Chiara d’Assisi e la «pazienza» da indossare
L’iconografia della fondatrice delle clarisse nell’Umbria
meridionale
di Giuseppe Cassio
Pubblichiamo stralci di uno degli interventi pronunciati
all’incontro di studio «I protomartiri francescani e Chiara d’Assisi tra storia
e agiografia» che si è svolto presso il monastero Santissima Annunziata delle
clarisse di Terni in occasione del Centenario Clariano.
Autore - Piero Casentini |
Il desiderio di recarsi tra gli infedeli per guadagnare la
corona del martirio era piuttosto diffuso nella cristianità in grave conflitto
con l’Islam, e Chiara – come d’altronde lo stesso Francesco – non poteva
ignorare «un mondo che risonava delle gesta crociate», dove «il tema delle
missioni in rapporto ad esse […] era ormai da tempo divenuto evidente». In
sostanza, Chiara sentì il desiderio del martirio per vivere la radicalità della
vita secondo la forma del santo Vangelo e raggiungere il Signore alla stregua
dei Protomartiri. Ma se oggi – continua il Martinelli – «ciò potrebbe apparirci
come un atteggiamento sconveniente nell’ambito di una relazione pacifica con
religioni diverse, in realtà qui non è frutto di antagonismo religioso quanto
del desiderio, della passione incontenibile per la persona di Cristo»; in sostanza,
il desiderio di essere simile a lui e di poter rendere testimonianza a colui
che dato la vita per noi.
Una premessa simile è più che mai appropriata in un contesto
geografico, come quello dell’Umbria meridionale, permeato dalla vocazione
minoritica dei Protomartiri francescani: cinque frati che, nel desiderio di
vivere la sequela Christi, imboccarono spontaneamente la strada del martirio.
All’insegna del sangue versato per Cristo, l’iconografia dei santi Berardo e
compagni sarà accompagnata ininterrottamente dal ramo di palma – attributo
proprio dei santi martiri – e la stessa cosa accadrà pure per santa Chiara,
benché con tutt’altro significato e in un periodo circoscritto. In relazione a
Chiara d’Assisi, infatti, la palma è in primo luogo associata ad un episodio
cruciale della sua vita, quello della domenica delle Palme del 1211 o 1212,
durante la quale la giovane si sentì chiamata a seguire Cristo povero. Ciò
nonostante Chiara Santucci percepisce la palma come allusione all’intimo desiderio
di martirio, esaltato da alcune fonti clariane, che non riuscì a realizzare in
vita. Tale accezione precede l’aspetto più propriamente beatitudinale che,
secondo padre Pasquale Magro, si orienta «al valore dell’attesa della
ricompensa per la fedeltà nella Sequela Christi et Mariae»; un simbolo della
vittoria morale di Chiara nella lotta per la purezza che, invece, l’ha plasmata
in una «ricca e luminosa proposta di fede».
Autore - Piero Casentini |
Gli esempi pittorici che ritraggono la “Povera di San Damiano” con l’attributo della palma sono rintracciabili ad esempio nelle vele della Basilica di Santa Chiara in Assisi (ante 1334) e nella pala attribuita a Palmerino di Guido, dove addirittura Chiara e Agnese recano l’elemento arboreo in devozione alla martire romana prediletta. Santa Chiara con la palma si trova anche nella predella della pala di Fiorenzo di Lorenzo presso la Galleria Nazionale dell’Umbria (1500 ca.) e nel coro ligneo della Basilica superiore di San Francesco, prodotto dallo straordinario talento di Domenico Indivini (1501). In quest’ultimo troviamo raffigurati anche i Protomartiri francescani, dei quali solo sant’Accursio esibisce un sottile ramoscello di palma, simbolo proprio di santa Chiara nello stesso manufatto. […]
Il territorio dell’Umbria meridionale annoverò svariati luoghi
di culto dedicati a santa Chiara, ivi compresi monasteri del second’Ordine,
eppure l’iconografia giunta fino a noi non è abbastanza generosa e – salvo
sporadici esempi – s’infittisce nel XVII secolo, quando ormai non era più
capace di apportare grandi novità. Spesso le riprese pittoriche della sua
persona non si sforzano di attrarre la vista dello spettatore; sono per lo più
immagini discrete, quasi delle "comparse", reperibili nelle pale
d’altare così come nei cicli pittorici o nei quadri destinati alla devozione
privata.
