Nell’Assisi
brasiliana alla fonte della spiritualità
A Caninde il
congresso dei francescani a conclusione dell’anno clariano
di EGIDIO PICUCCI
“Quattro anni
fa, quando abbiamo deciso di organizzare un congresso per tutti gli istituti
francescani presenti in Brasile in occasione dell’anno clariano, di cui si
cominciava a
parlare nell’ambito
degli ordini francescani, non abbiamo avuto alcun dubbio sulla scelta del
luogo: Caninde, abbiamo detto tutti subito, perché la città e l’Assisi
brasiliana, visto che vi si trova il santuario francescano che accoglie il
maggior numero di pellegrini al mondo”.
Frei Ederson
Querioz, cappuccino, ex segretario della Conferenza nazionale dei vescovi del
Brasile, si riferisce al santuario di San Francisco das chagas (San Francesco
stigmatizzato), costruito intorno al 1775 in una zona isolata e arida dello
Stato del Ceara, divenuto, col tempo, il simbolo di un popolo che la povertà “ricopre
di piaghe”, visibili nei volti invecchiati prematuramente da
un’esistenza
breve e particolarmente dura.
“C’e Assisi, d’accordo,
ma molti vanno ad Assisi “anche” per vedere la cornice del santuario (basti
pensare alle pitture della vostra nascente arte italiana), mentre a Caninde — sottolinea Frei Querioz — il milione e più di persone che vi si
recano ogni anno non hanno alcun interesse per i pur pregiati affreschi di Giorgio
Kau, ma vi arrivano solo per venerare san Francesco. E con grossi sacrifici,
perché il santuario si trova in una delle zone più aride del Brasile, quel
famoso Nord Est in cui l’acqua e un sogno che tormenta otto milioni di persone
per tutta la vita solo nel Ceara”.
La statua del
santo — ha aggiunto poi Frei Ederson — ne riflette le sembianze nel sangue
delle stimmate “e noi abbiamo voluto che i francescani brasiliani, riuniti
attorno al suo altare, imparassero da lui a curare le piaghe di una società
che, credendo di poter fare a meno di
Dio, si sta
spiritualmente suicidando”.
Per tre giorni
Caninde, che non ha nulla a che vedere con le città che si gloriano di
custodire un santuario famoso, ha visto sfilare per le strade anguste e roventi
di sole millecinquecento
francescani:
religiosi, religiose, terziari, giovani della Gifra (Gioventu francescana),
riconoscibili
o dall’abito o
dai simboli che richiamavano Francesco o Chiara, soli o a gruppi,
familiarizzando com o povo che ha scoperto come si può essere contenti anche
senza possedere nulla.
“Il congresso
e stato preparato minuziosamente nelle rispettive fraternità — precisa ancora Frei
Ederson — le quali hanno pensato sia al viaggio
sia alla sistemazione logistica. Nessun ente, religioso o civile, ci ha dato un
centesimo. Santa Chiara ci ha insegnato che una povertà ingegnosa consente
quello che normalmente e frutto del benessere.
Spiritualmente
ci siamo preparati al congresso riflettendo sul tema fondamentale della
fraternità, perché le divisioni che hanno frazionato il francescanesimo nei
secoli sono state opera degli uomini, contrarie alle intenzioni di Francesco.
Grazie a Dio in Brasile i francescani di ogni ordine e grado formano davvero una
sola grande famiglia.
Essi
costituiscono un piccolo esercito composto da 30.560 unità che fanno capo alla
Familia francescana brasileira, la quale raggruppa 104 congregazioni divise tra
gli appartenenti
ai quattro
ordini maschili (4.000), le monache clarisse e clarisse cappuccine (560), l’ordine
francescano secolare (20.000) e la gioventù francescana (6.000).
Il congresso,
che si è svolto dal 9 all’11 agosto, e stato scandito da riflessioni comunitarie,
brevi pellegrinaggi all’interno della cittadina cearense, canti e incontri com
Mãe Clara (meditazione sulla vita di santa Chiara) e riunioni com o esposo, adorazione
del santissimo sacramento nelle chiese francescane (a Caninde ci sono solo i
frati minori) del luogo. La partecipazione delle monache
clarisse ha
dato al congresso un tocco di vera spiritualità clariana sia per quello che
esse hanno detto, sia per quello che hanno fatto vedere.
Quelle che
vivono a Caninde sono probabilmente le uniche al mondo a usare poverissimi
abiti das graças, cioè delle grazie ricevute per intercessione di san
Francesco. Infatti i pellegrini che fanno voto di vestire per qualche tempo il
saio francescano, una volta arrivati a Caninde, lo lasciano al santuario che lo
da ai poveri e alle clarisse che lo usano per confezionare il loro saio
religioso,
il più delle
volte mettendo insieme colori diversi. La gente lo sa e le guarda con invidia
(non e da tutti vestire l’abito di un miracolato) e ammirazione.
Oltre ai
francescani, hanno partecipato al congresso tre vescovi “per bere alla fonte
della spiritualità
Francescana”,
ha detto uno di loro, segno di comunione con i religiosi che, oltre a essere
stati i primi evangelizzatori del Paese, sono oggi presenti in quasi tutte le
diocesi della nazione.
Unanime la
soddisfazione dei partecipanti che alla conclusione del congresso hanno
rinnovato la promessa di vivere e far rivivere lo spirito francescano sia tra
loro che nel popolo di Dio, simboleggiato nella ciranda (danza accompagnata dall’inno
composto per l’anno clariano) e nel pane distribuito a tutti i presenti, in
memoria del pane che santa Chiara benedisse su invito di Papa
Gregorio IX,
stupito insieme a tutti gli altri per la croce chi vi rimase impressa.
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