giovedì 9 agosto 2012


Chiara d’Assisi e la «pazienza» da indossare
L’iconografia della fondatrice delle clarisse nell’Umbria meridionale

di Giuseppe Cassio

Pubblichiamo stralci di uno degli interventi pronunciati all’incontro di studio «I protomartiri francescani e Chiara d’Assisi tra storia e agiografia» che si è svolto presso il monastero Santissima Annunziata delle clarisse di Terni in occasione del Centenario Clariano.

Autore - Piero Casentini
Nell’incontro dedicato a Cuore e mente per seguire Cristo con santa Chiara d’Assisi, tenutosi all’inizio dell’Ottavo Centenario della fuga dell’Assiate dalla casa paterna per vivere il Vangelo sull’esempio di frate Francesco presso la Basilica di Santa Chiara in Assisi, padre Paolo Martinelli ha presentato uno degli aspetti meno noti della vita di Chiara (1193-1253), vale a dire quel suo turbamento spirituale concepito alla notizia del martirio di alcuni frati Minori in Marocco [cfr. Dai Protomartiri francescani a sant'Antonio di Padova. Atti della Giornata Internazionale di Studio (Terni, 11 giugno 2010) a cura di L. Bertazzo - G. Cassio, Ed. Centro Studi Antoniani, Padova 2011]. «Chiara – assicura padre Martinelli – è afferrata dalla testimonianza dei Protomartiri francescani al punto da sentire dentro di sé il desiderio ardente di essere sulla terra dove essi hanno versato il loro sangue, così da poter anche lei dare la vita per testimoniare e difendere la fede».
Il desiderio di recarsi tra gli infedeli per guadagnare la corona del martirio era piuttosto diffuso nella cristianità in grave conflitto con l’Islam, e Chiara – come d’altronde lo stesso Francesco – non poteva ignorare «un mondo che risonava delle gesta crociate», dove «il tema delle missioni in rapporto ad esse […] era ormai da tempo divenuto evidente». In sostanza, Chiara sentì il desiderio del martirio per vivere la radicalità della vita secondo la forma del santo Vangelo e raggiungere il Signore alla stregua dei Protomartiri. Ma se oggi – continua il Martinelli – «ciò potrebbe apparirci come un atteggiamento sconveniente nell’ambito di una relazione pacifica con religioni diverse, in realtà qui non è frutto di antagonismo religioso quanto del desiderio, della passione incontenibile per la persona di Cristo»; in sostanza, il desiderio di essere simile a lui e di poter rendere testimonianza a colui che dato la vita per noi.
Una premessa simile è più che mai appropriata in un contesto geografico, come quello dell’Umbria meridionale, permeato dalla vocazione minoritica dei Protomartiri francescani: cinque frati che, nel desiderio di vivere la sequela Christi, imboccarono spontaneamente la strada del martirio. All’insegna del sangue versato per Cristo, l’iconografia dei santi Berardo e compagni sarà accompagnata ininterrottamente dal ramo di palma – attributo proprio dei santi martiri – e la stessa cosa accadrà pure per santa Chiara, benché con tutt’altro significato e in un periodo circoscritto. In relazione a Chiara d’Assisi, infatti, la palma è in primo luogo associata ad un episodio cruciale della sua vita, quello della domenica delle Palme del 1211 o 1212, durante la quale la giovane si sentì chiamata a seguire Cristo povero. Ciò nonostante Chiara Santucci percepisce la palma come allusione all’intimo desiderio di martirio, esaltato da alcune fonti clariane, che non riuscì a realizzare in vita. Tale accezione precede l’aspetto più propriamente beatitudinale che, secondo padre Pasquale Magro, si orienta «al valore dell’attesa della ricompensa per la fedeltà nella Sequela Christi et Mariae»; un simbolo della vittoria morale di Chiara nella lotta per la purezza che, invece, l’ha plasmata in una «ricca e luminosa proposta di fede».