L’itinerario figurativo che ci propone il manipolo di opere
rintracciate si manifesta soprattutto in raffigurazioni collettive, dipinte o
appese in ambienti non clariani, come quelli dei frati Minori. È piuttosto
raro, invece, scoprire la Santa
nelle chiese rurali, se non in quelle dove la memoria devota era ancora viva
attraverso la diffusione del nome o per espresso volere di alcuni offerenti
vicini alla spiritualità francescana o ancora appartenenti alle categorie delle
ricamatrici, lavandai, doratori, stiratori e ciechi, che invece la veneravano
come protettrice.
La maggior parte delle testimonianze prese in esame vede
Chiara accanto alla figura di Francesco o della Madonna. Molto spesso affianca
altri santi francescani come Elisabetta d’Ungheria, Rosa da Viterbo, Antonio di
Padova, Bernardino da Siena, il che suggerisce, in genere, una committenza
francescana. La Santa
non occupa sempre la stessa posizione e ciò dipende dal grado d’importanza che
ricopriva nei confronti della committenza. Moltissime immagini la ritraggono
sola con l’attributo che abitualmente stringe in mano, quale segno distintivo
del suo stato di vita oppure rivelante un tratto specifico dello stesso che si
vuole mettere in risalto. Il clima mistico diffusosi dalla metà del Cinquecento
favorisce la rappresentazione di una santa in atteggiamento estatico e
meditativo La fisionomia di santa Chiara è prevalentemente giovanile con
lineamenti delicati e bella d’aspetto, anche se nel Giudizio Universale di
Bartolomeo di Tommaso (metà sec. XV) corrisponde a una donna intorno ai
sessant’anni.
La foggia dell’abito riflette spesso la regola per l’Ordo
Sanctae Clarae scritta da papa Urbano IV nel 1263, ancora oggi in vigore
accanto a quella di Chiara stessa del 1253, in cui si stabilisce che: «Le tonache
esterne, poi, gli scapolari, e i mantelli non siano di colore del tutto bianco
o del tutto nero. Per cingolo, dopo che avranno professato, abbiano una corda,
non però ricercata. Si coprano il capo con uniformità e modestia, con bende o
veli di panno comune, del tutto bianchi, non preziosi o ricercati, di modo che
rimangano coperti la fronte, le guance, il collo e la gola […] Abbiano anche un
velo nero, né prezioso né ricercato, steso sulla testa, così ampio e lungo che
scenda fino alle spalle da entrambe le parti e dietro scenda un poco oltre il
cappuccio della tonaca».
Si tratta senza dubbio d’indicazioni utili a distinguere le
immagini clariane realizzate in seguito, anche se non del tutto adeguate a
esaurire i molti modi in cui Chiara sarà raffigurata dagli artisti. Si pensi
soprattutto alle ramificazioni del second’Ordine che nei secoli
personalizzeranno la foggia e il colore dell’abito. Perciò – come riporta padre
Magro – ogni famiglia vestirà Chiara secondo usi e costumi propri con abiti che
variano dal nocciola chiaro al grigio e perfino al rosa o al marrone scuro.
Molte volte la santa indosserà la pazienza (tunica da lavoro senza maniche
aperta ai lati e lunga sino ai piedi) prescritta dalla legislazione urbaniana.
L’abito è sempre raccolto in vita da un cordone bianco, con tre o cinque nodi,
simbolo dei voti o della devozione alle cinque “sante piaghe”; generalmente la
mantelletta, più o meno ampia, è dello stesso colore del saio, il velo è
genericamente doppio, bianco e nero ed è accompagnato dal soggolo, un
complicato intreccio di bende realizzate negli stessi materiali dei veli,
solitamente bianche e più consistenti del velo stesso.
Gli attributi più frequenti nell’iconografia locale sono il libro –
generalmente simbolo di dottrina – e riferimento alla regola, la croce manuale
prerogativa dei fondatori e il giglio, simbolo della purezza di spirito e della
castità verginale. Dalla seconda metà del Quattrocento, santa Chiara assumerà
definitivamente l’ostensorio, simbolo eucaristico per antonomasia, associato al
celebre episodio della cacciata dei Saraceni.
Fonte: L’Osservatore Romano, mercoledì 8 agosto 2012, p. 4
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