare come tale, a suo avviso, dovrebbe essere intesa
entro un determinato ambiente culturale; cioè andrebbe interpretata secondo una
corretta ermeneutica, in modo da diventare “parola ecclesiale”. Così si esprime
ancora a questo riguardo il francescano: “Molta verità contiene il detto
di Lutero: “La sola grammatica non basta per tradurre la Bibbia”, frase
che io oso spiegare così: non basta la conoscenza della grammatica e
della sintassi greca ed ebraica per tradurre la Scrittura, ma fa d’uopo che il
traduttore conosca la storia del popolo in mezzo al quale il libro da tradursi
ha avuto origine… Ma soprattutto fa d’uopo che, essendo la Scrittura il libro
affidato da Gesù Signore alla Chiesa, egli abbia gli stessi sentimenti della
Chiesa: sentiat cum Ecclesia“. Lo studioso francescano, oltre a fare
riferimento continuo ai Padri nell’opera di traduzione, pensò di riunire in un Dizionario
biblico, o Lessico biblico, tutti gli strumenti ermeneutici atti
all’interpretazione ecclesiale. L’ispirazione per una tale opera, come afferma
egli stesso, gli sarebbe venuta da Agostino, che non riteneva sufficienti, per
i bisogni dei cristiani, le opere storico-geografiche di Eusebio, né le
spiegazioni filologiche di Girolamo. Occorreva dunque, a suo avviso, un’opera
che si interessasse ai problemi trattati nell’introduzione generale e speciale
della Scrittura, quali le questioni riguardanti l’ispirazione, il canone, i
principi cattolici dell’ermeneutica (ego nec Evangelio crederem nisi Ecclesiae
me moveret auctoritas).
La Bibbia cinese di
padre Allegra – in un solo volume, la cosiddetta Bibbia di Natale – vide la
luce il 25 dicembre del 1968. Quest’opera non fu l’unico strumento attuato per
la formazione del popolo cristiano. L’attività dello studioso, nel corso degli
anni, diede ulteriori frutti efficaci per rinnovare, sin dalle radici, l’intera
pratica cristiana. “Nei primi anni delle mia vita in Cina rimanevo sorpreso nel
vedere i fedeli protestanti, che si recavano al loro Divine Service portando
seco la Bibbia. I cattolici avevano invece il libro di preghiere e la corona
del Rosario. Allora era d’uso quasi generale presso i protestanti schernire i
cattolici perché la Chiesa proibiva loro l’uso della Bibbia, e perché ancora
eravamo infetti della superstizione mariolatrica… Ora la situazione è
completamente rovesciata. Abbiamo la versione della Bibbia stampata in due
formati diversi; abbiamo tre edizioni diverse del Nuovo testamento, abbiamo una
edizione dei quattro Vangeli ristampata diverse volte a decine di migliaia; e
abbiamo la carta geografica murale della Palestina al tempo di Gesù, abbiamo
l’antologia biblica: il Vangelo del Regno, e abbiamo in ultimo il
dizionario”.
Il brano citato
potrebbe suscitare l’impressione di certo clima polemico, cioè di un utilizzo
della Parola con un sotteso rischio di ostacolare il cammino verso l’unità. Si
verificò esattamente il contrario: grazie all’Allegra, infatti, cattolici
e protestanti iniziarono un proficuo cammino di dialogo, munendosi di strumenti
di incontro, di scambio, di comunione. “Certo per quanto io sappia le Esposizioni
bibliche di Taiwan e di Hong Kong non solo furono le prime tenute in Estremo
Oriente, ma furono le prime nelle quali i cattolici collaborarono in spirito di
estrema carità con i cristiani evangelici o protestanti. Tanti eventi accaddero
dopo questa esposizione che stanno a dimostrare come il clima di mutua
diffidenza si è mutato”.
Fonte: L’Osservatore
Romano (15 novembre 2008)
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