Autore - Piero Casentini

Gli esempi pittorici che ritraggono la “Povera di San Damiano” con l’attributo della palma sono rintracciabili ad esempio nelle vele della Basilica di Santa Chiara in Assisi (ante 1334) e nella pala attribuita a Palmerino di Guido, dove addirittura Chiara e Agnese recano l’elemento arboreo in devozione alla martire romana prediletta. Santa Chiara con la palma si trova anche nella predella della pala di Fiorenzo di Lorenzo presso la Galleria Nazionale dell’Umbria (1500 ca.) e nel coro ligneo della Basilica superiore di San Francesco, prodotto dallo straordinario talento di Domenico Indivini (1501). In quest’ultimo troviamo raffigurati anche i Protomartiri francescani, dei quali solo sant’Accursio esibisce un sottile ramoscello di palma, simbolo proprio di santa Chiara nello stesso manufatto. […]
Il territorio dell’Umbria meridionale annoverò svariati luoghi di culto dedicati a santa Chiara, ivi compresi monasteri del second’Ordine, eppure l’iconografia giunta fino a noi non è abbastanza generosa e – salvo sporadici esempi – s’infittisce nel XVII secolo, quando ormai non era più capace di apportare grandi novità. Spesso le riprese pittoriche della sua persona non si sforzano di attrarre la vista dello spettatore; sono per lo più immagini discrete, quasi delle "comparse", reperibili nelle pale d’altare così come nei cicli pittorici o nei quadri destinati alla devozione privata.
L’itinerario figurativo che ci propone il manipolo di opere rintracciate si manifesta soprattutto in raffigurazioni collettive, dipinte o appese in ambienti non clariani, come quelli dei frati Minori. È piuttosto raro, invece, scoprire la Santa nelle chiese rurali, se non in quelle dove la memoria devota era ancora viva attraverso la diffusione del nome o per espresso volere di alcuni offerenti vicini alla spiritualità francescana o ancora appartenenti alle categorie delle ricamatrici, lavandai, doratori, stiratori e ciechi, che invece la veneravano come protettrice.
La maggior parte delle testimonianze prese in esame vede Chiara accanto alla figura di Francesco o della Madonna. Molto spesso affianca altri santi francescani come Elisabetta d’Ungheria, Rosa da Viterbo, Antonio di Padova, Bernardino da Siena, il che suggerisce, in genere, una committenza francescana. La Santa non occupa sempre la stessa posizione e ciò dipende dal grado d’importanza che ricopriva nei confronti della committenza. Moltissime immagini la ritraggono sola con l’attributo che abitualmente stringe in mano, quale segno distintivo del suo stato di vita oppure rivelante un tratto specifico dello stesso che si vuole mettere in risalto. Il clima mistico diffusosi dalla metà del Cinquecento favorisce la rappresentazione di una santa in atteggiamento estatico e meditativo La fisionomia di santa Chiara è prevalentemente giovanile con lineamenti delicati e bella d’aspetto, anche se nel Giudizio Universale di Bartolomeo di Tommaso (metà sec. XV) corrisponde a una donna intorno ai sessant’anni.
La foggia dell’abito riflette spesso la regola per l’Ordo Sanctae Clarae scritta da papa Urbano IV nel 1263, ancora oggi in vigore accanto a quella di Chiara stessa del 1253, in cui si stabilisce che: «Le tonache esterne, poi, gli scapolari, e i mantelli non siano di colore del tutto bianco o del tutto nero. Per cingolo, dopo che avranno professato, abbiano una corda, non però ricercata. Si coprano il capo con uniformità e modestia, con bende o veli di panno comune, del tutto bianchi, non preziosi o ricercati, di modo che rimangano coperti la fronte, le guance, il collo e la gola […] Abbiano anche un velo nero, né prezioso né ricercato, steso sulla testa, così ampio e lungo che scenda fino alle spalle da entrambe le parti e dietro scenda un poco oltre il cappuccio della tonaca».
Si tratta senza dubbio d’indicazioni utili a distinguere le immagini clariane realizzate in seguito, anche se non del tutto adeguate a esaurire i molti modi in cui Chiara sarà raffigurata dagli artisti. Si pensi soprattutto alle ramificazioni del second’Ordine che nei secoli personalizzeranno la foggia e il colore dell’abito. Perciò – come riporta padre Magro – ogni famiglia vestirà Chiara secondo usi e costumi propri con abiti che variano dal nocciola chiaro al grigio e perfino al rosa o al marrone scuro. Molte volte la santa indosserà la pazienza (tunica da lavoro senza maniche aperta ai lati e lunga sino ai piedi) prescritta dalla legislazione urbaniana. L’abito è sempre raccolto in vita da un cordone bianco, con tre o cinque nodi, simbolo dei voti o della devozione alle cinque “sante piaghe”; generalmente la mantelletta, più o meno ampia, è dello stesso colore del saio, il velo è genericamente doppio, bianco e nero ed è accompagnato dal soggolo, un complicato intreccio di bende realizzate negli stessi materiali dei veli, solitamente bianche e più consistenti del velo stesso.
Gli attributi più frequenti nell’iconografia locale sono il libro – generalmente simbolo di dottrina – e riferimento alla regola, la croce manuale prerogativa dei fondatori e il giglio, simbolo della purezza di spirito e della castità verginale. Dalla seconda metà del Quattrocento, santa Chiara assumerà definitivamente l’ostensorio, simbolo eucaristico per antonomasia, associato al celebre episodio della cacciata dei Saraceni.


Fonte: L’Osservatore Romano,  mercoledì 8 agosto 2012, p. 4

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